Avvocati stabiliti: requisiti soggettivi e verifiche dei COA C.N.F., 08/10/2019, n. 99

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C.N.F., 08/10/2019, N. 99

«In tema di avvocati stabiliti, è compito del COA territoriale apprestare tutela alla funzione giudiziaria in Italia, ossia evitare che operino soggetti scarsamente qualificati o che siano all’oscuro delle peculiarità del diritto italiano. Nell’esaminare la domanda di dispensa dalla prova attitudinale, pertanto, il COA deve procedere a verificare -attraverso i propri ampi poteri istruttori- che l’avvocato stabilito abbia concretamente operato sul foro nazionale con atti o attività stragiudiziali documentate e riferite ad un periodo di tempo privo di rilevanti interruzioni, giacché la “attività stabile e continua” deve essere apprezzata tenuto conto della durata, frequenza, periodicità e continuità delle prestazioni erogate nonché del numero di clienti e del giro di affari realizzato.

Al fine di conseguire la dispensa dalla prova attitudinale, l’esercizio della professione forense da parte dell’avvocato stabilito deve essere: a) di durata non inferiore a tre anni scomputando gli eventuali periodi di sospensione; b) effettivo e quindi non formale o addirittura fittizio; c) regolare e quindi nel rispetto della legge forense e del codice deontologico; d) con il titolo professionale di origine. Ove difetti il soddisfacimento delle condizioni suddette, non rileva, al fine di ottenere la dispensa in parola, l’esercizio della professione con un titolo diverso e soprattutto proprio con il titolo che il professionista stabilizzato mira a conseguire mediante la dispensa dalla prova attitudinale; esercizio che deve qualificarsi abusivo e che lede l’affidamento del cliente in ordine all’effettiva abilitazione del professionista (estera e non già nazionale) e quindi alla sua piena idoneità professionale nel contesto del diritto interno. Anzi l’esercizio della professione di avvocato senza aver conseguito in Italia la relativa abilitazione ovvero l’iscrizione mediante dispensa ai sensi dell’art. 12 cit. integra la condotta materiale del reato, previsto dall’art. 348 c.p., di abusivo esercizio di una professione.

In forza del combinato disposto degli artt. 8 e 10 del D.Lgs n. 96/2001, è necessario che l’avvocato stabilito agisca di intesa con un professionista abilitato ad esercitare la professione di avvocato solamente nell’ipotesi di prestazioni giudiziali e non nelle ipotesi di prestazioni stragiudiziali. Inoltre, l’avvocato stabilito ha diritto di esercitare la professione di avvocato alle stesse condizioni e con le stesse modalità previste per il professionista che esercita la professione in Italia con il titolo di avvocato (art. 4 co. 2 del D.Lgs 96/2001). Ne consegue che la domanda di esonero dalla prova attitudinale ben può essere corredata da atti giudiziali che non riportano l’indicazione del nome dell’avvocato stabilito, ma dei quali questi abbia predisposto (o contribuito a disporre) la redazione, risolvendosi detta attività in un’attività stragiudiziale che non necessita dell’intesa con altro avvocato. Infatti, non vi sono limiti alla modalità di svolgimento della professione, nel senso che nessuna norma prevede l’obbligatorietà dell’esercizio cumulativo di attività giudiziali e di attività stragiudiziali, sicché anche l’attività stragiudiziale può costituire oggetto di valutazione ai fini di verificare l’esercizio effettivo della professione da parte dell’avvocato stabilito in ordine alla dispensa dalla prova attitudinale»

FATTO

Con istanza in data 14/05/2015, reiterata in data 18/11/2015 l’abogado [Omissis] richiedeva al COA di [Omissis] il passaggio dall’elenco speciale degli Avvocati Stabiliti a quello Ordinario dichiarando ed attestando varie partecipazioni ad udienze di giudizi patrocinati da altro avvocato, producendo autorizzazioni dell’avvocato con il quale agiva di intesa a notificare atti e a richiedere copie di atti senza tuttavia alcun atto giudiziario a firma e con procura dell’abogado [Omissis]. Il COA di [Omissis] in data 12/04/2016 lo invitava a comparire dinanzi l’ufficio iscrizione per comunicare la insufficienza della documentazione prodotta e gli si concedeva termine per l’integrazione della stessa. In data 31/05/2016 veniva prodotta nuova documentazione consistente in ulteriori verbali di udienze e numero 5 atti giudiziali redatti da altri avvocati. Il COA, tenuto conto dell’art. 13 commi 2 e 3 del D.Lgs. 96/2001 per i quali “la domanda deve essere corredata dalla documentazione relativa al numero ed alla natura delle pratiche trattate, nonché delle informazioni idonee a provare l’esercizio effettivo e regolare dell’attività professionale svolta nel diritto nazionale per il periodo minimo di tre anni ed il Consiglio dell’ordine è tenuto a verificare la regolarità e l’esercizio effettivo dell’attività esercitata, anche mediante richiesta di informazioni agli uffici interessati ed invitare l’avvocato a fornire chiarimenti e precisazioni in ordine agli elementi forniti ed alla documentazione prodotta”, nonché delle proprie Linee Guida, assunte in data 26/07/2012, dove si ribadiva la necessità di allegare alla domanda di dispensa anche atti giudiziari dai quali verificare l’esercizio effettivo dell’attività, da non confondersi con quella del tirocinante avvocato, riteneva che non risultavano prodotti atti giudiziali e stragiudiziali a firma dell’abogado [Omissis] con conseguente impossibilità di valutarne l’esercizio effettivo e regolare dell’attività professionale svolta e rigettava l’istanza di dispensa della prova attitudinale richiesta dall’abogado [Omissis]. La decisione veniva notificata all’avv. [Omissis] a mezzo pec in data 19/07/2016.

