REPLAY: Costituzione telematica nel PCT (e non solo): non scherziamo col fuoco/3 Parte terza: normativa tecnica, circolari, protocolli ed altro. Conclusioni

By | 13/08/2015

Concludiamo, con questa terza ed ultima parte (che fa seguito alle prime due pubblicate il 12/09/2014 ed il 22/09/2014), la discussione relativa alle problematiche poste dall’attività di costituzione delle parti effettuata telematicamente.

Si è visto, che, a fronte di una dottrina che sostiene la piena legittimità della costituzione telematica in giudizio, la giurisprudenza si è orientata per la soluzione opposta e, dove ha aperto spiragli, lo ha fatto con motivazioni alquanto opinabili (fatta eccezione per il  recente ed innovativo precedente del Tribunale di VercelliTrib. Vercelli, Sez. Civ., ordinanza 04/08/2014 – sul quale si tornerà al termine di questo articolo e che con sintetica chiarezza ha fatto giustizia delle molte inesattezze che si sono sino ad oggi lette in materia).

Si sono creati, in tal modo, ambiti di rilevante incertezza processuale con quel che ne segue: tutti possiamo ben immaginare (e qualcuno avrà purtroppo anche sperimentato), infatti, cosa significhi impiegare anni a scalare i tre gradi del giudizio civile per essere infine costretti, a causa di un vizio processuale, a ritornare al punto di partenza come nulla fosse accaduto.

Un supplizio di Sisifo “versione forense” in cui il giurista pratico, telematico o meno che egli sia, deve sforzarsi in ogni modo di non incappare. E, in questo tentativo, dopo i due articoli precedenti dedicati all’esame della giurisprudenza e della normativa in tema di costituzione telematica in giudizio, occorre da ultimo concentrarsi sulla regolamentazione tecnica (o meglio tecnico/amministrativa) in materia: un complesso di norme solo apparentemente di dettaglio, visto che spesso i provvedimenti giurisdizionali adottati ne fanno ampio uso, con valenza spesso decisiva.

Le specifiche tecniche della DGSIA

Cominciamo, allora, con l’esaminare le specifiche tecniche emesse dalla DGSIA (acronimo, che, come si ricorderà, significa Direzione Generale dei – o per i – Sistemi Informativi Automatizzati).

In sintesi, può dirsi che tale genere di provvedimento tecnico trova la propria fonte normativa in una delega, per così dire, “a cascata”, la quale, proprio per tale ragione, pone qualche perplessità sotto il profilo delle gerarchia delle fonti che si stanno per esaminare.

Le fonti

Ed infatti, nell’anno 2010, l’art. 4, 1° co., D.L. 29/12/2009, n. 193 (conv. in L. 24/2010), delegò il Ministero della Giustizia ad adottare l’apposito regolamento contenente le «regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione».

In esecuzione di tale delega, il Ministero, nell’anno successivo, emanò il D.M. 21/02/2011, n. 44, contenente le predette regole tecniche, a propria volta (sub)delegando, ex art. 34 D.M. 44/2011 cit., il «responsabile per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia» ad emanare le conseguenti «specifiche tecniche».

Su tali basi, la DGSIA ha a sua volta emanato un primo provvedimento del 18/07/2011, ed, indi, un secondo provvedimento del 16/04/2014, sostitutivo del primo ed attualmente vigente, entrambi recanti, appunto, le «specifiche tecniche previste dall’articolo 34, comma 1 del decreto del Ministro della giustizia in data 21 febbraio 2011 n. 44».

I problemi

Ora, è altamente probabile che il lettore “non-telematico” o “scarsamente-telematico”, terminata la lettura dell’elenco sopra riportato, abbia anche immediatamente chiuso la pagina, scuotendo la testa.

Si tratta, di un atteggiamento comprensibile, ma piuttosto rischioso, visto che le disposizioni di cui sopra, soprattutto quando non correttamente inquadrate sotto il profilo giuridico, rischiano di abbandonare la loro innocua veste meramente tecnica e di trasformarsi in prescrizioni processuali di natura formale, la cui violazione determina conseguenze esiziali sull’attività processuale delle parti in termini di inammissibilità o nullità degli atti da esse compiuti.

