Il liquidatore concordatario non è vincolato dalla proposta A margine di un provvedimento del Tribunale fallimentare di Bologna

By | 23/03/2015

Come noto, l’art. 182 L. Fall., nell’attribuire al liquidatore del concordato preventivo con cessione dei beni il delicato compito di  “monetizzare” l’asset conferito alla procedura, delinea i contorni di tale figura professionale in modo alquanto essenziale, lasciando aperti ed irrisolti alcuni rilevanti interrogativi circa i poteri operativi e limiti funzionali di essa.

Alcuni di detti interrogativi sono già stati esaminati in altre occasioni (v. articoli dell’11/03/2013, e del 28/07/2014). Oggi si accennerà ad un ulteriore aspetto concernente i rapporti tra il piano liquidatorio contenuto nella  (e/o allegato alla) proposta concordataria, da un lato, e attività del liquidatore nominato dal Tribunale in sede di omologazione, ex art. 182 L. Fall. cit., dall’altro.

Si tenterà, in altri termini, di rispondere alla seguente domanda: il liquidatore concordatario, nell’espletamento del proprio compito di “realizzazione” del patrimonio conferito al concordato, è vincolato al contenuto della proposta e/o del piano liquidatorio approvati dai creditori nel corso della procedura di omologazione, o, invece,  può discostarsene in funzione della massimizzazione del risultato economico della liquidazione stessa?

La (non condivisibile) soluzione restrittiva

Nel silenzio della legge fallimentare, a tale domanda la prassi sembra offrire risposte differenti, variando, in estrema sintesi, tra due soluzioni opposte: una soluzione espansiva, che lascia al liquidatore la più ampia libertà di azione in funzione della miglior realizzazione degli interessi economico/patrimoniali del ceto creditorio, e una soluzione restrittiva, che, al contrario, ne ingabbia l’attività nella rete a maglie strette delle previsioni contenute nella proposta concordataria omologata.

La seconda delle soluzioni appena indicate (quella, cioè, restrittiva) appare ispirata ad una visione dell’attività liquidatoria di tipo pubblicistico, mirando a mantenere su quest’ultima un controllo di carattere generale da parte degli organi della procedura (G.D. e Tribunale), ulteriore rispetto a quelli prescritti dalla normativa fallimentare, essenzialmente rimessi al commissario giudiziale e al comitato dei creditori ex artt. 182 e 185 L. Fall.

In realtà, infatti, vincolare l’attività del liquidatore al rispetto delle previoni dettate nella proposta concordataria finisce in qualche modo per legittimare una generale potestà di intervento preventivo/autorizzativo e/o di ratifica successiva dei singoli atti di liquidazione, da parte di quegli stessi soggetti (G.D. e/o del Tribunale) che tale proposta hanno verificato e indi omologato.

Di talché, in quadri consimili, chi svolge l’attività di liquidatore si sente in effetti in dovere di ottenere la preventiva autorizzazione degli anzidetti organi (o quantomeno la ratifica postuma degli stessi) in relazione alle varie attività poste o da porre in essere, vedendosela talvolta rifiutata allorché l’attività stessa si discosta dalle linee tracciate in proposta.

Così, dunque, quest’ultima diviene  precetto indefettibile e cogente, oltre e al di là del quale l’attività liquidatoria non può andare: il che, a parere di chi scrive, oltre che contrastare apertamente l’ispirazione privatistico/negoziale propria del concordato preventivo riformato, è altresì erroneo per diverse ragioni, cui qui si può  solo accennare.

La procedura di concordato preventivo cessa con l’omologazione

La prima di tali ragioni di basa su un dato testuale: l’art. 181 L. Fall. espressamente dispone che «la procedura di concordato preventivo si chiude con il decreto di omologazione».

Se, dunque, la procedura concordataria, al momento sopra indicato, «si chiude»,   devono conseguentemente cessare anche gli altri effetti di essa, compresi quelli ricollegati alla proposta omologata e al contenuto di essa.

Ne segue ulteriormente che, intervenuta l’omologazione, la proposta non può più riverberare effetti limitativi di sorta rispetto all’attività liquidatoria, che, per definizione, è  successiva all’omologazione stessa.

Tale meccanismo, peraltro, si spiega anche in ragione della circostanza che, successivamente all’omologa, viene meno la ratio stessa di garanzia della trasparenza  e della chiarezza delle condizioni proposte dal debitore ai creditori,  che sta alla base delle disposizioni della legge fallimentare riguardanti caratteristiche ed effetti della proposta e ne sanciscono, in certi limiti, l’immodificabilità.

A ben guardare, infatti, tali disposizioni hanno la funzione di garantire la corretta formazione del consenso dei creditori sulla previsione di realizzo futuro (e di futuro riparto) formulata dal debitore nella proposta, in base alla quale i creditori stessi assumono le proprie deliberazioni al momento del voto in adunanza (ecco, allora, che si spiega come mai  l’art. 175, 2° co., L. Fall. espressamente prevede che «la proposta di concordato non più essere modificata dopo l’inizio delle operazioni di voto»).

Ma se tale ruolo di perimetro predeterminato, rigido e immodificabile svolto dalla proposta in fase di omologa  si correla armoniosamente con l’accennata necessità di fissare con la maggior precisione possibile gli obiettivi previsionali della procedura sottoposti all’esame dei creditori, esso, per converso, perde di ogni senso se lo si estende anche alla fase successiva all’omologa, trasformandolo in criterio delimitativo del raggio di azione del liquidatore concordatario.

