CASS. CIV., SEZ. VI, ORDINANZA 06/09/2019, N. 22411
«In tema di separazione personale tra coniugi e di divorzio – ed anche con riferimento ai figli di genitori non coniugati – il criterio fondamentale cui devono ispirarsi i relativi provvedimenti è rappresentato dall’esclusivo interesse morale e materiale dei figli, con la conseguenza che il giudice non è vincolato alle richieste avanzate ed agli accordi intercorsi tra le parti e può quindi pronunciarsi “ultra petitum”. Va infatti sottolineato che anche un formale accordo intervenuto tra i genitori, pur sintomatico della positiva collaborazione tra gli stessi, non potrebbe essere trasfuso nel provvedimento giudiziale relativo alla prole se non previa verifica della sua rispondenza all’interesse del figli» (Massima non ufficiale)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
[Rilevato] CHE:
Il ricorso per cassazione è stato proposto da [Omissis] con due mezzi avverso il decreto della Corte di appello di [Omissis] in epigrafe indicato. [Omissis] ha replicato con controricorso. Sono stati ritenuti sussistenti i presupposti per la trattazione camerale ex art. 380 bis c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
[Ritenuto] CHE:
1. La controversia ha riguardo alla regolamentazione del diritto di visita paterno del minore [Omissis] (n. il [Omissis]), nato da genitori non coniugati, e la statuizione sulle spese di lite adottata in sede di reclamo.
2. Con il primo motivo si denuncia la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, nonché la errata valutazione delle risultanze processuali e dei fatti posti a fondamento della pronuncia. La ricorrente sostiene che la Corte di appello, sull’erroneo presupposto che la disciplina del diritto di visita paterno e della ripartizione dei periodi feriali era stata frutto di un accordo raggiunto dalle parti in primo grado e recepito dal Tribunale, non si sarebbe pronunciata sulle domande svolte con il reclamo, omettendo anche ogni motivazione; infine insiste per una regolamentazione del diritto di visita paterno meno frammentato.
Il motivo è inammissibile e va respinto.
Osserva la Corte che l’art. 337 ter c.p.c., nel disciplinare l’adozione dei provvedimenti riguardo ai figli, stabilisce che spetta al giudice, al fine di realizzare “il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.”, adottare “i provvedimenti relativi alla prole” che vanno stabiliti “con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa”, tanto che il giudice può prendere atto degli accordi intervenuti tra i genitori solo se gli stessi risultano “non contrari all’interesse dei figli”.
In proposito questa Corte ha chiarito che “In tema di separazione personale tra coniugi e di divorzio -ed anche con riferimento ai figli di genitori non coniugati -il criterio fondamentale cui devono ispirarsi i relativi provvedimenti è rappresentato dall’esclusivo interesse morale e materiale dei figli (previsto in passato dall’art. 155 c.c. e ora dall’art. 337 ter c.c.) con la conseguenza che il giudice non è vincolato alle richieste avanzate ed agli accordi intercorsi tra le parti e può quindi pronunciarsi anche “ultra petitum”.” (Cass. n. 25055 del 23/10/2017; Cass. n. 11412 del 22/05/2014).
Invero, e ciò va sottolineato, anche un formale accordo intervenuto tra i genitori, pur sintomatico della positiva collaborazione tra gli stessi, non potrebbe essere trasfuso nel provvedimento giudiziale relativo alla prole se non previa verifica della sua rispondenza all’interesse del figlio. Ne consegue che la circostanza dedotta dalla ricorrente, e cioè l’essere o meno la regolamentazione adottata dal Tribunale e confermata dalla Corte di appello frutto del formale accordo dei genitori (circostanza negata dalla [Omissis] ed affermata dal [Omissis]) è priva di decisività e non appare né pertinente, né dirimente, atteso che la regolamentazione in questione -quand’anche qualificabile come mera proposta di parte -è stata trasfusa nel provvedimento giudiziale adottato nell’esercizio dei poteri di esclusiva competenza del primo giudice perché ha superato il vaglio di rispondenza all’interesse del minore, e questo provvedimento è stato oggetto della valutazione dalla Corte di appello orientata esclusivamente all’interesse del minore, sia pure con un argomentare un po’ farraginoso, di guisa che alcuna violazione si ravvisa. Di contro, va osservato che la ricorrente non si sofferma affatto sull’interesse del minore, se non per sostenere apoditticamente l’esigenza di una “regolamentazione meno frammentaria” del diritto di visita non meglio illustrata, e non trascrive nemmeno la regolamentazione vigente, necessaria per rendere comprensibile la doglianza, e ciò in violazione dell’onere di specificità dei motivi di ricorso.
3. Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., nonché di norme costituzionali e comunitarie, in merito alla condanna alle spese, pur in presenza di una reciproca soccombenza che, a dire della ricorrente, avrebbe dovuto far propendere per una compensazione almeno parziale.
Il motivo è infondato.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare “In tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse e il suddetto criterio non può essere frazionato secondo l’esito delle varie fasi del giudizio ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi soccombente abbia conseguito un esito a lei favorevole. Con riferimento al regolamento delle spese il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi.” (Cass. n. 406 del 11/01/2008).
A ciò va aggiunto che “La valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente.” (Cass. n. 30592 del 20/12/2017)
Alla luce di detti principi il motivo va disatteso, considerata la esclusiva soccombenza della parte reclamante principale, avendo il G. proposto reclamo incidentale subordinato (v. fol. 2 del decreto imp.) assorbito dal rigetto del reclamo principale.
4. In conclusione il ricorso va rigettato
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art.52.
Non sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art.13, comma 1quater, trattandosi di materia esente.
P.Q.M.
– Rigetta il ricorso;
– Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.600,00=, oltre Euro 100,00 per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;
– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art.52;
– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art.13, comma 1quater, della NON sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.