PCT: efficacia delle risultanze INI-PEC e validità della notifica a mezzo PEC A commento di una pronuncia della Corte d'Appello di Bologna

By | 04/03/2015

Lo scorso 18 febbraio vi abbiamo riferito di come il Tribunale di Milano si fosse “lanciato” a ritenere il deposito della c.d. copia di cortesia degli atti giudiziari redatti telematicamente un’attività non solo obbligatoria, ma altresì munita di sanzione in caso di omissione, per l’effetto  condannando la parte che, “scortesemente”, non vi aveva provveduto al pagamento della somma di cui al terzo comma dell’art. 96 C.P.C., nella specie «equitativamente determinata» in € 5.000,00.

Mentre attendiamo di sapere se il ministero della Giustizia darà seguito alla richiesta di apertura di procedimento disciplinare a carico dei magistrati che hanno redatto il provvedimento appena citato, avanzata dall’UNCC il 18 febbraio scorso, va precisato che tale provvedimento rappresenta solo uno – seppure certamente il più eclatante –  tra i tanti esempi di “arroccamento” giurisprudenziale in tema di PCT.

Ne abbiamo esaminati già diversi negli scorsi articoli dedicati al tema: da chi ha considerato inammissibile una domanda depositata in formato pdf immagine, invece che in formato pdf testo, a chi continua a considerare invalide le costituzioni in giudizio telematicamente effettuate  (per un rapido excursus della giurisprudenza in materia si veda il post del 16/10/2014 e l’apposita sezione del blog).

Oggi ci soffermeremo su un altro provvedimento (C. App. Bologna, Sez. III, 02/10/2014), che, sebbene abbia caratteristiche molto diverse, per argomentazioni ed approccio, da quello milanese sopra citato, finisce comunque per riverberare un notevole effetto anti-sistemico sul processo di telematizzazione processuale in corso, e, in particolare, sul delicato argomento delle notifiche a mezzo PEC.

Il caso di cui a C. App. Bologna, Sez. III, 02/10/2014

Il caso da cui origina la sentenza in commento è il seguente.

Una società contro la quale era stata presentata istanza di fallimento (che chiameremo XXXX s.r.l) veniva convocata all’udienza prevista dallart. 15 L. Fall.  (nel testo modificato dal D.L. 18.10.2012, n. 179, conv. in L. 17.12.2012, n. 221).

Ricorso e decreto di fissazione di udienza venivano notificati – sempre ex art. 15 L. Fall.  cit. –  all’indirizzo PEC della detta società XXXX s.r.l. risultante da INI-PEC (acronimo di Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata) e la notifica andava effettivamente a buon fine, venendo generate le relative ricevute di accettazione e consegna.

Il giorno dell’udienza, la società XXXX s.r.l. non compariva e indi veniva dichiarata fallita. La stessa, tuttavia, gravava la sentenza dichiarativa di fallimento sostenendo di non aver avuto conoscenza della procedura fallimentare se non a procedimento ormai concluso, in quanto l’indirizzo PEC cui la notifica di ricorso e decreto di fissazione di udienza era stata effettuata, pur risultando attribuito ad essa società XXXX s.r.l. sia dal registro imprese che da INI-PEC, era, in realtà, di proprietà di altra società, denominata New XXXX s.r.l.

In questo quadro – e precisato ulteriormente che, nel giudizio di gravame in esame, i resistenti eccepivano l’esistenza di stretti rapporti tra la fallita XXXX s.r.l. e la società New XXXX s.r.l., titolare effettiva della casella PEC ove era stata inviata la notifica di specie, e  deducevano, altresì, il fatto che tale seconda società aveva comunque provveduto ad inoltrare detta notifica alla sua reale destinataria – la Corte d’Appello di Bologna dichiarava nulla la sentenza di fallimento, articolando la propria pronuncia in alcuni passaggi che di seguito si schematizzano:

