L’assegno divorzile non può essere quantificato tout court in una percentuale dei redditi dell’obbligato Cass. Civ., Sez. I, 09/08/2019, n. 21234

By | 09/10/2019

CASS. CIV., SEZ. I, 09/08/2019, N. 21234

«L’imprescindibile finalità assistenziale dell’assegno divorzile, con la quale può concorrere, in determinati casi, quella compensativa. È sufficiente al tal fine constatare che in tutti i casi in cui l’assegno non sia riconosciuto, non ricorrendo in concreto le condizioni per valorizzare la ricordata funzione compensativa. è perché il coniuge richiedente, evidentemente, si trova in condizioni di “autosufficienza economica”. L’esistenza di un obbligo di pagamento dell’assegno implica un perdurante legame di dipendenza (economica) tra gli ex coniugi che non c’è quando detto obbligo non sussista, cioè quando (e proprio perché) entrambi sono “indipendenti economicamente”.

La funzione assistenziale dell’assegno in questione può anche concorrere con (o essere assorbita dalla) funzione compensativa-perequativa, a determinate condizioni, entrambe costituenti espressione della solidarietà post-coniugale valorizzata dalle Sezioni Unite.

l parametro della (in)adeguatezza dei mezzi o della (im)possibilità di procurarseli per ragioni oggettive va quindi riferito sia alla possibilità di vivere autonomamente e dignitosamente (e, quindi, all’esigenza di garantire detta possibilità al coniuge richiedente), sia all’esigenza compensativa del coniuge più debole per le aspettative professionali sacrificate, per avere dato, in base ad accordo con l’altro coniuge, un dimostrato e decisivo contributo alla formazione del patrimonio comune e dell’altro coniuge.

La suddetta valutazione, da operare con riferimento ai criteri indicati dalla norma (art. 5, comma 6), tra i quali la durata del matrimonio, deve tenere conto delle predette esigenze che integrano il parametro dell’adeguatezza, con effetti sul piano anche della quantificazione dell’assegno in concreto.

È tuttavia da escludere che la quantificazione dell’assegno possa consistere in una percentuale dei redditi del coniuge più abbiente – come invece accaduto nella specie -, dovendo parametrarsi al contributo personale dato alla formazione del patrimonio comune e dell’altro coniuge e alle esigenze di vita dignitosa del coniuge richiedente» (Massima non ufficiale)

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di [Omissis], con sentenza del 5 aprile 2018, ha rigettato il gravame di B.L. avverso l’impugnata sentenza che aveva posto a suo carico il pagamento di un assegno divorzile di Euro 20000,00 mensili (lordi), in favore dell’ex moglie Ba.Pa., sulla base delle seguenti circostanze: la Ba. aveva 54 anni circa, aveva abbandonato l’attività di igienista dentale da oltre 18 anni dopo la nascita del figlio (per il quale il B. corrispondeva un contributo di Euro 5000,00 al mese), non svolgeva attività lavorativa e le possibilità di trovare un nuovo lavoro erano molto scarse; era invalida e le sue condizioni di salute erano precarie; il marito le aveva donato una villa a [Omissis], del valore di Euro 750000,00, ma era una casa di vacanze inidonea a permetterle di vivere autonomamente; l’appellante non aveva fornito prova di altre fonti di reddito della Ba.; invece i redditi di B.L., amministratore delegato della ERG, erano molto elevati, pari complessivamente a Euro 4.493.185,00 all’anno. Pertanto, in considerazione della rilevante disparità della situazione economica delle parti e della durata del matrimonio (oltre venti anni), l’attribuzione dell’assegno nell’importo indicato era giustificato, essendo idoneo a consentire alla Ba. di condurre una “esistenza dignitosa” e importando per il B. un sacrificio “non particolarmente gravoso”.

