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Come noto, il tema della mancata liquidazione delle spese legali in sentenza (o, in altro provvedimento comunque conclusivo del giudizio) è uno di quelli che hanno spesso determinato importanti contrasti interpretativi, essendosi la giurisprudenza divisa tra il ritenere la discrasia in questione emendabile mediante il procedimento di correzione degli errori materiali della sentenza ex art. 297 e ss. c.p.c.1 e il considerare, invece, necessario ricorrere agli ordinari mezzi di gravame.2
La rimessione al Primo Presidente del 2017
Contrasto, quello sopra accennato, dalle conseguenze pratiche evidentemente rilevanti, tanto da indurre recentemente la seconda sezione, con la pronuncia Cass. Civ., Sez. II, 11/09/2017, n. 21048, a rimettere gli atti al Primo Presidente per l’eventuale esame da parte delle Sezioni Unite,
«attesa la frequente ricorrenza del problema, e la necessità di offrire una soluzione uniforme, sia al fine di scongiurare il pericolo di incolpevoli decadenze a carico delle parti (si pensi al caso in cui la parte, in presenza di una situazione di omessa liquidazione in dispositivo, confidando sulla possibilità di far ricorso al procedimento di correzione di errore materiale, lasci decorrere i termini per l’impugnazione del provvedimento, trovandosi però opposta, in sede di procedura ex art. 288 c.p.c., la diversa convinzione del giudice adito circa la necessità del ricorso ai mezzi di impugnazione) sia al fine di chiarire quale sia il rimedio laddove l’omessa liquidazione sia relativa ad una sentenza di questa Corte, anche alla luce della novellata previsione di cui all’art. 391 bis c.p.c.».
La decisione in commento
Senonchè le citate Sezioni Unite, investite della correzione degli errori materiali di una sentenza dalla medesime pronunciate, intervengono autonomamente in materia con l’ordinanza oggi in commento (Cass. Civ., S.U., 14 marzo 2018, n. 6336) e riconducono con certezza all’alveo della correzione degli errori materiali una fattispecie particolare in cui il dispositivo della decisione da correggere non difettava completamente di qualsiasi accenno al tema delle spese, pure trattato in parte motiva, ma presentava invece una pronuncia di condanna mancante dell’importo liquidato a titolo di compenso (testualmente, cioè, le spese venivano «liquidate in €,00 per compenso ed in € 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori come per legge»).
Secondo le S.U. (che preliminarmente stabiliscono il principio secondo cui sono esse stesse a decidere della correzione degli errori contenuti in provvedimenti dalle medesime pronunciati, applicandosi in ipotesi il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c.)3 tale particolare mancanza non è ricompresa nella fattispecie rinviata al Primo Presidente in base con il provvedimemento 21048/2017 cui si è sopra accennato.
In detta ipotesi, infatti – continuano gli ermellini – si discuteva di «totale omissione o preterizione di una pronunzia sulle spese in un provvedimento giurisdizionale in cui essa era invece dovuta», mentre nel caso de quo si configura una particolare ipotesi di errore
«nella formazione del documento, sotto il profilo della divergenza tra interno giudizio e manifestazione od esteriorizzazione della volontà, sicché questa è correttamente formata, ma malamente espressa all’esterno (in una sorta di analogia con l’errore ostativo, del tutto diverso dall’errore vizio)».
Tipologia di errore, quest’ultima che, come conclude l’ordinanza in esame, concretizza sicuramente un errore materiale emendabile ex artt. 287 e ss. c.p.c. anche in considerazione del fatto, si aggiunge, che la liquidazione delle spese dipende,
«soprattutto ove nessuna particolare peculiarità sia stata rilevata – nella motivazione del provvedimento da correggere – al momento dell’individuazione dei criteri da applicare al riguardo, dall’applicazione di parametri comunque predeterminati in base alla vigente normativa».
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Scarica Cass. Civ., S.U., 14 marzo 2018, n. 6336
Note al testo
1. V., ad es., Cass. Civ., Sez. II, 24/07/2014, n. 16959 e Cass.Civ., Sez. VI, 27/07/2016, n. 15650, la cui massima (identica) è la seguente «la procedura di correzione di errore materiale è esperibile per rimediare all’omessa liquidazione delle spese processuali nel dispositivo della sentenza, qualora l’omissione non evidenzi un contrasto tra motivazione e dispositivo, ma solo una dimenticanza dell’estensore».
2. V., ad es., Cass. Civ., Sez. I, 07/10/2014, n. 21109 , secondo la quale «la sentenza che, pur correttamente statuendo sulle spese in motivazione, ne ometta, poi, la loro totale o parziale liquidazione in dispositivo, non è emendabile con la procedura di correzione dell’errore materiale, attesa la necessità, ai fini della loro concreta determinazione e quantificazione, di una pronuncia del giudice» e Cass. Civ., Sez. Trib., 23/06/2005, n. 13513, secondo la quale «la mancata statuizione sulle spese del giudizio integra una vera e propria omissione di carattere concettuale e sostanziale e costituisce un vizio della sentenza, stante la mancanza di qualsiasi decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che è stata ritualmente proposta e che richiede pertanto una pronuncia di accoglimento o di rigetto. Ne consegue che l’omessa pronuncia sulle spese in un provvedimento a contenuto decisorio che definisce il giudizio non costituisce mero errore materiale emendabile con la speciale procedura di correzione prevista dagli art. 287 ss. c.p.c., ma vizio di omessa pronuncia da farsi valere solo con i mezzi d’impugnazione».
3.Questo, per la precisione, il principio : «la Corte di cassazione pronuncia a sezioni unite anche in caso di errore materiale in provvedimenti pronunciati da queste ultime, secondo il rito camerale non partecipato disciplinato dall’art. 380-bis cod. proc. civ., comma 1, lett. I), n. 2, dell’art. 1-bis d.l. 31 agosto 2016, n. 168, conv. con modif. dalla I. 25 ottobre 2016, n. 197».