PCT: le novità del D.L. 27/06/2015, n. 83 Prime riflessioni sulla recente normativa

By | 29/06/2015

Ci risiamo.

Il nostro legislatore proprio non riesce a perdere il vizio  di ricorrere alla decretazione  in assenza di qualsiasi “necessità ed urgenza”, con l’effetto di frammentare in modo insopportabile il panorama normativo di un sistema oramai stremato dal continuo rincorrersi di riforme scoordinate tra loro.

In questo caso, l’ennesimo intervento di cui al D.L. 27 giugno 2015, n. 83, in G.U.  147 del 27/06/2015, oltre a possedere la classica conformazione a macchia di leopardo e ad essere corredato di una   disciplina transitoria quanto mai cervellotica  (si legga, a comprova, l’art. 23 del D.L. in commento), si muove su un quadruplice fronte riformatore, rispettivamente concernente la normativa fallimentare (che si intenderebbe far divenire concorrenziale ed efficiente per decreto), il processo esecutivo (v. sopra), il mantenimento in servizio dei magistrati con incarichi direttivi giunti sull’uscio del pensionamento (norma che non trova spiegazione, quantomeno in termini di collocazione sistematica), e, infine, il processo civile telematico, che è l’argomento di cui ci occuperemo di seguito.

Le novità del D.L. 83/2015 in materia di PCT

Il D.L. 83/2015 in esame, infatti, contiene un titolo IV  dedicato, testualmente, alla «proroga di termini per l’efficienza della giustizia e disposizioni per il processo telematico».

La «proroga dei termini per l’efficienza della giustizia» è contenuta nell’art. 18 del citato provvedimento, concernente il «trattenimento in servizio dei magistrati ordinari», della cui inspiegabilità si è  detto.

Viceversa, delle disposizioni per il processo civile telematico (che nel titolo, vengono significativamente disgiunte dall’«efficienza della giustizia», evidentemente già garantita, quantomeno nell’immaginario governativo, dall’aver prorogato in servizio anziani magistrati) si occupa l’art. 19 del decreto stesso.

Vediamo – in sintesi – le principali novità che, quantomeno sino all’intervento della legge di conversione, ci attendono.

Abilitati “telematicamente” anche i dipendenti che rappresentano in giudizio la P.A.

La prima novità concerne la platea dei soggetti abilitati ad estrarre copia di atti e documenti dal fascicolo informatico, la quale, ai sensi dell’art. 19, 1° co., lett. a), n. 2, D.L. 83/2015, che modifica l’art. 16-bis, comma 9-bis, D.L, 179/2012, conv. in L. 221/2012, viene oggi estesa anche al «dipendente di cui si avvale la pubblica amministrazione per stare in giudizio personalmente».

Il che, dato ormai per acquisito il sistema di rappresentanza della P.A. in alcune tipologie di  giudizio, sembra avere, in effetti, un suo senso.

Il deposito telematico degli atti introduttivi: non cambia nulla?

L’art. 19, 1° co., lett. a), n. 1, D.L. 83/2015 in commento, dal canto suo, aggiunge, dopo il primo comma dell’art. 16 bis D.L. 179/2012 appena richiamato, un comma 1-bis, che suona così:

«Nell’ambito dei procedimenti civili, contenziosi e di volontaria giurisdizione innanzi ai Tribunali e, a decorrere dal 30 giugno 2015, innanzi alle Corti d’Appello é sempre ammesso il deposito telematico dell’atto introduttivo o del primo atto difensivo e dei documenti che si offrono in comunicazione, da parte del difensore o del dipendente di cui si avvale la pubblica amministrazione per stare in giudizio personalmente, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. In tal caso il deposito si perfeziona esclusivamente con tali modalità».

La norma appare finalizzata a superare la vexata questio dell’ammissibilità della costituzione telematica in giudizio, la quale, in molti commenti che stanno circolando in queste ore, è data per risolta  nel senso dell’ammissibilità, ancorché facoltativa,  di tale tipo di costituzione.

Senonché, a ben guardare, la disposizione in esame non sembra mutare i termini della questione  in esame rispetto a come li abbiamo sinora conosciuti.

Il 1° comma dell’art. 16-bis D.L. 179/2012 cit., infatti, nel prevedere, come è noto, l’obbligo di deposito telematico dei soli atti endoprocessualilasciava già aperta (nessuno ne dubitava) la facoltatività del deposito, per tale via, anche degli atti introduttivi (atti di citazione, comparse di risposta etc.) e dei loro allegati.

