Con la recente sentenza 22/05/2019, n. 13902, la VI Sezione della Suprema Corte ha nuovamente affrontato il tema delle indagini effettuate dalla polizia tributaria sul patrimonio dei coniugi divorziandi.
E’ questo, infatti, un tema scottante sia sotto il profilo dell’ammissibilità che su quelle delle conseguenze.
La sua fonte normativa, come noto, deriva dall’art. 5, comma 9, della Legge di divorzio (L. 01/12/1970, n. 898 e succ. mod.) secondo il quale:
«i coniugi devono presentare all’udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria».
Sul punto, con la sentenza 13902/2019 che qui si segnala la Corte di Cassazione afferma che:
«in tema di determinazione dell’assegno di mantenimento in sede di scioglimento degli effetti civili del matrimonio, l’esercizio del potere del giudice che, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9, può disporre – d’ufficio o su istanza di parte – indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria, costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della prova; l’esercizio di tale potere discrezionale non può sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, ma vale ad assumere, attraverso uno strumento a questa non consentito, informazioni integrative del “bagaglio istruttorio” giù fornito, incompleto o non completabile attraverso gli ordinari mezzi di prova; tale potere non può essere attivato a fini meramente esplorativi, sicché la relativa istanza e la contestazione di parte dei fatti incidenti sulla posizione reddituale del coniuge tenuto al predetto mantenimento devono basarsi su fatti specifici e circostanziati».
In conclusione, dunque, le indagini non possono essere richieste, nè tantomeno compiute, a soli fini esplorativi e devono essere fondate su fatti specifici e ciriconstanziati.
In verità quello qui ribadito dalla Suprema Corte non è altro che un principio già espresso dalla stessa con la sentenza Cass. Sez. VI, 15/11/2016 n. 23263 e qui riconfermato.
L’unica differenza, però, è che in questo recente caso, la decisione è stata assunta a conferma di sentenza di merito che nega l’assegno di divorzio alla richiedente moglie in considerazione della sua capacità reddituale ed in generale della situazione.
Documenti & materiali
Scarica Cass. Civ., Sez. VI, 22/05/2019, n. 13902
Scarica Cass. Civ., Sez. VI, 15/11/2016, n. 23263