Avverso questa sentenza B.L. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui si oppone la Ba. Le parti hanno presentato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, per avere attribuito l’assegno divorzile, senza che la Ba. avesse assolto all’onere di fornire prova dell’impossibilità di trovare una occupazione lavorativa, non avendo nemmeno allegato di avere cercato di reinserirsi nel mondo del lavoro come igienista dentale, né di essere inidonea all’attività lavorativa per motivi di salute e per avere ritenuto che l’appellante non avesse provato ulteriori fonti di reddito della Ba., con l’effetto di invertire il criterio legale dell’onere della prova, essendo a carico del richiedente l’onere di provare di avere diritto all’assegno.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 111 Cost., comma 6, per avere ritenuto apoditticamente che la Ba. non potesse riprendere la sua precedente attività lavorativa, che consisteva in una professione che implicava un’attività (di igienista dentale) non soggetta a rapida obsolescenza; per avere fatto surrettizia applicazione del criterio del tenore di vita matrimoniale, come si desumeva dal fatto che la Corte d’appello aveva confermato la sentenza del Tribunale che esplicitamente aveva fatto applicazione di quel criterio per l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno; per avere omesso di valutare il profilo dell’indipendenza economica della Ba., concentrando l’attenzione soltanto sui redditi del B. (tra l’altro sovrastimati) e omettendo di valutare se la richiedente versasse in una situazione di impossibilità di condurre con i propri mezzi un’esistenza economicamente autonoma e dignitosa.

Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6, cit., per avere determinato l’assegno in misura comunque ben superiore a quella necessaria a mantenere inalterato il pregresso tenore di vita matrimoniale e a garantire un livello di indipendenza economica adeguato a uno standard di vita medio, per avere avuto riguardo alla posizione del coniuge obbligato anziché a quella del coniuge richiedente l’assegno, per avere trascurato la rilevanza dell’attribuzione alla ex moglie di una casa di notevole valore economico e di ulteriori elargizioni economiche, per avere utilizzato un parametro sfornito di supporto normativo (quello della percentuale, ritenuta modesta, di incidenza dell’assegno sul complessivo ammontare dei redditi dell’obbligato) e per avere omesso di valutare lo scarso contributo personale e patrimoniale dato dalla consorte al rapporto matrimoniale.

2.1.- I motivi in esame, da valutare congiuntamente, sono fondati nei termini che si diranno.

2.2.- La L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, contiene un parametro – la disponibilità di “mezzi adeguati” o “comunque (l’impossibilità di) procurarseli per ragioni oggettive” – e alcuni criteri da utilizzare per l’attribuzione e la determinazione dell’assegno divorzile a favore del coniuge richiedente: le condizioni e i redditi dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune, tutti da valutare anche in rapporto alla durata del matrimonio.

2.3.- La nozione di adeguatezza dei mezzi è stata intesa dalla giurisprudenza tradizionale come finalizzata alla conservazione (tendenziale) del tenore di vita matrimoniale, come desumibile dalle condizioni economiche del coniuge destinatario della domanda, all’esito, in sostanza, del cosiddetto confronto reddituale tra i coniugi al momento della decisione (a partire da Cass. SU n. 11490 e 11492 del 1990).

Sono note le numerose e fondate critiche al suddetto parametro che hanno indotto la giurisprudenza a sostituirlo con quello, intrinsecamente inerente alla nozione di adeguatezza dei mezzi, di indipendenza economica, intesa come possibilità di vita dignitosa (Cass. n. 11504 del 2017): la Corte ha precisato che “per determinare la soglia dell’indipendenza economica occorrerà avere riguardo alle indicazioni provenienti, nel momento storico determinato, dalla coscienza collettiva e, dunque, né bloccata alla soglia della pura sopravvivenza né eccedente il livello della normalità” (Cass. n. 3015 del 2018).

2.4.- Il Collegio ritiene che questo esito interpretativo non sia stato sovvertito dalle Sezioni Unite n. 18287 del 2018, ma solo in parte corretto, e che quindi si debba ribadire, con le precisazioni che si faranno di seguito.

2.5.- Le Sezioni Unite hanno confermato che: a) il parametro (della conservazione) del tenore di vita non ha più cittadinanza nel nostro sistema; b) l’onere di provare l’esistenza delle condizioni legittimanti l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno grava sul coniuge richiedente l’assegno, mentre in passato si poneva l’onere di provare l’insussistenza delle relative condizioni a carico del coniuge potenzialmente obbligato; c) l’assegno svolge una finalità (anche o principalmente) assistenziale.