Il punto problematico della disposizione appena citata, stava, invece, nella precisazione, pure contenuta nel corpo medesima, secondo la quale il deposito telematico, obbligatorio o facoltativo che fosse, doveva comunque avvenire

«nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernete la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici».

Ora, a partire da questa tralaticia formuletta   –  che, evidentemente, costituisce nulla più di un “abracadabra”, tra i tanti cui la tecno-burocrazia informatica ci ha  abituati – parte della giurisprudenza ha inopinatamente costruito un’ardita ipotesi di inammissibilità del deposito telematico degli atti giudiziari introduttivi, dichiarata nei casi in cui  il Foro interessato al deposito non risultasse munito del preventivo “timbro” tecno-burocratico della DGSIA, attestante l’idoneità del Foro stesso alla ricezione informatica di tale genere di atto (e ciò del tutto indipendentemente, si badi, dal fatto che il deposito di specie fosse materialmente avvenuto in modo ineccepibile).

Il che veniva (e viene) fondato sul il richiamo alla «normativa regolamentare» di cui sopra, nella specie costituita dall’art. 35, 1° co., D.M. 21/02/2011, n. 44, secondo il quale

«l’attivazione della trasmissione dei documenti informatici da parte dei soggetti abilitati esterni è preceduta da un decreto dirigenziale che accerta l’installazione e l’idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici nel singolo ufficio».

Al di là delle valutazioni relative al merito dell’orientamento in esame, occorre evidenziare come “l’abracadabra” che ne sorregge le conclusioni continui ad essere presente anche nel comma 1-bis introdotto dal riforma in commento, il quale, infatti, stabilisce che il deposito degli atti introduttivi è, sì, «sempre ammesso», ma a condizione che esso avvenga

«nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici»;

disposizione esattamente identica a quella già esistente e che si è sopra riportata.

Dunque, ricapitolando: il “vecchio” comma 1 dell’art. 16-bis, D.L. 179/2012 cit., come pacificamente interpretato, sanciva e sancisce l’ammissibilità (n via facoltativa) del deposito telematico degli atti introduttivi, purché avvenuto nel rispetto della normativa regolamentare di cui sopra (aprendo in tal modo la via alla problematica interpretativa sopra indicata).

Senonché, anche il  “nuovo” comma 1-bis dell’art. 16-bis, D.L. 179/2012, oggi introdotto D.L. 83/2015, sancisce l’ammissibilità (in via facoltativa) del deposito telematico degli atti introduttivi, purché avvenuto nel rispetto della normativa regolamentare di cui sopra. Il che ripropone la questione negli esatti termini in cui già essa si poneva.

Se così è, dunque, la norma in esame è del tutto inutile e si continuerà a discutere all’infinito se il “timbro tondo” della DGSIA rappresenti o meno un requisito di ammissibilità della costituzione telematica.

L’autentica degli atti cartacei

Esaminando la tematica delle copie autentiche, si era a suo tempo concluso che l’avvocato (al pari degli altri soggetti previsti dall’art. 16-bis D.L. 179/2012) non aveva la facoltà di estrarre copia autentica cartacea di originali cartacei, il che, naturalmente, creava qualche problematica operativa,

L’art. 19, 1° co., lett. b), D.L. 83/2015 si occupa della questione, aggiungendo al più volte citato D.L. 179/2012, l’art. 16-decies (peraltro, testualmente, inserito «dopo l’articolo 16-octies», bypassando, a quanto pare, il novies), il quale, quantomeno per le ipotesi di atti cartacei e notificati in via cartacea, consente espressamente l’autentica delle relative copie, nei termini che seguono:

«Il difensore, il dipendente di cui si avvale la pubblica amministrazione per stare in giudizio personalmente, il consulente tecnico, il professionista delegato, il curatore ed il commissario giudiziale, quando depositano con modalità telematiche la copia informatica, anche per immagine, di un atto formato su supporto analogico e notificato, con modalità non telematiche, dall’ufficiale giudiziario ovvero a norma della legge 21 gennaio 1994, n. 53, attestano la conformità della copia al predetto atto. La copia munita dell’attestazione di conformità equivale all’originale dell’atto notificato. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche all’atto consegnato all’ufficiale giudiziario o all’ufficio postale per la notificazione».