Avverso la decisione del COA di [Omissis] insorgeva l’avv. [Omissis] proponendo ricorso a codesto Consiglio in data 29/07/2016, fondato su due motivi, chiedendone l’annullamento con conseguente iscrizione nell’Albo ordinario.

Con il primo motivo lamenta la tardività della decisione del COA per violazione del termine di mesi due ex art. 31 RDL n- 1578/33 come modificato dall’art. 49 co 2 DLgs n. 59/2010. Deduce che non avendo il COA adottato il provvedimento in merito alla domanda di iscrizione del 14/05/2015 nel termine di due mesi, invitando il ricorrente a comparire circa un anno dopo la domanda, ovvero in data 12/04/2016 e notificando il provvedimento di rigetto il 30/06/2016,avrebbe violato la normativa di cui sopra essendosi configurata la formazione del silenzio assenso dal momento che entro due mesi dalla domanda non era intervenuto un atto espresso di diniego per cui ciò precludeva l’adozione di una seconda decisione avendo esaurito l’ente territoriale il suo potere provvedimentale, all’epoca della pronuncia dell’atto impugnato, in conformità di quanto previsto dall’art. 20 co 3 Legge n. 241/90.

Al riguardo deve osservarsi che all’art. 31 del RDL n. 1578/33 è subentrato l’art. 17 co 7 della Legge n. 247/2012 che, per il caso di inerzia del COA, prevede ricorso immediato al CNF, che decide nel merito. Inoltre nella materia de qua si applica l’art. 13 co 4 del DLgs n. 96/2001 in quanto non di una domanda di iscrizione nell’Albo si tratta bensì di una domanda di dispensa dalla prova attitudinale ordinariamente richiesta dall’avvocato stabilito per ottenere l’integrazione nell’Albo. É vero che tale disposizione impone l’adozione della decisione entro tre mesi dall’istanza ma il COA di [Omissis], comunque, ha deciso tempestivamente se si considera che la produzione documentale ad integrazione è pervenuta al COA medesimo in data 31/05/16 ed il provvedimento è stato depositato il 15/07/16. In ogni caso la giurisprudenza è costante nel ritenere che detto termine abbia natura ordinatoria e che esso resti interrotto in caso di richiesta di chiarimenti (CNF sent. 13/03/2015 n. 37).

Alla luce delle argomentazioni sopra riportate tale motivo di ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 8 del D.Lgs n. 115/92 e degli artt. 12 e 13 del D. Lgs n. 96/2001 nonché della Direttiva CE n. 98/5 in quanto le suddette norme non presumono un minimo di attività nel corso del triennio, non presumono la condivisione del mandato difensivo né l’indicazione dell’abogado in atti giudiziali essendo sufficiente una dichiarazione dell’abogado e dell’avvocato che agiscono d’intesa attestante la compartecipazione nella redazione o predisposizione degli stessi, come prodotta dal ricorrente, e che nessuna norma prevede l’esercizio cumulativo di attività giudiziale e stragiudiziale. Inoltre lo stesso COA non valuta adeguatamente come attività giudiziale sia la partecipazione alle udienze sia gli atti trasmessi dal ricorrente in sede di integrazione nel considerare solo cinque atti giudiziali e senza indicare quali.

Occorre rilevare innanzitutto che il D Lgs n. 115/92 è stato abrogato dal D.Lgs n. 206/2007.

Inoltre occorre sottolineare che, al fine di conseguire la dispensa dalla prova attitudinale, l’esercizio della professione forense da parte dell’avvocato stabilito deve essere: a) di durata non inferiore a tre anni, scomputando gli eventuali periodi di sospensione; b) effettivo e quindi non formale o addirittura fittizio; c) regolare e quindi nel rispetto della legge forense e del codice deontologico; d) con il titolo professionale di origine. Ove difetti il soddisfacimento delle condizioni suddette non rileva, al fine di ottenere la dispensa in parola, l’esercizio della professione con un titolo diverso e soprattutto proprio con il titolo che il professionista stabilizzato mira a conseguire mediante la dispensa dalla prova attitudinale; esercizio che deve qualificarsi abusivo e che lede l’affidamento del cliente in ordine alla effettiva abilitazione del professionista e quindi della sua piena idoneità professionale nel contesto del diritto interno. Anzi l’esercizio della professione di avvocato senza aver conseguito la relativa abilitazione integra la condotta materiale del reato di abusivo esercizio di una professione (Cass. SS.UU. sent. n. 5073 del 15/03/2016).

