Con una recente sentenza (Cass. SS.UU. 18/03/2016, n. 5418), le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate sul concetto di residenza abituale del minore, al fine di determinare la relativa giurisdizione, ossia se quella italiana oppure quella straniera.
La pronuncia appare interessante perchè afferma il principio secondo il quale per stabilire la giurisdizione (italiana o diverso Paese) non è sufficiente effettuare un calcolo matematico del tempo trascorso dal minore sul territorio nazionale o sul territorio estero, ma soccorrono altre considerazioni.
Il caso
La pronuncia 5418/2016 muove da un caso in cui il minore, in applicazione della normativa previgente rispetto alla riforma D.LGS 28/12/2013, n. 154), dal Tribunale per i Minorenni di Bologna, era stato affidato congiuntamente ai due genitori ma con collocazione presso la madre all’estero, pur regolamentando le frequentazioni con il padre (decisione confermata dalla Corte territoriale).
In seguito, sotto la vigenza della nuova normativa (D.L.GS 28/12/2013, n. 154) e, per quanto è dato capire, dopo un periodo di permanenza del figlio in Italia, il padre del minore instaurava avanti il Tribunale ordinario di Bologna un procedimento ex art. 710 C.P.C. con cui chiedeva la modifica di quel precedente provvedimento del T.M., ma il Tribunale ordinario rigettava sotto il profilo del difetto di giurisdizione del giudice italiano, proprio in considerazione della residenza abituale del minore ritenuta sussistente all’estero (Brasile).
Anche la Corte d’appello
«ha confermato la valutazione del tribunale affermando che questi “ha correttamente ritenuto che la residenza abituale del minore M.T. (nato il (OMISSIS)) sia rimasta in (OMISSIS). Ciò sul rilievo che il bambino nei primi due anni di vita ha vissuto undici mesi in (OMISSIS) e vi si è poi trasferito, definitivamente da aprile 2010 a febbraio/marzo 2013, e vi è poi ritornato ad agosto 2013. Il breve periodo di trasferimento in Italia non ha dunque inciso in concreto sul luogo di svolgimento della sua vita personale che, deve ritenersi essere rimasto il paese di origine della madre, dove questi ha vissuto in modo continuativo e tendenzialmente stabile per la maggior parte della sua vita“».
La decisione delle SS.UU.
Con la sentenza Cass. SS.UU. 18/03/2016, n. 5418, la Corte di Cassazione, invocata con regolamento di giurisdizione, con riguardo alla decisione della corte territoriale, ha osservato che:
«tale motivazione non appare in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale già espresso da questa corte secondo cui in tema di giurisdizione sui provvedimenti “de potestate”, l’art. 1 della Convenzione dell’Aja dà rilievo unicamente al criterio della residenza abituale del minore, quale determinata in base alla situazione di fatto esistente all’atto dell’introduzione del giudizio, non consentendo, quindi il mutamento della competenza, in ossequio al diverso principio di “prossimità“, poichè questo è evocabile solo in tema di competenza interna; pertanto, in caso di trasferimento di un minore permane la giurisdizione del giudice di residenza abituale, ancorchè l’autorità giudiziaria adita a seguito del trasferimento abbia emesso provvedimenti interinali per ragioni d’urgenza. (Cass. 16864/11)».
In sostanza la Cassazione ritiene che in tema di giurisdizione sui provvedimenti “de potestate“, al fine di stabilire la competenza giurisdizionale di uno stato membro occorre dare rilievo unicamente al criterio della residenza abituale del minore al momento della proposizione della domanda, intendendo come tale:
«il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale e non quello risultante da un calcolo puramente aritmetico del vissuto (Cass. sez. un. 1984/12) In particolare per “residenza abituale” deve intendersi il luogo in cui l’interessato abbia fissato con carattere di stabilità il centro permanente ed abituale dei propri interessi e relazioni, sulla base di una valutazione sostanziale e non meramente formale ed anagrafica, essendo rilevante, ai fini dell’identificazione della residenza effettiva, il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale ed eventualmente lavorativa alla data di proposizione della domanda».
La Corte chiarisce ulteriormente affermando che
« la nozione di “residenza abituale” posta dalla Convenzione dell’Aja corrisponde ad una situazione di fatto, dovendo per essa intendersi il luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi non solo parentali, derivanti dallo svolgersi in detta località della sua quotidiana vita di relazione, il cui accertamento è riservato all’apprezzamento del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, se congruamente e logicamente motivato. (Cass. 22507/06)».
Documenti & Materiali
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