Modalità dell’autentica: resta aperto il problema di hash e riferimento temporale?

Oltre l’art. 16-decies, l’art. 19, 1° co., lett. b), D.L. 83/2015, introduce nel D.L. 179/2012, un ulteriore articolo, il 16-undecies, il quale si occupa di regolamentare il punto, alquanto controverso, delle modalità di autentica delle copie di atti giudiziari e documenti allegati.

La questione, come si è già avuto modo di osservare, concerne il delicato rapporto tra normativa generale dettata dal Codice dell’Amministrazione Digitale (D.Lgs 07/03/2005, n. 82, CAD) e dal DPCM 13/11/2014, che ne costituisce la disciplina regolamentare, i quali hanno sovrapposto al plesso normativo dedicato al PCT, autonome disposizioni concernenti l’estrazione e l’autentica di copie di documenti informatici, le quali, sebbene in termini assai discussi  (v. l’intervento in materia del CNF), sono state ritenute applicabili anche all’estrazione ed autentica di copie di atti e documenti informatici “giudiziari”.

In sintesi, sulla base di tale normativa si individuavano (e si individuano) due distinte modalità di attestazione di conformità:  inserita nello stesso corpo dell’atto cui si riferisce, oppure contenuta in un documento informatico separato, prescrivendosi, in quest’ultimo caso, che il documento contenga un «riferimento temporale e l’impronta di ogni copia» (si tratta del problema ellitticamente noto come “problema dell’hash del file”, che ha recentemente impegnato, e non poco, gli interpreti e gli operatori).

Nel vero e proprio caos derivante da quanto sopra, il legislatore del D.L. 83/2015  interviene oggi, almeno a quanto è dato capire, tentando di introdurre norme speciali per regolare l’autentica delle copie di atti/documenti processuali.

Viene, così stabilito, che quando si verte in materia di copie analogiche di tali atti/documenti (ex nuovo art. 16-undices, 1° co., D.L. 179/2012, introdotto dal D.L. 83/2015 cit.)

«l’attestazione stessa è apposta in calce o a margine della copia o su foglio separato, che sia però congiunto materialmente alla medesima»;

e che, invece, nel caso in si  cui si verta in materia di copie informatiche, l’attestazione venga apposta «nel medesimo documento informatico» (nuovo art. 16-undices, 2° co., D.L. 179/2012), oppure

«su un documento informatico separato e contenente l’indicazione dei dati essenziali per individuare univocamente la copia a cui si riferisce»,

da allegare al deposito (nel caso di copia destinata alla notifica, invece, l’attestazione può essere contenuta all’interno della relata).

Ora, tralasciando il fatto che la normativa del D.L. 83/2015 qui in commento sembra incentrata unicamente sulla tipologia di copia (analogica o informatica), trascurando di considerare la natura (analogica o informatica) dei relativi originali, su cui è impostata la normativa di cui agli artt.  22 , 2323-bis CAD, sembra di doversi ribadire che, come si è già osservato commentando le novità in tema di deposito telematico degli atti, anche in questo caso la riforma sembra restare senza segno.

Già la “Normativa CAD”, infatti (artt. 22  e  23-bis CAD; artt. 4 e 6 DPCM 13/11/2014), prevedeva, per ciò che attiene all’attestazione di conformità, la doppia opzione: “interna” alla copia o con documento separato.

D’altro canto, l’aver ora aggiunto, come fatto dal D.L. 83/2015, che, nella seconda ipotesi, l’attestazione deve contenere «l’indicazione dei dati essenziali per individuare univocamente la copia a cui si riferisce», non esclude affatto – ed anzi, in assenza di indicazioni specifiche alternative, corrobora – la tesi che tali univoci «dati essenziali» siano costituiti proprio dal «riferimento temporale» e dall’«impronta di ogni copia», di cui al DPCM 13/11/2014 cit.

Vero ciò, ci troveremmo di fronte, anche in questo caso, ad una norma di nessun effetto sistemico, che riporta l’intera problematica esattamente al suo punto di partenza.

Questo, almeno, è ciò che viene da pensare esaminando a caldo le novità appena introdotte, aspettando la legge di conversione….

Documenti & materiali

 Leggi il D.L. 27 giugno 2015, n. 83

Print Friendly, PDF & Email

Author: Avv. Luca Lucenti

Avvocato, nato a Pesaro il 20 ottobre 1961. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1991. Abilitato al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Responsabile di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.