Per altro verso, le Sezioni Unite hanno: a) evidenziato l’ulteriore e concorrente finalità compensativa o perequativa dell’assegno, nei casi in cui vi sia la prova – di cui è onerato il coniuge richiedente l’assegno, trattandosi di fatto costitutivo del diritto azionato – che la sperequazione reddituale in essere all’epoca del divorzio sia direttamente causata dalle scelte concordate di vita degli ex coniugi, per effetto delle quali un coniuge abbia sacrificato le proprie aspettative professionali e reddituali per dedicarsi interamente alla famiglia, in tal modo contribuendo decisivamente alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune (da ultimo, Cass. n. 10781 e 10782 del 2019, n. 6386 del 2019); b) le Sezioni Unite non hanno condiviso la rigida distinzione tra criteri di attribuzione (an debeatur) e di quantificazione (quantum debeatur) dell’assegno, in tal modo innovando rispetto al precedente orientamento consolidato, con l’effetto che per l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, devono applicarsi i criteri equiordinati di cui alla prima parte dell’art. 5, comma 6, al fine di decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno.

2.6.- Ad avviso del Collegio, risulta confermata la imprescindibile finalità assistenziale dell’assegno, con la quale può concorrere, in determinati casi, quella compensativa.

È sufficiente constatare che in tutti i casi in cui l’assegno non sia riconosciuto, non ricorrendo in concreto le condizioni per valorizzare la ricordata funzione compensativa. è perché il coniuge richiedente, evidentemente, si trova in condizioni di “autosufficienza economica” (cfr. Cass. n. 6386 del 2019). L’esistenza di un obbligo di pagamento dell’assegno implica un perdurante legame di dipendenza (economica) tra gli ex coniugi che non c’è quando detto obbligo non sussista, cioé quando (e proprio perché) entrambi sono “indipendenti economicamente”.

È opportuno precisare che l’assegno non è comunque dovuto qualora entrambi i coniugi non abbiano mezzi propri adeguati per vivere dignitosamente, pure in presenza di un relativo squilibrio delle rispettive condizioni reddituali e patrimoniali.

2.7.- La funzione assistenziale dell’assegno, come si è detto, può anche concorrere con (o essere assorbita dalla) funzione compensativa-perequativa, a determinate condizioni, entrambe costituenti espressione della solidarietà post-coniugale valorizzata dalle Sezioni Unite.

Il parametro della (in)adeguatezza dei mezzi o della (im)possibilità di procurarseli per ragioni oggettive va quindi riferito sia alla possibilità di vivere autonomamente e dignitosamente (e, quindi, all’esigenza di garantire detta possibilità al coniuge richiedente), sia all’esigenza compensativa del coniuge più debole per le aspettative professionali sacrificate, per avere dato, in base ad accordo con l’altro coniuge, un dimostrato e decisivo contributo alla formazione del patrimonio comune e dell’altro coniuge.

La suddetta valutazione, da operare con riferimento ai criteri indicati dalla norma (art. 5, comma 6), tra i quali la durata del matrimonio, deve tenere conto delle predette esigenze che integrano il parametro dell’adeguatezza, con effetti sul piano anche della quantificazione dell’assegno in concreto.

2.8.- Nell’ambito di questo accertamento, lo squilibrio economico tra le parti e l’alto livello reddituale del coniuge destinatario della domanda non costituiscono, da soli, elementi decisivi per l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno.

Il mero dato della differenza reddituale tra i coniugi è coessenziale alla ricostituzione del tenore di vita matrimoniale, che è però estranea alle finalità dell’assegno nel mutato contesto.

L’attribuzione e la quantificazione dello stesso non sono variabili dipendenti soltanto dall’alto (o dal più alto) livello reddituale di uno degli ex coniugi, non trovando alcuna giustificazione l’idea che quest’ultimo sia comunque tenuto a corrispondere all’altro tutto quanto sia per lui “sostenibile” o “sopportabile”, quasi ad evocare un prelievo forzoso in misura proporzionale ai suoi redditi.

Un esito interpretativo di questo genere si risolverebbe in una imposizione patrimoniale priva di causa, che sarebbe arduo giustificare in nome della solidarietà post-coniugale.

2.9.- Non varrebbe evocare in senso contrario l’esigenza (che si assume inerente all’assegno divorzile) “riequilibratrice” delle condizioni reddituali degli ex coniugi, la quale non trova una specifica conferma come funzione autonoma dell’istituto nel testo della norma (art. 5, comma 6, cit.). La suddetta esigenza era coerente, piuttosto, nella diversa prospettiva della conservazione del tenore di vita matrimoniale, rispetto alla quale il riequilibrio dei redditi costituiva l’esito finale di quel confronto reddituale che costituiva il fulcro di ogni valutazione in ordine alla attribuzione e quantificazione dell’assegno.

