Contenuti
Tutti ricordiamo i tragici fatti avvenuti il 9 aprile scorso all’interno del Tribunale di Milano, quando un uomo, introdottosi armato all’interno del Palazzo di Giustizia tramite un varco vigilato, ha aperto il fuoco, seminando terrore e morte.
Ne abbiamo parlato a suo tempo sul blog, ricordando che quell’episodio non era che l’ultimo di una lunga catena di fatti del genere, avvenuti all’interno dei Tribunali del nostro paese.
Da Milano a Reggio Emilia, un unico Far West
Tra questi si era ricordato, per la particolare crudezza, quello avvenuto il 17 ottobre del 2007 a Reggio Emilia, allorquando un marito, durante un’udienza di separazione, aveva estratto la pistola uccidendo la compagna ed il cognato, ferendo altre persone, per venire, infine, abbattuto dagli agenti accorsi sul luogo.
Così un quotidiano dell’epoca aveva commentato l’accaduto:
«L’inchiesta della Procura dovrà chiarire anche l’efficienza del sistema di controllo all’ingresso del palazzo di giustizia. L’albanese è entrato in tribunale con una pistola in tasca senza che nessuno si fosse accorto che era armato. – Omissis –, magistrato a Reggio Emilia, ha detto che a fine 2001 era pronto un piano per dotare il palazzo di giustizia di telecamere a circuito chiuso e di un metal detector, ma il piano “è rimasto lettera morta”».
Il lento cammino della Giustizia: primo grado e appello
Dinnanzi a ciò, i parenti delle vittime adirono a suo tempo giustizia, addebitando (giustamente) al competente Ministero di avere omesso di adottare le cautele atte a prevenire fattispecie come quelle che si sono descritte.
Usciti vittoriosi in primo grado dinanzi al Tribunale di Reggio Emilia, essi non riuscirono, tuttavia, a ottenere ristoro, in quanto l’esecutività della sentenza venne sospesa dal giudice di appello, adito dall’Avvocatura dello Stato.
C. App. Bologna 1451/2015
L’11 agosto 2015 – a circa otto anni (diconsi otto anni) – da quei tragici fatti, la Corte di Appello di Bologna (C. App. Bologna 11/08/2015, n. 1451, inviataci da un Collega, che ringraziamo), pur riducendo il quantum liquidato in prime cure, ha confermato in modo molto chiaro e a tratti anche duro, la prima sentenza, evidenziando che, gli eventi in questione
«con probabilità prossima alla certezza, sarebbero stati evitati se solo si fossero adottate le cautele minime e certamente richiedibili ad un’Amministrazione come quella appellante, attivatasi, non a caso, solo dopo l’enorme prezzo pagato dalla famiglia D.»,
e connotando il comportamento dell’Amministrazione in aperti e testuali termini di «imperdonabile omissione».
Quel che sarà e quel che resta
Siamo, dunque, a un punto cruciale di una vicenda che, molto probabilmente, vedrà la sua conclusione solo con la decisione della Suprema Corte (di contenuto prevedibilmente favorevole alle vittime dell’occorso, quantomeno negli auspici degli uomini di buona volontà).
Ma questo è quel che, forse, sarà.
Oggi, invece, a margine di questa vicenda resta l’amarezza del dover constatare come la nostra giustizia abbia dovuto impiegare otto anni per affermare concetti lapalissiani. Otto anni durante i quali persino lo stesso principio della provvisoria esecutività delle sentenze di primo grado è stato messo fuori gioco.
E resta anche l’incredulità dinanzi ad una pubblica amministrazione che non solo non ha saputo proteggere i propri operatori (tutti: giudici, avvocati, parti, etc.) nei luoghi dove la giustizia viene resa, ma neppure è stata capace di ammetterlo: una presa di coscienza che, allora come ora, era indispensabile per la costruzione di un futuro dove episodi del genere non si potessero ripetere mai più. Una presa di coscienza che, invece, è mancata.
E, infatti, il 9 aprile 2015, a Milano…….
Documenti & materiali
Scarica C. App. Bologna 11/08/2015, n. 1451
Una parte diversa dal Ministero sarebbe stata condannata ex art. 96 cpc.-
Grazie per l’ottimo blog.
Stefano Bogini
Grazie a te per il tuo apprezzamento! Luca e tutti quelli del blog