  • secondo i giudici Bolognesi, in tesi generale l’attestazione di consegna della PEC con cui è stata effettuata una notifica telematica è sufficiente a considerarla perfezionata, a patto che esista la certezza che detta consegna sia avvenuta a un indirizzo PEC sicuramente riferibile al destinatario della notifica stessa;
  • dunque, se in un procedimento fallimentare (ma il ragionamento ha portata certamente generale), sia stata effettuata la notificazione prevista dall’art. 15 L. Fall ad un indirizzo PEC non appartenente alla società fallita, ma ad un’altra società, estranea al procedimento fallimentare, tale notificazione non può considerarsi valida;
  • ciò vale anche nel caso in cui dalle risultanze del registro INI-PEC l’indirizzo PEC cui è stata effettuata la notifica risultasse attribuito, sia alla società che ne era la titolare effettiva (e che perciò ricevette erroneamente la notifica), sia alla società fallita; e vale anche se la prima società abbia inoltrato la notificazione erroneamente ricevuta al destinatario effettivo di essa (la sanatoria della nullità della notificazione, infatti, non può ritenersi realizzata per il raggiungimento dello scopo in virtù di vicende estranee al processo, non equiparabili alla costituzione in giudizio del destinatario dell’atto, nella specie non avvenuta);
  • inoltre, il fatto che l’errore di notifica sia riferibile specificamente all’incuria del soggetto destinatario della medesima è elemento irrilevante, che non consente di ritenere valida la notifica stessa. Ciò in quanto, secondo la Corte bolognese (che si riporta ad un orientamento giurisprudenziale pregresso), nella procedura fallimentare riformata «la procedimentalizzazione dell’attività di trattazione ed istruttoria impone di ritenere che la notificazione del ricorso e decreto ex art. 15 L. Fall., sia la regola, anche qualora il debitore si sia sottratto volontariamente o per colpevole negligenza, rendendosi irreperibile».

Brevi riflessioni sulla sentenza e su INI-PEC

Pur senza affrontare il tema ex professo, la sentenza in commento finisce comunque con il pronunciarsi in merito all’efficacia delle risultanze di INI-PEC, sancendone di fatto l’irrilevanza; il che, in tempi di informatizzazione della Giustizia a tappe forzate, mina un presupposto essenziale dell’intero sistema, giacché se non è possibile fare affidamento sulle risultanze in questione – neppure in casi limite di colpa o addirittura di dolo del soggetto interessato, come pare opinare la decisione in esame – ciò significa che l’unico modo sicuro di notificare un atto resta tuttora quello della notifica cartacea a mezzo U.G. o a mezzo servizio postale per gli avvocati autorizzati ex  L. 21/01/1994, n. 53.

Conclusione, quest’ultima, tutt’altro che condivisibile.

Ragionare in termini di sistema

Vero ciò, la banale constatazione da cui, a parere di chi scrive, occorre partire per superare la “ritrosia informatica” che connota parte della giurisprudenza in materia è il seguente: la giustizia telematica non è la “vecchia” giustizia cartacea trasferita su uno o più computer, ma è un “sistema nuovo” di amministrare di giustizia.  Occorre, dunque, ragionare nei “nuovi” termini di sistema, se si vuole che il “nuovo” sistema funzioni.

Operando in tal senso, si può fondatamente pervenire, come si tenterà di dimostrare subito, a conclusioni diametralmente opposte a quelle tratte dal Collegio bolognese.

INI-PEC è un «pubblico elenco»

Trattando di INI-PEC (acronimo, si ripete, di Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata) la prima domanda da porsi è cosa esso sia nella realtà giuridica, posto che non sembra esistere una norma che attribuisca efficacia fidefaciente alle sue risultanze (lo stesso art. 6-bis C.A.D., che lo istituisce, non pare autorizzare una tale interpretazione) e che, dunque, la sua valenza sembra relegata a quella di mero indirizzario informatico che incrocia dati rilevati da altre fonti (Camere di Commercio, Ordini Professionali) e nulla più.

A ben guardare, però, la conclusione appena tratta è inesatta.

A mente dell’art. 16-ter, 1° co., D.L. 18/10/2012, n. 179, conv. in L. 7/12/2012, n. 221, infatti,

«a decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 4 e 16, comma 12, del presente decreto; dall’articolo 16, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, dall’articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia».

D’altro canto, l’art. 6-bis D.LGS. 07/03/2005, n. 82 (C.A.D., acronimo di Codice dell’Amministrazione Digitale), recita:

«Al fine di favorire la presentazione di istanze, dichiarazioni e dati, nonché lo scambio di informazioni e documenti tra la pubblica amministrazione e le imprese e i professionisti in modalità telematica, è istituito, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione e con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, il pubblico elenco denominato Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti, presso il Ministero per lo sviluppo economico».

Ne consegue, con tutta evidenza, che l’Indice Nazionale degli Indirizzi PEC (INI-PEC) è un «pubblico elenco».

Le notifiche telematiche si fanno agli indirizzi PEC risultanti da «pubblici elenchi»

Il passaggio successivo consiste nel constatare che l’art. 149-bis, 1° e 2° co., C.P.C., recita:

«Se non è fatto espresso divieto dalla legge, la notificazione può eseguirsi a mezzo posta elettronica certificata, anche previa estrazione di copia informatica del documento cartaceo.

