Revoca della patente di guida: interviene la Corte Costituzionale, il Prefetto non DEVE ma PUO’ sospendere In nota a sentenza Corte Cost. 23/01/2018 (dep. 09/02/2018), n. 22

By | 13/02/2018

Si parla della revoca della patente di guida a seguito della condanna per reati in materia di stupefacenti.

Con la recente pronuncia 23/01/2017-09/02/2018, n. 22/2018 la Corte Costituzionale ha dichiarato:

«l’illegittimità costituzionale dell’art. 120, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come sostituito dall’art. 3, comma 52, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), nella parte in cuicon riguardo all’ipotesi di condanna per reati di cui agli artt. 73 e 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), che intervenga in data successiva a quella di rilascio della patente di guida – dispone che il prefetto «provvede» – invece che «può provvedere» – alla revoca della patente».

Il Tribunale di Genova aveva denunciato alla Corte Costituzionale, per contrasto con i parametri costituzionali in esse rispettivamente evocati, la disposizione di cui al comma 2, in correlazione al precedente comma 1, dell’art. 120 del codice della strada (D.Lgs 16/12/1992, n. 285 e succ. mod.), con specifico ed esclusivo riguardo alla revoca della patente di guida che consegua a condanna per reati in materia di stupefacenti.

La Corte Costituzionale approfitta per ricordare la natura della misura della patente di guida affermando che:

«la revoca della patente, nei casi previsti dall’art. 120 in esame, non ha natura sanzionatoria, né costituisce conseguenza accessoria della violazione di una disposizione in tema di circolazione stradale, ma rappresenta la constatazione dell’insussistenza (sopravvenuta) dei «requisiti morali» prescritti per il conseguimento di quel titolo di abilitazione».

In sostanza, la Corte precisa, diversamente dal ritiro della patente disposto dal giudice penale ai sensi dell’art. 85 del DPR 309/1990, la revoca del titolo in via amministrativa, di cui alla disposizione censurata, non risponde ad una funzione punitiva, retributiva o dissuasiva dalla commissione di illeciti e trova, viceversa, la sua ratio nell’individuazione di un perimetro di affidabilità morale del soggetto, cui è rilasciata la patente di guida, e nella selezione di ipotesi in presenza delle quali tale affidabilità viene meno.

Per cui quelli che vengono in rilievo in questa sede, sono, appunto, solo gli effetti riflessi della condanna penale, in settori ordinamentali diversi da quello cui è affidata la funzione repressiva degli illeciti con le misure afflittive al riguardo previste.

Venendo al merito della questione sollevata ed in particolare all’automatismo della revoca della patente, da parte dell’autorità amministrativa, in caso di sopravvenuta condanna del suo titolare, per reati in materia di stupefacenti, la Corte Costituzionale, ritiene fondata la questione medesima per violazione dei principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.

La Corte osserva che:

«la disposizione denunciata – sul presupposto di una indifferenziata valutazione di sopravvenienza di una condizione ostativa al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida – ricollega, infatti, in via automatica, il medesimo effetto, la revoca di quel titolo, ad una varietà di fattispecie, non sussumibili in termini di omogeneità, atteso che la condanna, cui la norma fa riferimento, può riguardare reati di diversa, se non addirittura di lieve, entità. Reati che, per di più, possono (come nella specie) essere assai risalenti nel tempo, rispetto alla data di definizione del giudizio. Il che dovrebbe escluderne l’attitudine a fondare, nei confronti del condannato, dopo un tale intervallo temporale, un giudizio, di assenza dei requisiti soggettivi per il mantenimento del titolo di abilitazione alla guida, riferito, in via automatica, all’attualità».

Ed aggiunge che:

«ulteriore profilo di irragionevolezza della disposizione in esame è, poi, ravvisabile nell’automatismo della “revoca” amministrativa rispetto alla discrezionalità della parallela misura del “ritiro” della patente che, ai sensi dell’art. 85 del d.P.R. n. 309 del 1990, il giudice che pronuncia la condanna per i reati in questione «può disporre», motivandola, «per un periodo non superiore a tre anni».

Insomma secondo la Corte Costituzionale:

«la contraddizione sta, invece, in ciò che – agli effetti dell’adozione delle misure di loro rispettiva competenza (che pur si ricollegano al medesimo fatto-reato e, sul piano pratico, incidono in senso identicamente negativo sulla titolarità della patente) – mentre il giudice penale ha la “facoltà” di disporre, ove lo ritenga opportuno, il ritiro della patente, il prefetto ha invece il “dovere” di disporne la revoca».

Per tali profili di contrasto con l’art. 3 Cost. la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale del citato comma 2 dell’art. 120 cod. strada, nella parte in cui dispone che il prefetto «provvede», invece che «può provvedere», alla revoca della patente di guida, in caso di sopravvenuta condanna del suo titolare per reati di cui agli artt. 73 e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990.

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