«Nel caso in cui un avvocato abbia scelto di agire ex art. 28 della l. n. 794 del 1942, come modificato dall’art. 34, comma 16, lett. a), del d.lgs n. 150 del 2011, nei confronti del proprio cliente, proponendo l’azione prevista dall’art. 14 del medesimo d.lgs. n. 150 del 2011 e chiedendo la condanna del cliente al pagamento dei compensi per l’opera prestata in più fasi o gradi del giudizio, la competenza è dell’ufficio giudiziario di merito che ha deciso per ultimo la causa»
Questo è quanto hanno stabilito le Sezioni Unite 19/02/2020, n. 4247 in punto di procedimento speciale di cui all’art. 28 della L. 13/06/1942, come modificato dal D.Lgs. 150/2011.
L’art. art. 28 della L. 13/06/1942 prevede che:
«per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente l’avvocato, dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura, se non intende seguire il procedimento di cui agli articoli 633 e seguenti del codice di procedura civile, procede ai sensi dell’articolo 14 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150».
Precisamente, in punto di competenza, era sorto un conflitto tra quanto previsto dalle stesse Sezioni Unite n. 4485/2018, e la decisione del Tribunale di Napoli che aveva statuito che il giudice competente a decidere sulla richiesta di liquidazione delle competenze di un difensore, per un porcesso svolto per lo stesso cliente e per più gradi, debba essere l’ultimo.
L’avvocato di Napoli ha impugnato questa decisione con regolamento per competenza, e la questione, considerata questione di massima di particolare importanta, è stata sottoposta alle Sezioni Unite con la formulazione dei seguenti quesiti:
«chiarire il quadro sistematico e le indicazioni operative che emergono dalla suddetta sentenza delle Sezioni Unite n. 4485 del 2018 sul punto indicato:
a) se, nell’attuale quadro normativo, esclusa la possibilità di proporre la domanda in via ordinaria o ai sensi dell’art. 702-bis cod. proc. civ. e ss., resti tuttora impregiudicata la possibilità di chiedere i compensi per attività svolte in più gradi in un unico processo dinanzi al giudice che abbia conosciuto per ultimo della controversia (e, quindi, nello specifico, alla Corte di appello di Napoli), dando continuità all’orientamento maggioritario formatosi nel vigore dell’art. 28 della legge n. 794 del 1942, anche tenendo conto dell’affermata natura non inderogabile della competenza del giudice adito per il processo;
b) se, invece, i criteri di competenza per dette controversie vadano ricercati esclusivamente sulla base del coordinamento tra l’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 150 del 2011, e l’art. 637 cod. proc. civ., lasciando al ricorrente la sola alternativa di proporre più domande autonome (per i compensi relativi a ciascun grado di causa) dinanzi ai singoli giudici aditi per il processo o di cumularle dinanzi al tribunale competente ex art. 637 cod. proc. civ. (con salvezza del cd. foro del consumatore), restando in ogni caso esclusa la competenza del giudice che abbia conosciuto per ultimo del processo».
Le Sezioni Unite ritengono che la soluzione qui data alla questione proposta con l’ordinanza di rimessione è compatibile con la lettera dell’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 150 cit. ove si parla di “ufficio adito per il processo nel quale l’avvocato ha prestato la propria opera“. Infatti, l’uso del singolare (“ufficio“, e soprattutto “processo“) induce a pensare che, se l’opera è stata prestata in più gradi del processo sia possibile un’azione unitaria e l’ufficio sia da intendere come quello che ha definito il processo e quindi l’ultimo (di merito).
A parere delle Sezioni Unite, tale soluzione è anche la più coerente sul piano della interpretazione teleologica e sistematica, ed il giudice che decide la causa nel grado superiore ha una migliore visione d’insieme dell’opera prestata dall’avvocato.
Inoltre, sempre secondo le SS.UU. questa soluzione meglio risponde alle ragioni di economia processuale che presidiano l’ordinamento e mirano ad evitare moltiplicazioni dei giudizi, in linea con i principi del giusto processo.
Con la sentenza qui in rassegna, le SS.UU. si richiamano anche alla questione del divieto di frazionamento della tutela processuale e dell’abuso del processo, ricordando che:
«a) non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità si traduce in una unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, ponendosi in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale (tra le tante: Cass. SU 15 novembre 2007, n. 23726);»
ed inoltre che:
«b) le domande aventi a oggetto diversi e distinti diritti di credito relativi a un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo – sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale – la loro proposizione in autonomi e separati è possibile soltanto se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata del credito (vedi, per tutte: Cass. SU 16 febbraio 2017, n. 4090; Cass. 13 agosto 2018, n. 20714; Cass. 15 ottobre 2019, n. 26089);»
ed infine che:
«c) pertanto, non viola il suddetto divieto di frazionamento della tutela processuale e non incorre in abuso del processo l’attore che, a tutela di un unico credito dovuto in forza di un unico rapporto obbligatorio – nella specie per il pagamento di compensi professionali non di tipo forense – agisca con ricorso monitorio per la somma provata documentalmente e con il procedimento sommario di cognizione per la parte residua, in quanto tale comportamento non si pone in contrasto né con il principio di correttezza e buona fede nei confronti del debitore, né con il principio del giusto processo, dovendosi riconoscere il diritto del creditore a una tutela accelerata mediante decreto ingiuntivo per i crediti provati con documentazione sottoscritta dal debitore (Cass. 18 maggio 2015, n. 10177; Cass. 7 novembre 2016, n. 22574)»