E tuttavia, una volta superata la suddetta prospettiva, il (parziale) riequilibrio dei redditi altro non è che l’effetto pratico dell’imposizione patrimoniale realizzata con l’attribuzione dell’assegno alle condizioni date (non indipendenza economica e/o necessità di compensazione del particolare contributo dato da un coniuge durante la vita matrimoniale).

3.- Nella specie, la ratio decidendi posta a fondamento della decisione, con la quale la Corte genovese ha riconosciuto alla Ba. un assegno mensile di Euro 20000,00 (lordi), ritenuto adeguato a consentirle di “condurre una esistenza dignitosa”, si articola nei seguenti passaggi argomentativi: a) vi è una “rilevante disparità della situazione economica delle parti”, essendo il B. un top-manager e titolare di redditi estremamente elevati, sui quali l’incidenza di detto assegno sarebbe percentualmente irrisoria (intorno al cinque per cento), sicché il relativo onere economico sarebbe per lui sopportabile; b) la Ba. aveva abbandonato il lavoro di igienista dentale per dedicarsi alla famiglia e non potrebbe agevolmente riprenderlo né trovare una utile collocazione nel mondo del lavoro, in considerazione della sua età (oggi di 55 anni) e delle sue non buone condizioni di salute; c) il marito aveva acquistato per la Ba. una villa del valore di Euro 750000,00 che però costituiva casa per le vacanze; e) il B. non aveva dimostrato ulteriori fonti di reddito della Ba.; d) il matrimonio era durato venti anni.

3.1.- La suddetta ratio, in parte, contrasta con i principi che regolano la materia, come forgiati nella richiamata giurisprudenza di legittimità, ed è anche affetta da motivazione apparente, quindi al di sotto del minimo costituzionale e censurabile, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

La Corte di merito ha affermato di voler fare applicazione del parametro della adeguatezza dei mezzi con riferimento al canone della “esistenza dignitosa”, richiamando la sentenza n. 11504 del 2017, ma in realtà ha fatto surrettizia applicazione del parametro, ormai superato anche dopo l’intervento delle SU del 2018, della conservazione del tenore di vita matrimoniale, avendo confermato il medesimo importo che il giudice di primo grado aveva disposto con riferimento esplicito al tenore di vita.

La Corte, inoltre, rilevando che il B. non ha dimostrato le fonti di reddito della controparte, è incorsa in violazione dei principi in tema di riparto dell’onere della prova, essendo a carico del richiedente l’assegno l’onere di dimostrare la mancanza di mezzi adeguati “o comunque (l’impossibilità di) procurarseli per ragioni oggettive” (art. 5, comma 6).

Se è vero che l’assegno può essere attribuito anche solo per finalità di tipo compensativo, avendo la Ba. rinunciato alla sua attività professionale per dedicarsi alla famiglia, è tuttavia da escludere che la quantificazione dell’assegno possa consistere in una percentuale dei redditi del coniuge più abbiente – come invece accaduto nella specie -, dovendo parametrarsi al contributo personale dato alla formazione del patrimonio comune e dell’altro coniuge e alle esigenze di vita dignitosa del coniuge richiedente.

La sentenza impugnata ha apoditticamente escluso ogni rilevanza all’attribuzione in favore della Ba. di un immobile del valore di Euro 750000,00 e, pur riferendo di una erogazione di Euro 600000,00 effettuata dal B., non ha chiarito se detta somma sia servita per acquistare la suddetta villa o le sia stata data in aggiunta, omissione questa che rende la motivazione apparente su un punto potenzialmente decisivo, ai fini del’a ricostruzione delle disponibilità e, quindi, dell’adeguatezza dei mezzi della Ba.

4.- Il quarto motivo è inammissibile per difetto di interesse: il ricorrente ha imputato alla Corte cenovese di avere esaminato nel merito l’appello incidentale della Ba., il quale tuttavia è stato rigettato.

5.- In conclusione, la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Genova per un nuovo esame, alla luce dei principi indicati, e per provvedere sulle spese della presente fase.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi tre motivi del ricorso e dichiara inammissibile il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di [Omissis], in diversa composizione, anche per le spese.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi

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