«La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 -bis cod. pen., non è applicabile nei procedimenti relativi a reati di competenza del giudice di pace».
Le Sezioni Unite della Cassazione Penale, nell’accogliere il ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Venezia avverso la sentenza che aveva dichiarato non punibili due genitori ai quali era stata contestata la contravvenzione di cui all’art. 731 CP (inosservanza dell’obbligo di istruzione elementare del proprio figlio minorenne), ha enunciato il principio di diritto appena menzionato.
Secondo gli ermellini, la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131 -bis CP) non è applicabile ai procedimenti avanti il Giudice di Pace.
La rimessione alle Sezioni Unite era risultata necessaria a seguito del contrasto giurisprudenziale formatosi sul punto.
Nella fattispecie, il giudice di pace – seguendo il primo orientamento di legittimità favorevole all’applicabilità del nuovo istituto anche nei procedimenti avanti il GdP – aveva ritenuto integrato un concorso apparente delle due norme: quella di recente applicazione che ha introdotto l’istituto in discorso (art. 131-bis CP) e quella analoga già prevista dall’art. 34 del D.LGS. n. 274/2000 nei procedimenti di sola competenza del Giudice di Pace in relazione ai reati procedibili a querela. Tale concorso di norme essendo apparente, appunto, doveva risolversi secondo il principio di specialità posto dall’art. 15 CP.
Corollario di tale conclusione è l’assunto che una eventuale esclusione dell’istituto apparirebbe irragionevole proprio in relazione ai fatti di minima offensività (quali i reati su cui deve giudicare il Giudice di Pace), oltre che comunque elusiva della finalità deflattiva che ha animato la novella del 2015, nonché, infine, contraria alla natura sostanziale del nuovo istituto conforme ai dettami europei (in particolare, all’art. 7 CEDU).
Secondo altro e diverso orientamento della Cassazione che, invece, propende per l’esclusione dell’applicazione del nuovo istituto ex art. 131-bis CP nei procedimenti avanti il GdP, in quanto l’art. 34 D.LGS. n. 274/2000 manifesterebbe l’essenza della giurisdizione penale propria del giudice di pace: un procedimento avente come primaria finalità quella conciliativa tra persona offesa e imputato. Per la Cassazione, infatti, considerato ulteriormente il fatto che nel secondo istituto viene posto in risalto il ruolo della persona offesa,
«soltanto la disciplina dell’art. 34 attribuisce a quest’ultima una “facoltà inibitoria” ricollegabile alla valutazione del legislatore circa la natura eminentemente conciliativa della giurisdizione di pace»
Le Sezioni Unite della Cassazione aderiscono a tale secondo orientamento sottolineando la volontà del legislatore. Prendendo le mosse dalla relazione accompagnatoria della novella del 2015, la Cassazione ricorda che, anche se il legislatore si è ispirato alle diverse figure di tenuità previste nello speciale procedimento davanti al Giudice di Pace ed al Tribunale per i Minorenni, deve darsi atto del fatto che la nuova particolare tenuità del fatto abbia una funzione puramente deflattiva. In ciò sta anche la considerazione che l’accesso al nuovo istituto non è precluso da una volontà contraria da parte della persona offesa.
L’altro istituto, invece, contemplato dall’art. 34 D.LGS. cit. attribuisce, invece, un vero e proprio veto in capo alla persona offesa.
Ne consegue che secondo la Cassazione, stante i due distinti ambiti non sovrapponibili su cui operano le due norme, per la risoluzione del concorso apparente di norme aventi lo stesso oggetto non possa ritenersi operante il criterio di specialità, anche in considerazione del fatto che ciascuno dei due istituti presenta elementi di specialità.
Secondo l’interpretazione offerta dalle Sezioni Unite, anche se l’art. 131-bis CP assume la veste di legge sopravvenuta più favorevole, la nuova causa di non punibilità non può dispiegare effetti nel giudizio del Giudice di Pace (anche se ivi si giudica su reati di minima gravità), in considerazione del fatto che tale procedimento è ritenuto tendenzialmente autonomo e
«per il quale sono previsti specifici epiloghi decisori, modulati in termini tali da porre il giudice in una ottica operativa volta a realizzare la conciliazione delle parti – quando una persona offesa è individuabile – antecedentemente alla conclusione del processo […]».
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Scarica il testo di Cass. Pen., SS.UU., 28/11/2017, n. 53683