Contenuti
Da molti attesa e da tanti altri temuta, è finalmente arrivata.
La nuova disciplina delle c.d. “mansioni” è, infatti, in vigore dal 25/06/2015, giorno seguente la pubblicazione in gazzetta del decreto attuativo del Jobs act, il D.LGS. 15/06/2015, n. 81, recante la «Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni».
Gli uni (i datori di lavoro) e gli altri (i lavoratori) e, soprattutto loro (noi, gli avvocati), dovranno, così, confrontarsi con la nuova stesura del testo di cui dell’art. 2103 C.C., che sino ad oggi conteneva una disciplina caratterizzata dal divieto di demansionamento e dal conseguente divieto di riduzione della retribuzione; il tutto, come si ricorderà, avveniva sotto pena di nullità di eventuali patti contrari.
L’art. 3 D.LGS. n. 81/2015 citato modifica – in maniera sostanziale ed in senso (se vogliamo) peggiorativo per la parte contrattuale solitamente più debole (i lavoratori) – la disciplina del c.d. “ius variandi”, ovverosia del potere attribuito al datore di lavoro di adibire il lavoratore a mansioni differenti (vedremo anche inferiori e, comunque, non più equivalenti) rispetto a quelle sino a quel momento praticate da quest’ultimo.
‘Ciao ciao’ mansioni equivalenti
Nel nuovo 1° comma dell’art. 2103 C.C. sparisce il concetto di mansioni “equivalenti”.
Nella previgente versione della norma, il datore di lavoro poteva infatti adibire il lavoratore a mansioni differenti, purché tali mansioni fossero equivalenti rispetto alle ultime effettivamente svolte dal lavoratore medesimo.
La valutazione del giudicante in ordine al giudizio di equivalenza, nell’eventuale contenzioso risarcitorio del c.d. danno da demansionamento, doveva avere riguardo a tutti quegli elementi utili a verificare che la nuova mansione affidata al lavoratore rispettasse, comunque, il patrimonio professionale del lavoratore acquisito sino a quel momento storico.
La norma anzidetta, si poneva, inoltre, come uno strumento di tutela della professionalità non soltanto da un punto di vista statico (competenze acquisite), ma anche sotto un profilo, per così dire, dinamico (crescita professionale).
Ora non è più così.
Il decreto in commento elimina, infatti, il criterio di equivalenza delle mansioni, ed inserisce, in sua vece, il concetto di «mansioni riconducibili allo stesso livello di inquadramento delle ultime effettivamente svolte».
Con ciò, il datore di lavoro è legittimato ad esercitare (unilateralmente) il c.d. “ius variandi” in maniera sostanzialmente più flessibile rispetto al passato, potendo egli adibire il lavoratore a mansioni differenti, non più equivalenti, ma semplicemente riconducibili all’inquadramento di riferimento ed avuto riguardo, così, unicamente ai profili professionali individuati dalla contrattazione collettiva di riferimento e non a quelli in concreto acquisiti dal dipendente.
Il demansionamento (legittimato) per ragioni di riorganizzazione aziendale e contrattazione collettiva
Il 2° comma dell’art. 2103 C.C. legittima, invece, alcune ipotesi di demansionamento del lavoratore in casi di riorganizzazione aziendale dell’impresa datoriale.
Così leggiamo nel testo normativo che
«in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale».
In tali ipotesi, il 5° comma dell’art. 2103 C.C. fa, tuttavia, salvo il diritto del lavoratore alla conservazione del medesimo livello di inquadramento e del trattamento retributivo goduto, eccezion fatta, naturalmente, per quegli elementi retributivi che siano «collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa» (si pensi, a titolo esemplificativo, a premi aziendali).
Come noto, inoltre, ancorché la disciplina organica delle mansioni sia dettata dal citato art. 2103 C.C., l’effettiva individuazione delle mansioni ed il criterio di inquadramento sono, invece, affidati alla contrattazione collettiva.
In questo senso, infatti, il decreto attuativo in commento lascia ampio spazio alla contrattazione collettiva, consentendo – al suo comma 4° del citato art. 2103 C.C. – alla stessa di prevedere ulteriori ipotesi di demansionamento a discapito del lavoratore, pur con i limiti di cui sopra. Cioè a dire: demansionamento si, ma sempre ferma la categoria legale acquisita dal lavoratore.
In entrambe le ipotesi (demansionamento per ragioni aziendali e demansionamento previsto nel CCNL), il “mutamento” delle mansioni, ove necessario, dovrà essere accompagnato dall’assolvimento dell’eventuale obbligo formativo del lavoratore, nonché dalla comunicazione per iscritto al lavoratore. Tuttavia, solo la violazione del secondo adempimento da luogo alla nullità della relativa assegnazione.
Accordi per la modifica in peius delle mansioni
Il D.LGS. n. 81/2015 introduce, inoltre, un nuovo 6° all’art. 2103 C.C., prevedendo la possibilità di sottoscrivere, nelle sedi di cui all’art. 2113, 4° comma, c.c. o avanti alle commissioni di certificazione, accordi di modifica delle mansioni, peggiorativi, anche in relazione alla categoria legale, al livello di inquadramento ed alla relativa retribuzione.
In altre parole, si tratta di una deroga consensuale alla disciplina legale, possibilità questa che in passato era, invece, preclusa.
Tale facoltà deve comunque essere sorretta dal perseguimento dell’interesse del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro, oltre che del suo interesse all’acquisizione di una “diversa” professionalità o, infine, al miglioramento delle condizioni di vita del medesimo.
Mansioni superiori
Il Jobs act incide, infine, anche sulla disciplina inerente l’assegnazione del lavoratore a mansioni superiori, rendendo disponibile il diritto del lavoratore alla definitività della relativa assegnazione ed ampliando , inoltre, il termine per la sua realizzazione.
Decorsi sei mesi (prima erano tre) continuativi dall’assegnazione, il lavoratore potrà oggi decidere se rinunciare o meno all’attribuzione dell’inquadramento superiore corrispondente alle mansioni svolte.
L’art. 2103 C.C. rimane invece invariato per quanto concerne la disciplina del c.d. trasferimento del lavoratore.