«L’art. 6, comma 2, della legge n. 604/1966, nel testo modificato dall’art. 1, comma 38, della legge n. 92 del 2012 deve essere interpretato, nel caso d’impugnativa del licenziamento nelle ipotesi regolate dall’articolo 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300 e succesive modificazioni, nel senso che, nel termine previsto, venga proposto ricorso secondo il rito di cui ai commi 48 e seguienti dell’art. 1 della predetta legge (c.d. rito Fornero)».
Tale è il principio di diritto enunciato dalla Sezione Lavoro della Cassazione nella sentenza che si segnala (Cass. Civ., Lav., n. 14390/2016), con ciò escludendo che un ricorso proposto, come nel caso di specie, con le forme dell’art. 700 C.P.C., anzichè con le forme del rito c.d. Fornero, possa valere ai fini del rispetto del termine di decadenza di 180 giorni introdotto dalla Riforma Fornero decorrente dalla impugnativa del licenziamento.
La Corte ha così dichiarato inefficace l’impugnativa del licenziamento, per mancato rispetto del termine decadenziale decorrente dall’impugnazione stragiudiziale (che a sua volta va proposta entro il termine di 60 giorni dal licenziamento) per intraprendere l’azione giudiziaria avanti al Giudice del lavoro, poichè non promossa con il nuovo rito Fornero.
Le decisioni di merito ribaltate in Cassazione
Il caso trae origine da un licenziamento disciplinare irrogato ad un dipendente nell’alveo del regime di tutela reale previsto dal previgente art. 18 Statuto dei Lavoratori, licenziamento che era stato impugnato in via stragiudiziale entro il termine di legge dalla dipendente, la quale aveva poi, nel termine di 180 giorni, proposto ricorso ex art. 700 C.P.C., anziché con le forme del rito Fornero mediante ricorso al Tribunale, in funzione di Giudice del lavoro, avente i requisiti di cui all’art. 125 C.P.C.
In primo e secondo grado, i giudici avevano dichiarato l’illegittimità del licenziamento impugnato, con conseguente condanna alla reintegra nel posto di lavoro e al pagamento di una indennità.
Il datore di lavoro aveva proposto, indi, ricorso per Cassazione, lamentando l’erroneità della sentenza della Corte d’appello in punto di ritenuta osservanza del termine di decadenza con la proposizione del ricorso ex art. 700 C.P.C.
In accoglimento del primo e principale motivo di ricorso, si è pronunciata la Cassazione, con la sentenza in commento, ritenendo la decisione censurata non conforme al principio di diritto sopra enunciato. La soluzione che offre la Cassazione, in linea e in continuità con quanto affermato dal precedente arresto delle Sezioni Unite del 2014 (n. 24790/2014) risolve, così, in termini restrittivi, la problematica sottoposta al suo esame.
La Corte ricorda che, anche in ipotesi, come quella paventata, in cui ricorra la tutela c.d. reale, l’impugnativa giudiziale del licenziamento deve essere proposta secondo il rito Fornero regolato, appunto, dai commi 48 e ss dell’art. 1 L. 92/2012, consistente in un nuovo speciale rito finalizzato all’accelerazione dei tempi del processo e che si caratterizza per l’articolazione del giudizio di primo grado in due fasi: l’una, a cognizione sommaria e, l’altra, definita di opposizione, a cognizione piena nello stesso grado.
A differenza della prima, connotata da sommarietà, la seconda fase del rito Fornero deve essere introdotta con un atto di opposizione proposto con ricorso che a sua volta deve avere i requisiti di cui all’art. 125 C.P.C. e, dunque, deve senz’altro contenere l’enunciazione del petitum e della causa petendi.
Tali requisiti, invece, non ricorrono in caso di ricorso ex art. 700 C.P.C. secondo le prescrizioni dell’art. 669 bis C.P.C.
Ritiene la Corte, dunque, che
«questa sostanziale diversità induce a ritenere che il legislatore del 2012, nell’ipotesi in esame, ha inteso riferirsi, ai fini della conservazione dell’efficacia dell’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, esclusivamente al ricorso introduttivo dello speciale rito regolato dai commi 48 e seguenti dell’art. 1 della legge n. 92 del 2012 con esclusione, quindi, del ricorso ex art. 700 c.p.c.».
Documenti & materiali
Scarica il testo della sentenza Cass. Civ., Sez. Lav., 14/07/2016, n. 1439