Un esempio per tutti emerge chiaramente dal già esaminato precedente del Tribunale di Roma (Trib. Roma, decreto 09/06/2014), che, proprio basandosi sul disposto dell’art. 12, 1° co., lett. c. del provvedimento DGSIA del 18/07/2011 (oggi sostituito dall’attuale provvedimento del 16/04/2014, che contiene una disposizione analoga) secondo cui l’atto informatico deve essere ottenuto

«da una trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti [non essendo dunque] ammessa la scansione di immagini»,

ha dichiarato inammissibile un ricorso per decreto ingiuntivo in quanto depositato telematicamente in formato immagine e non in formato testo (ma si veda, contra, la già ricordata ordinanza Trib. Vercelli, Sez. Civ., 04/08/2014, su cui ci si intratterrà al termine del presente articolo).

Si tratta, quantomeno a parere di chi scrive, di applicazioni ispirate ad un formalismo esasperato, le quali, fondando nullità processuali su prescrizioni di natura puramente tecnica, con buona pace dei principi dettati in materia di gerarchia delle fonti, finiscono con il disapplicare regole fondanti del sistema processuale, quali il principio del raggiungimento dello scopo e di legalità/tassatività delle nullità formali previsti dall’art. 156 C.P.C.

E ciò a maggior ragione se si considera che la prescrizione tecnica di cui si sta trattando trova la propria fonte in un inopinato meccanismo di sub-delega (come si è visto sopra, infatti, la legge delega incaricò il Ministro della Giustizia di adottare «regole tecniche», e quest’ultimo, nell’adottare tali regole, a sua volta delegò il responsabile SIA ad emanare proprie autonome «specifiche tecniche»; cioè, in definitiva, a fare ciò che il Ministro stesso – e non altri – avrebbe dovuto fare in virtù dell’originario mandato legislativo):il che fa sorgere più di una perplessità sotto il profilo della legittimità dell’intera operazione.

I provvedimenti ricognitivi emanati dalla DGSIA

Discorso analogo vale per i provvedimenti dalla sopra ricordata Direzione Generale per i Sistemi Informativi Automatizzati previsti dall’art. 35, 1° co., D.M. 21/02/2011, n. 44, secondo il quale

«l’attivazione della trasmissione dei documenti informatici da parte dei soggetti abilitati esterni è preceduta da un decreto dirigenziale che accerta l’installazione e l’idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici nel singolo ufficio».

Cosa sono e dove si trovano

I provvedimenti in questione vanno, in primo luogo distinti da quelli concernenti le specifiche tecniche che si sono discussi al punto precedente.

In questo caso, infatti, non si è in presenza di articolati con carattere di generalità, ma di accertamenti abilitativi tecnici ad hoc, pubblicati nell’apposita area del PST (Portale dei Servizi Telematici), il cui compito è verificare l’idoneità dei singoli Fori (ad es. Tribunale di Pesaro, Tribunale di Rimini, etc.) ad attivare il PCT: in toto o per singole tipologie di procedimento (ad es. contenzioso civile, lavoro, volontaria giurisdizione, fallimentare etc.) e, all’interno di queste ultime, per singole categorie di atti (ad es., per ciò che attiene il procedimento ordinario di cognizione, memorie ex art. 183 C.P.C., comparse conclusionali, elaborati del CTU etc.).

Per esemplificare nel concreto, il provvedimento disponibile alla data in cui si scrive per il Tribunale di Pesaro, relativamente al procedimento ordinario di cognizione e di lavoro  è quella di seguito riportato.

ProrvvedimentoPesaro

L’analogo provvedimento adottato per ciò che concerne il Tribunale di Ancona, viceversa, è quello riportato qui a fianco (entrambe le indicazioni, si badi, sono meramente esemplificative e vanno verificate sul PST al momento del compimento dell’attività).

I problemi

Mettendo a confronto i due provvedimenti, emerge come il Tribunale di Ancona sia stato dichiarato idoneo alla ricezione del deposito telematico degli atti di citazione, abilitazione che invece manca nel caso del Tribunale di Pesaro.