Se procede ai sensi del primo comma, l’ufficiale giudiziario trasmette copia informatica dell’atto sottoscritta con firma digitale all’indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario risultante da pubblici elenchi».

In tal caso, continua il 3° comma dell’art. 149-bis C.P.C. appena citato, la notifica si intende perfezionata «nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario».

Per ciò che concerne le notifiche PEC a cura degli avvocati, l’ art. 3-bis, 1° co., L. 21/01/1994, n. 53 dispone, dal canto suo, che tale tipo di notificazione

«si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi».

Anche in tale ipotesi, peraltro, secondo il terzo comma dell’art. 3-bis L.53/1994 appena citato, la notifica stessa si perfeziona «per il soggetto notificante, nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione prevista dall’articolo 6, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, e, per il destinatario, nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna».

Da ultimo, per ciò che attiene alla materia fallimentare presa direttamente in considerazione dal provvedimento in commento, l’art. 15, 3° co., 2° periodo, L. Fall. cit. stabilisce che il ricorso per la declaratoria di fallimento ed il relativo decreto di fissazione d’udienza

­«devono essere notificati, a cura della cancelleria, all’indirizzo di posta elettronica certificata del debitore risultante dal registro delle imprese ovvero dall’Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti».

La norma non specifica il momento in cui la notifica si perfeziona, ma esso è desumibile, oltre che dalla normativa di carattere generale di cui sopra, anche dal seguito della disposizione in esame, la quale dispone che si ricorra alla notifica di persona quando «per qualsiasi ragione, la notificazione non risulta possibile o non ha esito positivo» (ovverosia nei casi di mancanza di indirizzo o di anomalie riscontrate in fase di accettazione e consegna del messaggio).

In altre parole, dunque, è possibile estrapolare dal contesto normativo le seguenti conclusioni;

  • nel “sistema” della giustizia digitale, la metodologia – appunto –  di “sistema” da adottarsi per  eseguire le notificazioni è quella che passa tramite la PEC;
  • tale notificazione a mezzo PEC deve avvenire agli indirizzi risultanti da «pubblici elenchi», qual è l’INI-PEC.

Le notifiche agli indirizzi PEC risultanti da «pubblici elenchi» sono valide

Deriva da quanto sopra che la normativa di settore pone, quali condizioni per il valido perfezionarsi della notifica telematica (si prescinde qui, come è ovvio, da problematiche relative alla validità dell’atto notificato e della sua autenticazione, che rappresentano un tema diverso) unicamente:

  • il fatto che la notificazione provenga da un indirizzo PEC (che nel caso di notificazione effettuata dall’Avvocato, deve altresì risultare da «pubblici elenchi») a un altro indirizzo PEC, sempre risultante da «pubblici elenchi»;
  • il fatto che giunga a compimento il meccanismo telematico che assicura certezza della procedura di recapito, ovverosia la sussistenza della doppia ricevuta, rispettivamente, di ricezione e consegna.

Null’altro.

In particolare non assume, quantomeno testualmente, rilievo la circostanza dell’eventuale erronea indicazione dell’indirizzo PEC del destinatario della notifica da parte del «pubblico elenco» (in specie INI-PEC) da cui l’indirizzo stesso è tratto.

In assenza di un preciso riferimento normativo, dunque, che succede in tali casi?

Conclusioni

Per rispondere alla domanda, a parere di chi scrive occorre distinguere in relazione al fatto che la responsabilità delle erronee risultanze INI-PEC risulti addebitabile:

  • in tutto o in parte al destinatario della notifica;
  • in tutto all’ente che gestisce il «pubblico elenco»;

L’errore imputabile al destinatario della notifica

Il primo caso, è quello di cui alla sentenza in commento.

Leggendo la stessa, infatti, si comprende, anzitutto, che la società fallita e quella che ricevette la notifica rappresentavano, in realtà, un continuum (la prima si chiamava “XXXX s.r.l.”, la seconda “NewXXXX s.r.l.”; il curatore aveva eccepito essere entrambe composte dai medesimi soggetti di riferimento).

Può, inoltre, desumersi, che la società fallita aveva intrapreso la procedura di registrazione dell’indirizzo PEC cui la notifica era stata diretta, senza tuttavia completarlo (ma avendolo dichiarato, evidentemente, al registro imprese da cui INI-PEC lo aveva attinto) e facendolo, invece, terminare alla seconda società (NewXXXX s.r.l.), risultata l’effettiva intestataria dell’indirizzo stesso.

