Le madri detenute hanno diritto all’assistenza esterna dei figli Corte Cost., 23/07/2018, n. 174


La Consulta, con la sentenza 23/07/2018, n. 174, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma dell’ordinamento penitenziario (art. 21-bis L. n. 354/1975) che subordina il beneficio dell’assistenza esterna ai figli minori di 10 anni alla scelta di collaborare con la giustizia.

Di seguito vi riportiamo il PQM della pronuncia:

«dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 21-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui, attraverso il rinvio al precedente art. 21, con riferimento alle detenute condannate alla pena della reclusione per uno dei delitti di cui all’art. 4-bis, commi 1, 1-ter e 1-quater, della legge n. 354 del 1975, non consente l’accesso all’assistenza all’esterno dei figli di età non superiore agli anni dieci oppure lo subordina alla previa espiazione di una frazione di pena, salvo che sia stata accertata la sussistenza delle condizioni previste dall’art. 58-ter della medesima legge».

Per meglio dire, la norma incriminata eliminava, per la madre condannata per uno dei reati «ostativi» e che non si «ravvede», la possibilità di prendersi cura all’esterno del carcere dei propri figli, condizionando così il rapporto con la prole in tenera età.

La Corte Costituzionale chiarisce che, mentre è possibile subordinare l’accesso ad un «trattamento di favore» nel caso in cui quest’ultimo abbia come unico scopo la risocializzazione del detenuto, tale sistema è precluso nel caso in cui subentra in gioco la tutela dell’interesse (più alto) del minore, già garantito dalla Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20/11/1989 e ratifica con L. n. 176/1991, oltre che dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE.

In particolare – precisa la Consulta – con la  sentenza 239/2014 la stessa Corte aveva chiarito che l’interesse del minore a beneficiare in modo continuativo dell’affetto e delle cure materne non è protetto in modo assoluto, ma può essere confrontato (e mai schiacciato) con esigenze contrapposte sempre di rilievo costituzionale, come la difesa sociale, sottese alla necessaria esecuzione della pena.

La concessione del beneficio resta pur sempre affidata al prudente apprezzamento del magistrato di sorveglianza, chiamato ad approvare il provvedimento disposto dall’amministrazione penitenziaria (ai sensi degli artt. 21, comma 4, e 69, comma 5, L. n. 354/1975). In tale sede, infatti, l’autorità giudiziaria deve

«tenere conto del tipo di reato, della durata, effettiva o prevista, della misura privativa della libertà e della residua parte di essa, nonché dell’esigenza di prevenire il pericolo che l’ammesso al lavoro all’esterno [nel nostro caso: all’assistenza all’esterno ai figli] commetta altri reati» (art. 48, comma 4, del d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, intitolato «Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà»).

La Consulta sottolinea dunque, che i requisiti di legge per accedere al beneficio finalizzato a favorire, al di fuori della restrizione del carcere, il rapporto madre-figlio,

«non possono coincidere con quelli per l’accesso al diverso beneficio del lavoro all’esterno, il quale è esclusivamente preordinato al reinserimento sociale del condannato, senza immediate ricadute su soggetti diversi da quest’ultimo».

Documenti&Materiali

Scarica il testo della sentenza Corte Cost., 23/07/2018, n. 174

Print Friendly, PDF & Email

Author: Avv. Francesca Serretti Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 24 febbraio 1982. Iscritta all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 2010. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione lavoro di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.