Ora, se si pone mente al fatto che il Tribunale di Padova (Trib. Padova, Sez. II, ordinanza 03/09/2014), in assenza di uno specifico provvedimento abilitativo DGSIA del tipo di quelli qui in esame, ha ritenuto la costituzione telematica comunque effettuata dalle parti, non solo nulla, ma anche non recuperabile ad alcun effetto giuridico, neppure nella prospettiva del raggiungimento dello scopo di cui all’art. 156 C.P.C., ne emerge concretamente verificato come la differenza meramente tecnica contenuta nei rispettivi provvedimenti di cui sopra, se trascurata, o peggio ignorata, possa determinare ricadute giuridiche anche molto pesanti.

Basti, infatti, pensare che, seguendo la linea di ragionamento del giudice padovano, il deposito telematico di un atto di citazione sarebbe atto legittimo nel Foro di Ancona, mentre darebbe luogo ad una nullità processuale insanabile dinanzi al Tribunale di Pesaro.

Si consideri, inoltre, che la tendenza a far discendere la legittimità (o meno) della costituzione telematica dall’esistenza (o meno) dell’apposita abilitazione tecnica DGSIA in discorso sembra farsi strada, oltre che in giurisprudenza, anche in buona parte della prassi protocollare che si esaminerà in seguito (a parere di chi scrive in modo del tutto erroneo, anche alla luce dell’esame delle fonti normative che si è svolto nella seconda parte dell’articolo pubblicata il 22/09/2014 e del già citato recente precedente Trib. Vercelli, Sez. Civ., ordinanza 04/08/2014, su cui si veda infra, al termine dell’articolo).

Dunque, quantomeno nei casi in cui l’apposito provvedimento DGSIA di cui qui si discute non dichiari l’idoneità telematica al deposito degli atti introduttivi, o dichiari l’idoneità al deposito solo di alcuni tipi di questi ultimi, il suggerimento pratico che può fornirsi allo stato è quello di procedere alla costituzione in giudizio in via cartacea (tale, peraltro, l’indicazione fornita dal Consiglio dell’Ordine di Pesaro con email 42/2014).

Merita in ogni caso aggiungere che, anche nei casi in cui tale idoneità tecnica sia dichiarata, sembra comunque opportuno adottare un sano atteggiamento prudenziale, alla luce del fatto che il già citato art. 16-bis D.L. 18/20/2012 n. 179 prevede il deposito telematico degli atti «da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite» senza distinguo alcuno, lasciando aperta la strada a soluzioni ben più drastiche di quella adottata dal Tribunale di Padova nel precedente sopra discusso.

Le circolari

Qualche cenno, ancora, va fatto alle circolari.

In estrema sintesi, è noto che le circolari sono atti essenzialmente  privi di rilevanza giuridica diretta all’esterno della P.A., sebbene possano comunque assumere una valenza indiretta, attraverso il condizionamento che sono comunque in grado di esercitare nei confronti delle singole amministrazioni.

Condizionamento che via via aumenta, sino a divenire un vincolo in senso proprio, a seconda del contenuto di specie del singolo provvedimento, del tipo di amministrazione di volta in volta considerata e della posizione gerarchica dell’autorità emanante nella relativa catena di comando.

Tale tipologia di atti, inoltre, esercita un’innegabile influenza interpretativa erga omnes, specie allorquando tramite essa vengano affrontate delicate problematiche operative e dettate le conseguenti linee di azione.

Nel caso del PCT, si rinvengono almeno due atti di tale natura: la circolare del Ministero della Giustizia del 27 giugno 2014 e la circolare DGSIA del  08/07/2014.

 La circolare Ministero Giustizia del 27/06/2014

Il primo dei due atti appena ricordati (recante «adempimenti di cancelleria conseguenti all’entrata in vigore degli obblighi di cui agli artt. 16 bis e sgg. d.l. n.179/2012 e del d.l. n. 90/2014»), si segnala per affrontare in modo dettagliato prassi operative di grande rilevanza, quali le modalità dei depositi telematici, le problematiche relative all’orario entro cui è possibile procedervi e della relativa prova etc.

Non è qui, ovviamente, possibile svolgere un esame approfondito di tale circolare, ma vale comunque la pena di richiamare la parte finale del punto 1 di quest’ultima, posto che ivi viene presa una posizione piuttosto chiara sul problema della costituzione telematica in giudizio e del rapporto tra tale attività e l’abilitazione tecnica DGSIA di cui si è sopra parlato, stabilendo espressamente che, nel caso in cui le parti

«procedano al deposito telematico dell’atto introduttivo o di costituzione in giudizio in assenza della predetta abilitazione, la valutazione circa la legittimità di tali depositi, involgendo profili prettamente processuali, sarà di esclusiva competenza del giudice. Di conseguenza non spetta al cancelliere la possibilità di rifiutare il deposito degli atti introduttivi (e/o di costituzione in giudizio) inviati dalle parti, anche presso quelle sedi che non abbiano ottenuto l’abilitazione ex art. 35 D.M. n.44/11».