Si trattava, con tutta evidenza, di un comportamento – se non doloso – gravemente colposo della detta società fallita, la quale, in presenza di un preciso obbligo di legge che impone alle compagini societarie di munirsi di valido indirizzo PEC (art. 16 D.L 29/11/2008, n. 185, conv. in L. 28/01/2009, n. 2),

  • era – o doveva essere – ben consapevole del fatto di non aver completato la procedura di registrazione dell’indirizzo PEC comunicato;
  • era dunque – o doveva essere – ben consapevole di essere, in realtà, sprovvista in indirizzo PEC, avendo pubblicamente creato una situazione apparente in senso opposto;
  • era dunque – o doveva essere – ben consapevole di essere inadempiente al preciso obbligo di legge sopra indicato.

Vero ciò, non si vede davvero per quale ragione un comportamento quale quello tenuto dalla società in questione, colposamente – e forse dolosamente – omissivo dovrebbe in qualche modo essere tutelato, onerando  cancellerie e creditori della verifica dell’effettività degli indirizzi PEC risultanti dai «pubblici elenchi» normativamente previsti  e sgretolando le sicurezze “sistemiche” relative all’INI-PEC all’interno dell’intero sistema processuale (il principio affermato dalla Corte nel caso in esame può ben valere al di là dei confini del diritto fallimentare ed estendersi a tutti gli altri settori, dalla notifica di un decreto ingiuntivo a a quella di un atto di citazione).

Per completezza, va aggiunto che le problematiche da cui è afflitto il sistema INI-PEC, cui pure accenna la sentenza in commento (esistenza di molti indirizzi duplicati, cioè a dire assegnati a più destinatari; pratica censurata dalla circolare del circolare n. 3670/C del 23/06/2014 del Ministero dello Sviluppo Economico della quale vi abbiamo parlato il 23/07/2014) è, a ben guardare, circostanza senza segno nella fattispecie.

Ciò in quanto l’eventuale disservizio INI-PEC (o di altro «pubblico elenco») può dirsi suscettibile di mandare esente da responsabilità il soggetto interessato solo quando sia esclusivamente imputabile ai gestori del servizio (malfunzionamenti tecnici, sospensioni/interruzioni del servizio, intempestività nel porre rimedio ad inesattezze rilevate o segnalate e simili).

Al contrario, per ciò che attiene all’esattezza dei dati pubblicati che lo riguardavano, l’interessato mantiene comunque – oltre al dovere di comunicarli con esattezza – un onere di diligente controllo della perdurante correttezza dei medesimi.

Non è, dunque, seriamente pensabile che – come è accaduto nella specie – un soggetto obbligato per legge a munirsi di un indirizzo PEC (leggasi, ovviamente: di un valido e veritiero indirizzo PEC) possa andare esente dalle conseguenze non solo di non possederlo, ma anche di averne comunicato uno erroneo a chi ha il compito istituzionale di pubblicizzarlo e di non aver fatto, altresì, nulla per rettificare tale dato.

L’errore imputabile all’ente gestore del «pubblico elenco»

Diverso, ovviamente, è il caso in cui l’errore sia esclusivamente addebitabile alla struttura che riceve l’indicazione della PEC dall’interessato, giacché in tale ipotesi l’eventuale mancata  ricezione della notifica non gli è addebitabile (si pensi al caso in cui l’interessato richieda la rettifica di un dato errato e i responsabili del «pubblico elenco» ritardino l’intervento).

In simili ipotesi, dunque, la notifica comunque effettuata all’indirizzo PEC erroneo potrà in effetti essere considerata inesistente o nulla.

Insomma a chi scrive pare che i principi di buona fede e correttezza negoziale, l’onere di diligente attivazione della parte interessata ad un determinato risultato, e, infine, i canoni di sicurezza dei traffici e di autoresponsabilità – che rivestono carattere tanto più decisivo, quanto più i traffici stessi di velocizzano in virtù dell’introduzione delle tecnologie informatiche – dovrebbero prevalere, a garanzia del sistema, su quelli invocati dalla sentenza della Corte d’Appello qui in esame a sostegno delle conclusioni tratte.

Documenti & materiali

Scarica la sentenza C. App. Bologna, Sez. III, 02/10/2014

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Author: Avv. Luca Lucenti

Avvocato, nato a Pesaro il 20 ottobre 1961. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1991. Abilitato al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Responsabile di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

One thought on “PCT: efficacia delle risultanze INI-PEC e validità della notifica a mezzo PEC A commento di una pronuncia della Corte d'Appello di Bologna

  1. Carlo Maria Palmiero

    Bravo Luca, il tuo commento mi è stato utile in una controversia di cui mi sto occupando, dove l’opponente al precetto si duole della mancata notifica nei propri confronti del decreto ingiuntivo poiché errato l’indirizzo pec riportato sul registro inipec.gov.

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