Le norme di cui ai D.Lgs n. 115/92 e 96/01 (artt. 8, 12 e 13) in una lettura costituzionalmente orientata che tenga conto anche delle Direttive CEE con le quali si sancisce il principio di libera circolazione dei professionisti nell’ambito dei paesi membri, vanno interpretate nel senso che ai fini della dispensa dalla prova attitudinale debbano riscontrarsi ricorrenti unicamente due requisiti: l’iscrizione all’albo e lo svolgimento dell’attività professionale per un triennio. Infatti la Direttiva Comunitaria mira proprio ad armonizzare i requisiti applicabili al diritto di stabilimento degli avvocati in tutti gli stati membri e a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno stato membro diverso da quello nel quale si sia conseguito il diploma di laurea (CNF sent. 14/03/2015 n. 47).

Ciò posto, passando alla disamina del potere del COA sulle attività oggetto di valutazione ed in particolare sull’attività giudiziale, appare opportuno precisare che in forza del combinato disposto degli artt. 8 e 10 del D.Lgs n. 96/2001 è necessario che l’avvocato stabilito agisca di intesa con un professionista abilitato ad esercitare la professione di avvocato solamente nell’ipotesi di prestazioni giudiziali e non nelle ipotesi di prestazioni stragiudiziali.

Ancora l’art. 4 co. 2 del D.Lgs 96/2001 prevede che l’avvocato stabilito ha diritto di esercitare la professione di avvocato alle stesse condizioni e con le stesse modalità previste per il professionista che esercita la professione in Italia con il titolo di avvocato. Ne consegue che la domanda di esonero dalla prova attitudinale ben può essere corredata da atti giudiziali che non riportano l’indicazione del nome dell’avvocato stabilito, ma dei quali questi abbia predisposto (o contribuito a disporre) la redazione così come attestato nella fattispecie dai due avvocati che hanno rilasciato le dichiarazioni, risolvendosi detta attività in un ‘attività stragiudiziale che non necessita, come sopra evidenziato, dell’intesa con altro avvocato.

Né vi sono limiti alla modalità di svolgimento della professione nel senso che nessuna norma prevede l’obbligatorietà dell’esercizio cumulativo di attività giudiziali e di attività stragiudiziali.

Ma, alla luce dei pareri n. 5/2005 e 14/2010, si evidenzia che è compito del COA territoriale apprestare tutela alla funzione giudiziaria in Italia, ossia evitare che operino soggetti scarsamente qualificati o che siano all’oscuro delle peculiarità del diritto italiano. Sotto questo profilo il COA è affidatario di un potere di ampio spettro che ruota intorno alla verifica delle attività concretamente svolte in Italia dal richiedente la dispensa dalla prova attitudinale. Il COA deve, pertanto, procedere a verificare che questi abbia concretamente operato sul foro nazionale con atti o attività stragiudiziali documentate e riferite ad un periodo di tempo privo di rilevanti interruzioni.

La giurisprudenza comunitaria ha avuto modo di definire attraverso indici presuntivi il concetto di “attività stabile e continua” che deve essere apprezzata tenuto conto della durata, frequenza, della periodicità e della continuità delle prestazioni erogate nonché del numero di clienti e del giro di affari realizzato (CGCE sent. 30/11/1995 causa C- 55/94, sent. 13/02/2003 causa C- 131/01 Commissione/Italia).

Deve, pertanto, ritenersi che anche l’attività stragiudiziale possa costituire oggetto di valutazione ai fini di verificare l’esercizio effettivo della professione da parte dell’avvocato stabilito in ordine alla dispensa dalla prova attitudinale.

Ma resta fermo che l’art. 13 co. 3 riconosce al COA chiamato a pronunciarsi sulla dispensa dalla prova attitudinale ampi poteri istruttori, consistenti, in particolare, nella richiesta di informazioni agli uffici interessati e nella possibilità di invitare l’avvocato che chiede la dispensa a fornire ogni necessario chiarimento in ordine agli elementi forniti ed alla documentazione prodotta.

In virtù dei poteri di cui all’art. 13 co. 3 il COA di [Omissis] ha ritenuto, sulla scorta della documentazione agli atti, che non erano stati prodotti atti giudiziali e stragiudiziali a firma dell’abogado [Omissis] e, pertanto, l’impossibilità di valutarne l’esercizio effettivo e regolare dell’attività professionale da lui svolta.

Alla stregua delle motivazioni sopra riportate anche il secondo motivo risulta infondato ed il ricorso deve essere respinto.

P.Q.M.

visti gli artt. 36 e 37 L. n. 247/2012 e gli artt. 59 e segg. del R.D. 22.1.1934, n. 37;

il Consiglio Nazionale Forense rigetta il ricorso.

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