Il che si connota per due aspetti di rilievo:

  • l’aver dato atto dell’esistenza di un problema relativo al rapporto tra liceità della costituzione telematica in giudizio ed esistenza del provvedimento abilitativo DGSIA di cui si è già detto;
  • l’aver espressamente stabilito che, in caso di costituzione telematica in assenza dell’abilitazione DGSIA, la soluzione della relativa questione processuale spetta comunque al giudice e mai al cancelliere, il quale, dunque, non potrà rifiutare l’atto.

Ora, se con riferimento al primo dei due aspetti appena sintetizzati si sono già manifestate alcune perplessità, non si può che condividere il contenuto del secondo, visto che è il giudice – e non certo il cancelliere – il soggetto cui spetta risolvere ogni questione relativa alla validità della costituzione delle parti in giudizio.

Per non farci mancare nulla, tuttavia, vedremo in seguito che, almeno in un caso (provvedimento 14/07/2014 del Presidente f.f. del Tribunale di Trento) la prassi operativa dei singoli Fori si è evoluta in aperto contrasto con tale condivisibile orientamento amministrativo (ordinando espressamente alla cancelleria di rifiutare i depositi telematici avvenuti in assenza dell’abilitazione tecnica in discorso).

La circolare DGSIA del 08/07/2014: rinvio

Il secondo provvedimento di rilievo è costituito dalla circolare DGSIA del 08/07/2014 (intitolata «D.L. 26 giugno 2014, n. 90 art. 51 – messaggi di posta elettronica certificata (PEC) che eccedono la dimensione massima fissata nelle specifiche tecniche PCT»), la quale affronta e tenta di risolvere il problema degli invii di buste telematiche eccedenti il limite di capienza tecnica di queste ultime (30 Mb).

Di tale circolare e dei problemi che essa pone in rapporto alla regolamentazione della costituzione in giudizio prevista dagli artt. 165 e s. C.P.C., si è già discusso (criticamente) nella prima parte di questo post pubblicata il 12/09/2014, cui, pertanto, si rinvia.

I protocolli: elogio del caos

Veniamo, infine, all’ultima delle fonti in materia di PCT: i protocolli convenzionalmente adottati nei singoli Fori (un elenco dei quali è rinvenibile nell’apposita sezione del blog a ciò dedicata).

Elogio delle prassi protocollari

L’ultima delle fonti si diceva, ma solo sotto un profilo giuridico, in quanto, nella vita pratica quotidiana, il discorso cambia e non di poco.

In tesi generale, infatti, un protocollo altro non è se non il precipitato scritto delle cosiddette “buone prassi”. Una forma, cioè, di procedimentalizzazione convenzionale delle abitudini operative localmente adottate in via spontanea e, proprio perciò, valutate come consone alle caratteristiche dimensionali ed organizzative del Foro

Le prassi fatte proprie dal “nostro” giudice, insomma: consuetudini silenti, metagiuridiche, ma non per questo meno vincolanti ed anzi, a volte cogenti quanto e più della stessa norma scritta.

Nulla di male, dunque, nel formalizzare ciò che, in fondo, è assistito dall’ opinio juris ac necessitatis forense e, proprio per tale ragione, ha i titoli per assurgere a fonte, pur locale e surrettizia, di diritto processuale consuetudinario.

Ma…….

Senonché, tale impostazione può reggere sintantoché riguardi (come dovrebbe, trattandosi di fonte del diritto di rango residuale) aspetti marginali e/o episodici e/o di dettaglio dell’agire processuale.

Diventa, invece, insostenibile, quando la prassi tenda a diventare essa stessa “sistema”, dettando norme innovative relativamente ad aspetti fondamentali dell’agire in giudizio, qual è l’attività di costituzione in giudizio qui in esame.