Quest’ultimo, infatti, non opera sul piano delle previsioni per il futuro nel quale si collocano proposta concordataria e piano liquidatorio, ma agisce hic et nunc, nella realtà concreta e fluida dell’esperienza commerciale attuale, che, come noto, spesso si discosta anche drammaticamente da qualsivoglia previsione, per assennata che essa potesse sembrare al momento in cui è stata formulata.

Sicchè ritenere il liquidatore concordatario vincolato alle valutazioni (si ripete: puramente previsionali) di proposta e piano,  rischia di aprire la via ad effetti paradossali,  del tutto contrari all’interesse dei creditori: dal considerare, ad esempio,  immodificabili i valori stimati dell’attivo concordatario, (impedendo il loro adeguamento alle condizioni di mercato), al rifiutare condizioni di realizzo più vantaggiose di quelle descritte nel piano liquidatorio, solo perché articolate con modalità ivi non previste.

Un diverso criterio: massimizzare il profitto

Se, dunque, l’effetto cogente della proposta concordataria sembra non avere nulla a che spartire con l’esecuzione della stessa tramite il liquidatore nominato ai sensi dell’art. 182 L. Fall. , occorre trovare un altro elemento capace di delimitare le caratteristiche operative di tale figura.

E, per farlo, a parere di chi scrive occorre in primo luogo domandosi cosa fa, in concreto, il liquidatore concordatario.

La risposta a tale domanda è alquanto semplice: il liquidatore vende sul mercato un complesso di beni e di diritti costituenti la massa attiva della procedura al fine di ripartirne il ricavato tra i creditori della stessa. Egli, dunque è un “mercante” e, come tutti i mercanti, ha un solo obiettivo: massimizzare il risultato economico delle vendite poste in essere.

Detto ciò, occorre anche aggiungere che il liquidatore non è un “mercante” qualsiasi, ma è un “mercante” che opera “conto terzi”, nell’interesse, cioè, della “massa creditoria”: entità costituente l’ipostatizzazione di un complesso di soggetti accomunati dall’essere partecipi di una determinata procedura concordataria.

Ciò spiega il fatto che attività del liquidatore –  come quella di qualsiasi mandatario –  seppure essenzialmente libera, non può però dirsi completamente libera,  essendo sottoposta a determinati vincoli operativi, dettati dalla legge fallimentare (e, in specie, dall’art. 182 di essa), e/o da specifiche previsioni del decreto di omologazione (che, nominando il liquidatore, può ben fissare – e in diversi provvedimenti di fatto fissa – limiti operativi specifici alla sua attività) a tutela degli interessi dei terzi in favore dei quali l’attività liquidatoria stessa viene svolta.

Si tratta, però, di vincoli specifici e nominati, nel cui quadro  il contenuto della proposta concordataria non riveste alcun peso/rilievo diverso da quello di indirizzo generale ed astratto della liquidazione, che resta un’attività economica dotata di autonomia e rimessa alle valutazioni gestionali del liquidatore.

In altre parole, cioè, allorché il progetto previsionale di realizzo approvato da creditori in fase di omologazione va ad inverarsi  con la liquidazione, l’interesse di questi ultimi diviene unicamente quello della massimizzazione – in concreto e nelle condizioni date – del loro interesse economico.

Ne consegue che la gestione liquidatoria deve ispirarsi ad solo unico criterio: ottenere il massimo risultato economico possibile nell’interesse di creditori e, per converso, non può in alcun modo ritenersi vincolata dalle enunciazioni previsionali contenute in proposta.

La  soluzione espansiva: Trib. Bologna, 29/10/2014

Sembra porsi nella linea sopra tracciata il Tribunale fallimentare di Bologna, che, omologando un concordato preventivo con cessione dei beni (decreto Sez. IV, del 29/10/2014), ha stabilito che il liquidatore concordatario:

«deve provvedere alla riscossione dei crediti, ed alla liquidazione dei beni mobili ed immobili secondo le modalità previste dal piano annesso alla proposta, senza che peraltro lo stesso assuma carattere di cogenza, essendo devoluto al liquidatore, sotto la sorveglianza del Commissario e del Comitato dei Creditori, il perseguimento del massimo soddisfo del ceto creditorio secondo modalità e tempi consoni ad una rinnovata e permanente valutazione dì convenienza dcl preminente interesse del ceto creditorio».

Dal condivisibile provvedimento in questione, dunque, emerge plasticamente confermato come il liquidatore concordatario non opera sotto il vincolo del piano liquidatorio proposto ai creditori, ma in un’ottica autonoma, ancorché sottoposta ai controlli da parte dei soggetti cui la legge demanda il relativo potere (tra i quali è significativo che il provvedimento in questione non richiami il Giudice Delegato), nel quadro di una propria «rinnovata e permanente valutazione di convenienza» dell’interesse creditorio.

Documenti e materiali

Scarica Trib. Bologna, Sex. IV, decreto 29/10/2014
Scarica la trascrizione dell’intervento dell’11/07/2014 in merito alla figura del liquidatore nel concordato preventivo con cessione dei beni

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Author: Avv. Luca Lucenti

Avvocato, nato a Pesaro il 20 ottobre 1961. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1991. Abilitato al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Responsabile di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

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