L’assenza dal lavoro della moglie durante il matrimonio va considerata nella valutazione dell’assegno divorzile Cass. Civ., Sez. I, 21/05/2021, n. 14044

By | 17/06/2021

CASS. CIV., SEZ. I, 21/05/2021, N. 14044

«Nello stabilire e quantificare l’assegno divorzile, l’assenza dal mondo del lavoro da parte della moglie durante gli anni di matrimonio non costituisce esonero per la stessa dall’onere, laddove in età giovanile ed il possesso di un diploma professionale, di cercare un’occupazione che le consenta di rendersi economicamente autonoma, dovendosi, tuttavia, al tempo stesso, tenere conto del tipo di qualifica professionale concretamente posseduta e degli anni di inattività trascorsi in costanza di matrimonio per la scelta comune di dedicarsi alla casa, elementi che, in qualche misura, ostacolano la ricerca e la conservazione di un’attività idonea a provvedere in via autonoma al proprio mantenimento» (Massima non ufficiale)

RILEVATO

CHE:

Il Tribunale di [Omissis] dichiarò la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra [Omissis] e [Omissis], ponendo a carico di quest’ultimo l’assegno divorzile di Euro 600,00 mensile, da rivalutare dal marzo 2014.

La [Omissis] impugnò la sentenza di divorzio; il S. propose appello incidentale.

La Corte d’appello di [Omissis], con sentenza del 18.1.16, rigettò entrambe le impugnazioni, osservando che: quanto all’appello principale, la [Omissis] non aveva dimostrato lo stile di vita adottato dalla coppia all’epoca della convivenza, e la propria impossibilità attuale ed oggettiva di procurarsi mezzi idonei a conservare un tenore di vita almeno tendenzialmente a quello assimilabile, posto che non erano più attuali le ragioni che nel corso del matrimonio avevano giustificato l’esonero della donna dall’attività lavorativa, tenuto conto della sua età e delle sue competenze di estetista; quanto all’appello incidentale dell’ex-marito- il quale sulla pretesa inerzia della donna vorrebbe fondare l’integrale esonero dall’assegno divorzile- dagli atti emergeva che l’ex-moglie era economicamente svantaggiata sia per le meno qualificate abilità professionali acquisite con il diploma, sia per gli anni d’inattività trascorsi che ostacolavano la ricerca di un’attività che le consentiva di provvedere da sola al proprio mantenimento, sia per la necessità di alloggiare presso la casa della madre per evitare i costi che erano invece insiti nel tenore di vita conseguente al matrimonio; pertanto, correttamente era stato considerato dal Tribunale che, da un lato, dopo cinque anni dalla sentenza di separazione, all’ex-moglie non potesse essere ancora assicurato un mantenimento funzionale ad ogni sua necessità e, dall’altro, che l’omessa produzione della documentazione fiscale da parte del marito non consentisse di ritenere senz’altro comprovata l’assunta riduzione dei suoi redditi da lavoro.

[Omissis] ricorre in cassazione con due motivi, illustrati da memoria.

La [Omissis] resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, affidato ad unico motivo, producendo memoria.

RITENUTO

CHE:

Il primo motivo del ricorso principale denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, in quanto la Corte d’appello ha omesso qualsiasi valutazione riguardante l’inadeguatezza dei mezzi di sussistenza o l’impossibilità per la resistente di procurarseli, pur avendo premesso che l’ex-moglie non aveva provato lo stile di vita goduto in costanza di matrimonio, né la propria impossibilità attuale a procurarsi i detti mezzi di sussistenza.

Il ricorrente evidenzia, inoltre, a sostegno del motivo, che dagli atti di causa era emerso che la [Omissis] aveva svolto attività lavorativa fino all’ottobre del 2012- seppure con contratto a progetto- senza iscriversi alle liste di disoccupazione e che la Corte d’appello aveva errato nel parametrare l’assegno divorzile al presupposto del pregresso tenore di vita.

Con il secondo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione, relativo all’attività di lavoro dipendente svolta dal ricorrente, peraltro conseguendo un minor reddito con il nuovo contratto -dimostrato con la busta-paga di agosto del 2012 e con tutta la documentazione fiscale disponibile al 2012- lamentando altresì, da un lato, che la Corte territoriale non aveva tenuto conto che la rinuncia al precedente lavoro fu dovuta ad un trasferimento nel parmense e, dall’altro, che non erano stati disposti gli accertamenti istruttori richiesti in ordine alla capacità lavorativa dell’ex-moglie.