A prescindere da qualsiasi ricostruzione giuridica in materia di gerarchia delle fonti, infatti, basta banalmente ricordare come ogni dettato normativo, per disordinato, frammentato e confuso che esso sia, resta pur sempre dotato di un’origine certa e predeterminata, verificabile sulle stesse fonti ufficiali da cui promana ed applicabile, oltre che contestabile, infine, secondo regole anch’esse predeterminate ed universalmente condivise.

Certo non è, invece – come oggi accade nell’ambito dei protocolli PCT (scorrere l’apposita sezione del blog per credere) – il risultato dell’elaborazione volontaristica ora di un singolo Ordine degli Avvocati, ora di una singola associazione di categoria forense, ora di un singolo organismo più o meno tecnico costituito ad hoc, ora dell’ordine autoritativo di un singolo Presidente di Tribunale, a seconda dei casi.

Attività la cui formalizzazione e pubblicizzazione, per di più, resta affidata alla buona volontà delle parti che vi procedono (le quali potranno ad libitum, consacrarla o meno in un documento sottoscritto e datato; dare adeguata pubblicità all’evento o meno, e nel caso in cui si decida per la pubblicizzazione, stabilirne o meno le relative modalità, etc.) ed il cui contenuto potrà concernere i più vari aspetti processuali e contenere le più diverse regolamentazioni, con l’unico limite dettato dall’umano buon senso, sul quale, tuttavia, sembra opportuno non fare eccessivo affidamento.

Il che, come è ovvio, ha l’effetto di pervenire al risultato esattamente opposto a quello cui tendono, in tesi generale, le prassi protocollari: queste ultime, infatti, formalizzano abitudini operative di dettaglio facilitando l’attività degli operatori, i cd. “protocolli PCT”, comunque denominati, invece, manifestano spesso la tendenza ad intervenire su aspetti essenziali dell’agire processuale, divenendo norma di tale agire.

Una norma senza fonte predeterminata, senza possibilità di contestazione e senza pubblicità formale, la cui applicazione rischia di trascinare il sistema nel caos, tanto più, quando ad essa venga apertamente o surrettiziamente, attribuita la caratteristica della vincolatività in senso tecnico.

Si veda, ad esempio, sul punto, quanto riportato nelle premesse del protocollo distrettuale adottato presso la Corte di Appello di Venezia, secondo cui

«la mancata ottemperanza alle indicazioni contenute in questo protocollo comporterà l’applicazione della sanzione prevista per ciascuna specifica violazione. In assenza di sanzioni processuali tipizzate dal legislatore (ad es. la nullità), il Presidente della Corte potrà valutare il comportamento dell’operatore riservando, in ogni caso, nell’ambito dei poteri attribuitigli dalla legge di vigilanza su tutti gli Uffici giudiziari del distretto, l’adozione delle iniziative di sua competenza, ivi compresa la segnalazione agli ordini professionali».

A buon intenditor……

Costituzione telematica e protocolli: il caos

Ed un esempio di quanto si va dicendo si ha proprio con riferimento al problema della costituzione in giudizio per via telematica, dove tutti gli elementi che si sono sino ad ora presi in considerazione – norma giuridica, norma tecnica, giurisprudenza, circolari ministeriali e prassi locali – si sovrappongono tra loro in modo del tutto scoordinato.

Si ricorderà, infatti, come, a fronte di un testo dell’art.16-bis, 1° co., D.L. 18/10/2012, n. 179, conv. in L. 17/12/2012, n. 221 che non legittima testualmente la costituzione telematica, facendo riferimento ai soli atti depositati dai «difensori delle parti precedentemente costituite» in giudizio, e a fronte di una giurisprudenza piuttosto restrittiva sul punto, la circolare 27/06/2014 Ministero Giustizia si pone su una linea alquanto differente.

