Messa alla prova e sospensione del processo: le circostanze aggravanti non rilevano Alcune considerazioni a margine di Cass. Pen., Sez. Unite, 01/09/2016, n. 3672


Le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza annotata hanno affermato il seguente principio di diritto:

«ai fini dell’individuazione dei reati ai quali è astrattamente applicabile la disciplina dell’istituto della sospensione con messa alla prova, il richiamo contenuto nell’art. 168-bis c.p. alla pena edittale detentiva non superiore nel massimo a 4 anni va riferito alla pena massima prevista per la fattispecie-base, non assumendo a tal fine alcun rilievo le circostanze aggravanti, comprese le circostanze ad effetto speciale e quelle per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato»,

così, rispondendo al quesito posto dall’ordinanza di rimessione in merito al criterio di quantificazione della pena edittale detentiva per l’applicazione dell’ormai noto rito speciale di cui all’art. 168-bis C.P. (c.d. sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato).

In particolare, la pronuncia in commento risolve – secondo un’intepretazione letterale della richiamata disposizione – la problematica relativa al computo delle circostanze aggravanti (incluse quelle ad effetto speciale e quelle per cui la legge prevede una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato), escludendone la rilevanza nella quantificazione della pena edittale detentiva non superiore a 4 anni prevista per l’ammissibilità della messa alla prova.

Il rito speciale ex art. 168-bis C.P.

Come noto, con l’art. 3 della L. 67/2014 è stato introdotto l’istituto della sospensione del processo penale con messa alla prova dell’imputato, quale nuova causa di estinzione del reato.

Il rito speciale in esame, infatti, produce l’effetto, all’esito positivo della prova, di estinzione del reato e può essere richiesto, per una sola volta, dall’imputato nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a 4 anni (sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria), nonché per i delitti di cui all’art. 550, 2° co., C.P.P. (ovverosia quei reati tassativamenti indicati dalla norma in questione in tema di citazione diretta a giudizio).

La norma in esame, in un’ottica di gradualità della pena rispetto alla minor offensività di talune fattispecie criminose, ha previsto, oltre ai predetti limiti, anche l’osservanza da parte dell’imputato di alcune prescrizioni, tra cui: l‘affidamento ai servizi sociali sulla base di un programma e lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno e, più in generale, l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato.

Il contrasto giurisprudenziale sul rilievo delle circostanze e la soluzione della Corte

Nel caso sottoposto alla Corte, il GUP di Ancona aveva rigettato la richiesta di sospensione del giudizio con messa alla prova richiesta dall’imputata, ritenendo che il reato in contestazione (truffa aggravata, art. 640, 2° co., n. 1, C.P.) non rientrasse nel novero dei reati ammessi al rito speciale, dovendo tenersi conto anche delle circostanze aggravanti ad effetto speciale.

Avverso tale provvedimento, l’imputata aveva poi proposto autonomo ricorso per Cassazione, ricorso assegnato alla Seconda Sezione, che,  rilevando un evidente contrasto giurisprudenziale, ha rimesso la decisione alle Sezioni Unite.

La Corte, pur dichiarando il ricorso inammissibile – poichè, secondo quanto stabilito dal medesimo Collegio delle S.U. in altro procedimento (Cass. Pen., Sez. Unite, 31/03/2016, n. 33216), l’ordinanza di rigetto della richiesta di messa alla prova non è autonomamente impugnabile per cassazione, dovendo attendersi la sentenza di primo grado -,  ha ritenuto comunque di pronunciarsi sul rilevante problema interpretativo riguardante l’applicazione del nuovo istituto.

Stante la mancanza di alcun riferimento, nella norma che regola l’istituto (art. 168-bis C.P.), alla possibile incidenza di eventuali aggravanti nell’individuazione dei reati che possono essere ricompresi nell’ambito dell’istituto della messa alla prova, in giurisprudenza si erano sviluppati due indirizzi contrastanti.

L’uno, più restrittivo, considera che per la determinazione del limite edittale previsto dalla norma dovesse tenersi conto delle aggravanti per le quali la legge prevede una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. Tale assunto muove dalla constatazione che

«il legislatore, quando ha inteso delimitare lo spazio applicativo di istituti, processuali o sostanziali, attraverso il criterio quantitativo “edittale”, lo ha sempre fatto prendendo in considerazione le circostanza di cui all’art. 63, 3° co., C.P. ai fini della determinazione della pena»,

come, ad esempio, con riferimento alle disposizioni sulla competenza (art. 4), sulla determinazione della pena (art. 278) e dell’arresto in flagranza (art. 379), etc.

L’altro indirizzo, più aderente alla lettera della legge, ritiene, invece, di escludere nella determinazione del limite c.d. edittale di tenere conto dell’eventuale contestazione delle aggravanti, ivi incluse quelle ad effetto speciale e quelle che prevedono una pena di specie diversa dall’ordinaria.

Le Sezioni Unite, con la sentenza annotata, abbracciano questo secondo orientamento, ritenendolo più conforme al dettato normativo, anche tenuto conto che il riferimento alla lettera della legge rappresenta la prima regola intepretativa imposta dall’art. 12 preleggi.

La prima lettura intepretativa, infatti, prosegue la Corte,

«risulta smentita anche in base alla “intenzione del legislatore”, ricostruita attraverso i lavori parlamentari […] infatti, nella formulazione originaria della disposizione contenuta nel disegno di legge n. 111 di iniziativa del sen. Palma (artr. 1, comma 1, lett. c), vi era l’esplicito riferimento alle circostanze speciali e ad effetto speciale, ma esso è stato successivamente soppresso nel testo congiunto approvato dal Senato […]».

Oltre alla ricostruzione dell’intenzione del legislatore, finalizzata ad ampliare la portata operativa dell’istituto, ricomprendendo anche reati più gravi, a conforto della tesi che nega rilievo alle circostanze soccorre anche un’ulteriore considerazione.

L’art. 168-bis C.P., per la selezione dei reati ammessi al rito speciale, ricorre ad un duplice criterio, quantitativo (riferimento alla pena edittale non superiore nel massimo a 4 anni) e qualitativo (richiamo ai delitti previsti dall’art. 550, 2° co., C.P., nel novero dei quali sono ricompresi anche reati già aggravati da circostanze ad effetto speciale).

Dunque, secondo i Consiglieri della Corte,

«se il legislatore ha espressamente previsto che nell’ambito di applicazione della messa alla prova vi rientrino anche reati aggravati da circostanze ad effetto speciale, non si comprende perchè avrebbe dovuto introdurre, nel medesimo articolo una regola di tenore contrario».

Escluso, perciò, il rapporto di “regola a eccezione” tra criterio quantitativo e qualitativo appena richiamato, la Corte ritiene senz’altro più consona alla voluntas legis in considerazione della finalità specialpreventiva del nuovo istituto – ed all’interpretazione letterale della citata norma, la soluzione dell’irrilevanza delle circostanze nella determinazione della pena edittale detentiva che consente l’accesso al rito speciale di cui all’art. 168-bis C.P., secondo il principio di diritto richiamato in epigrafe.

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Author: Avv. Francesca Serretti Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 24 febbraio 1982. Iscritta all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 2010. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione lavoro di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

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