L’unico motivo del ricorso incidentale denunzia la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, in quanto la Corte territoriale non aveva considerato il giudicato formatosi sul capo della sentenza di primo grado che aveva accertato che la stessa ex-moglie non fosse riuscita a procurarsi un’attività lavorativa, mentre negli anni successivi alla separazione aveva frequentato corsi di estetista, portando a termine gli studi secondari, ed essendo ancora in cerca di occupazione.

Il primo motivo del ricorso principale è infondato.

Invero, la Corte d’appello ha determinato l’assegno divorzile sulla base di un giudizio di bilanciamento tra le situazioni reddituale e patrimoniale degli ex-coniugi, considerando altresì che l’ex-moglie non aveva però dimostrato lo stile di vita goduto in costanza di matrimonio.

Al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. All’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, dunque, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente, non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è, pertanto, finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass., S.U., n. 18287/2018).

Nel caso concreto, la Corte d’appello – sia pure con un percorso motivazionale non del tutto esatto, e che va, pertanto, corretto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., – ha fatto applicazione di tali principi alla fattispecie concreta. Il giudice di appello ha, invero, per un verso, evidenziato che l’assenza dal mondo del lavoro da parte della moglie, durante gli anni di matrimonio, durato più di dieci anni, non costituisce esonero per la stessa dall’onere, stante l’età ancora giovanile ed il possesso di un diploma di estetista, di cercare un’occupazione che le consenta di rendersi economicamente autonoma; per altro verso, ha correttamente tenuto conto della limitata qualificazione professionale e degli anni di inattività trascorsi, per la scelta comune di dedicarsi alla casa, “che in qualche misura ostacolano la ricerca ed il mantenimento di un’attività che le consenta di provvedere da sola al proprio mantenimento”. La Corte ha, pertanto, tenuto conto della durata del matrimonio, della scelta di sacrificare le proprie aspirazioni lavorative operate dalla [Omissis] nel corso della convivenza coniugale, della sua scarsa qualificazione professionale, della temporaneità e provvisorietà delle esperienze professionali acquisite, del fatto che la medesima non dispone di una propria casa di abitazione, essendo costretta ad alloggiare presso la madre.

Per contro, la situazione del S., titolare di un reddito da lavoro stabile, di proprietà immobiliari e di altri potenziali fonti di reddito (TFR, benefits lavorativi, e quota dell’eredità paterna) è risultata decisamente migliore dal punto di vista patrimoniale. Per cui, nella prospettiva solidaristica enunciata dal succitato arresto nomofilattico, la Corte ha correttamente riconosciuto – sia pure facendo riferimento al parametro, non più attuale nell’interpretazione dell’art. 5, comma 6, data dalle Sezioni Unite, del tenore di vita goduto dai coniugi nel corso del matrimonio, che va, pertanto, espunto – alla moglie l’assegno divorzile, nella misura stabilita in primo grado.

Il secondo motivo del ricorso principale è invece inammissibile. Va osservato che con il ricorso per cassazione – anche se proposto con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la parte non può, invero, rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass., 07/12/2017, n. 29404; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 02/08/2016, n. 16056).

La censura si traduce, per contro, in una sostanziale richiesta di rivisitazione del merito della vicenda processuale, mediante il riesame delle istanze difensive e degli elementi di prova documentale versati in atti.

Il motivo di ricorso incidentale è in parte inammissibile ed in parte infondato. L’istante riproduce, invero, argomentazioni e tesi difensive già vagliate dalla Corte d’appello, relative all’impossibilità di procurarsi mezzi di sostentamento adeguati, alla comparazione dei redditi delle parti, ed alla scelta della medesima -concordata con il marito- di dedicarsi all’organizzazione della casa.

Il riferimento all’assegno determinato dalla sentenza di separazione è, poi, del tutto irrilevante stante la diversità ontologica esistente tra i due assegni. Infatti, l’assegno di separazione presuppone la permanenza del vincolo coniugale, e, conseguentemente, la correlazione dell’adeguatezza dei redditi con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Ben al contrario, tale parametro non rileva in sede di fissazione dell’assegno divorzile, che deve invece essere quantificato in considerazione della sua natura assistenziale, compensativa e perequativa, secondo i criteri indicati alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, essendo volto, non alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge beneficiario alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass. 17098/2019).

Attesa la reciproca soccombenza, va dichiarata la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico di entrambe le parti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri titoli identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

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