Tale atto, infatti, sulla premessa che

«l’entrata in vigore delle norme di cui all’art. 16 bis d.l. cit. non innovi in alcun modo la disciplina previgente in ordine alla necessità di un provvedimento ministeriale per l’abilitazione alla ricezione degli atti introduttivi e di costituzione in giudizio»,

trae la conseguenza che

«nei tribunali già abilitati a ricevere tali atti processuali ai sensi dell’art. 35 DM 44/11, continuerà a costituire facoltà (e non obbligo) delle parti, quella di inviare anche gli atti introduttivi o di costituzione in giudizio mediante deposito telematico»,

in tal modo pervenendo a conclusioni molto diverse rispetto a quelle che si sono appena tratte (e che si possono conciliare con esse solo ritenendo decisiva, a fini della legittimità della costituzione telematica, la presenza dell’abilitazione tecnica DGSIA, rilievo, che, tuttavia, chi scrive non condivide, posto che esso basa la legittimità di un atto difensivo fondamentale sull’esistenza di un presupposto tecnico/burocratico. V. sul punto, peraltro, quanto si dirà al termine di questo articolo a commento della recente ordinanza Trib. Vercelli, Sez. Civ., 04/08/2014).

Dal canto suo, poi, la circolare DGSIA 08/07/2014 (di cui si è discusso criticamente nella prima parte del presente articolo) nel dettare addirittura specifiche modalità tecniche per il deposito degli atti introduttivi di parte, dà evidentemente per scontata la legittimità della costituzione telematica.

Dunque, mentre testo normativo e giurisprudenza sembrano orientarsi per una soluzione restrittiva del problema in esame (con l’eccezione per l’appena menzionata ordinanza Trib. Vercelli, Sez. Civ., 04/08/2014, della quale si dirà infra, al termine dell’articolo) l’amministrazione sembra viceversa dare per scontata, almeno a certe condizioni, tale possibilità.

Nella situazione data, dunque, appare sicuramente utile verificare quel che accade a livello di prassi protocollari in materia di PCT, ove, tuttavia, si scopre un universo completamente disomogeneo e piuttosto disorientante.

Troviamo infatti, l’uno a fianco all’altro, atti (denominati o meno “protocolli” che essi siano) che, in merito alla problematica qui in esame, di volta in volta:

  • non ammettono la costituzione telematica, precisando che il cancelliere non può tuttavia rifiutare l’eventuale costituzione comunque effettuata per tale via, riservando la relativa decisione al giudice (ad es. Prot. Busto Arsizio, pag. 1 e s.);
  • non ammettono la costituzione telematica disponendo che il cancelliere rifiuti il deposito delle costituzioni telematiche comunque effettuate, e ciò in modo dichiaratamente contrario alle indicazioni diffuse dal Ministero della Giustizia nella propria circolare del 27/06/2014 (la quale, come si è visto sopra, al punto 1 prevede espressamente che il cancelliere, nei casi in esame, non possa rifiutare il deposito. In tal senso si veda il provvedimento 14/07/2014 del Presidente. f.f. del Tribunale di Trento).

Con il risultato, piuttosto evidente, che il malcapitato difensore che intenda avvalersi del mezzo telematico, al fine di minimizzare l’eventualità di pronunce di inammissibilità in rito, in via cautelativa e preventiva dovrà non solo verificare preventivamente di volta in volta sul Portale dei Servizi Telematici se il Foro di riferimento sia stato tecnicamente abilitato ed al deposito di che cosa sia stato tecnicamente abilitato, ma anche controllare se esistano specifiche prassi protocollari e che cosa esse prevedano.

E poi dovrà anche sperare che, nel mentre egli verifica la situazione, questa non stia frattanto mutando a sua insaputa (nessuno è in grado di sapere con certezza quando i vari tavoli tecnici elaborino o rivedano le rispettive regole protocollari, né è prevista alcuna forma predeterminata di pubblicità per tali evenienze); e/o che non esistano, oltre ai protocolli, ulteriori documenti localmente emanati (provvedimenti, comunicazioni etc.), di difficile, quando non impossibile, reperibilità per chi non appartenga al Foro interessato; e/o, infine, che il singolo giudice istruttore effettivamente applichi le prassi protocollari come sopra elaborate e non faccia, invece, quel che gli pare, come pure accade (del tutto legittimamente, peraltro – ma se ne dovrebbe discutere – posto il principio della libertà di giudizio: tot capita tot sententiae).

Se a ciò si aggiunge che quello della costituzione telematica in giudizio è solo uno dei problemi che si pongono allorquando si parla di PCT, pare alquanto dimostrato come il paventato rischio del completo caos operativo non sia affatto peregrino.

Qualche conclusione (se possibile)

Trarre conclusioni in una situazione quale quella che si è sin qui esaminata è alquanto arduo.

Esiste ancora un “giusto processo civile”?

In tesi generale, giova probabilmente ricordare che, al di là dell’aggettivazione, il “processo telematico” resta sempre e comunque un processo, cioè un insieme di regole formali che hanno il compito di garantire in astratto a tutti che il meccanismo adottato per fare giustizia sia prevedibile ed equanime (ovverosia giusto).

Da una tale, peraltro banalissima, premessa, deriva – più che una conclusione – un dubbio: una struttura processuale che rimette alla decisione unilaterale ed estemporanea dei singoli Fori la regolamentazione concreta di aspetti delicatissimi della procedura, quali la costituzione in giudizio (ed altri), può ancora definirsi “giusto processo”?

E’ un dubbio importante, che, almeno per chi scrive, può essere risolto solo mettendo mano alla riforma organica del codice di rito, che necessita di una “digitalizzazione”, cioè di trasformarsi da codice di un processo civile cartaceo in codice di un processo civile digitale.

Si tratta di un progetto che richiede tempo, energie e chiarezza di visione e che, dunque, conoscendo le (pessime) abitudini del nostro legislatore, probabilmente non sarà mai realizzato o lo sarà in tempi biblici.

Nel frattempo, dunque?

Trib. Vercelli, ordinanza 04/08/2014: una luce in fondo al tunnel

Alla luce della ricostruzione legislativa svolta nella seconda parte di questo articolo, chi scrive resta un pervicace sostenitore dell’assoluta legittimità della costituzione telematica in giudizio, del tutto indipendentemente dall’adozione preventiva di provvedimenti abilitativi burocratici di sorta.

In tal senso, il recente precedente costituito dall’ordinanza Trib. Vercelli, Sez. Civ., 04/08/2014, cui si è fatto riferimento all’inizio di questo articolo, appare assolutamente confortante.

Quest’ultima decisione, infatti, con cristallina sinteticità, fa giustizia dei cervellotici distinguo operati sino ad ora e segna tre punti fermi, che sono:

  1. l’art.16-bis, 1° co., D.L. 18/10/2012, n. 179, conv. in L. 17/12/2012, n. 221, non prevede il deposito telematico degli atti processuali introduttivi, ma non commina alcuna sanzione di nullità in relazione a tale tipo di deposito. Ne consegue che quest’ultimo, laddove comunque effettuato, è meramente irregolare, ma non nullo;
  2. anche se dovesse ritenersi configurabile una nullità processuale, occorrerebbe comunque verificare se l’atto di costituzione telematicamente depositato abbia raggiunto il suo scopo e, in ipotesi, farne salvi gli effetti ai sensi dell’art. 156 C.P.C..;
  3. posto che l’art.16-bis appena citato non fa conseguire alcuna nullità da eventuali vizi di forma “telematica” (né è possibile farne discendere dalle disposizioni tecniche emanate dalla DGSIA, che non hanno natura di norma primaria e, dunque, non possono prevedere nullità di sorta ex art. 156 C.P.C.), l’atto telematico depositato in formato pdf immagine e non in formato pdf testo è meramente irregolare e non nullo.

Si tratta, di affermazioni semplici e di gran buon senso che si confida verranno condivise al più presto dalla giurisprudenza.

Tuttavia, la realtà che si è descritta e l’altissimo rischio di decisioni estemporanee ed imprevedibili che essa porta con sé (si pensi, ad esempio, al fatto che il protocollo adottato dallo stesso Tribunale di Vercelli –  Tribunale da cui promana l’eccellente decisione appena discussa – espressamente sancisce l’impossibilità di depositare telematicamente gli atti introduttivi o al fatto che i protocolli di Modena e Torino altrettanto espressamente escludono il «valore legale» di tale genere di depositi), induce ad optare per un atteggiamento operativo massimamente prudente.

Documenti & materiali

Sentenze citate nel corso dell’articolo
Normativa citata nel corso dell’articolo
Protocolli PCT citati nel corso dell’articolo

Avviso “Replay”

Questo articolo è stato pubblicato in data 17/10/2014 ed è stato uno dei più letti del nostro blog. Non costituisce un aggiornamento e viene nuovamente pubblicato nella sua stesura originaria per la serie “Replay” di agosto 2015.

Author: Avv. Luca Lucenti

Avvocato, nato a Pesaro il 20 ottobre 1961. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1991. Abilitato al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Responsabile di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

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