La condotta imprudente del lavoratore esclude la responsabilità del datore di lavoro per infortunio


Con una recente sentenza la Cassazione affronta il tema della imprudente condotta di un lavoratore, rimasto vittima di un infortunio sul lavoro in un cantiere, quale elemento idoneo ad incidere sul nesso causale tra attività lavorativa prestata e sinistro, confermando così la sentenza di primo e secondo grado in ordine all’attribuzione di responsabilità in capo al lavoratore per la causazione dell’infortunio.

Il fatto storico: la dinamica dell’infortunio

Un autotrasportatore stava svolgendo attività lavorativa (autista di automezzo deputato alle operazioni di carico/scarico) presso un cantiere in un terreno in discesa, allorquando accorgendosi della presenza di alcune pietre che ostruivano il passaggio dell’autocarro da egli condotto, scendeva dall’autocarro al fine di rimuoverle. A quel punto, il dipendente, resosi conto che il mezzo aveva iniziato a percorrere la discesa, privo di conducente alla guida, si metteva alla rincorsa del veicolo e nel tentativo di aggrapparsi allo sportello, cadeva rovinosamente a terra e veniva travolto dalle ruote posteriori del mezzo. In esito all’occorso, il lavoratore subiva la paralisi dell’arto inferiore.

Il lavoratore infortunato si era così attivato giudizialmente nei confronti del datore di lavoro, nonché del proprietario della cava ove si era verificato l’occorso, al fine di ottenere il risarcimento dei danni patiti, previo accertamento della responsabilità dei convenuti per violazione dell’art. 2087 c.c. (tutela delle condizioni di lavoro).

Come noto, per aversi infortunio sul lavoro e, conseguentemente, ottenere il diritto al trattamento economico e sanitario, nonché al risarcimento del danno subito dal lavoratore infortunato, è necessario che ricorrano due elementi:
(1) l’occasione di lavoro: ricorre ogniqualvolta il lavoro abbia occasionato il rischio dell’infortunio (è ricompreso in determinate circostanze anche l’infortunio in itinere e quello in trasferta). Vi deve essere, in sostanza, un nesso di causalità (anche mediato o indiretto) tra attività lavorativa ed evento;
(2) la causa violenta: un fattore esterno che, con azione intensa e concentrata nel tempo, arrechi un danno alla persona.

Nel caso in questione, secondo la tesi difensiva delle convenute, doveva ritenersi che la condotta imprudente del lavoratore avesse interrotto il nesso causale tra attività lavorativa ed evento infortunio: in particolare, le convenute assumevano che il lavoratore del tutto arbitrariamente e volontariamente avesse assunto un rischio diverso da quello inerente l’attività lavorativa, con la conseguenza che quest’ultimo doveva ritenersi l’unico responsabile del verificarsi dell’infortunio.

I primi due gradi di giudizio

L’adito giudicante, in primo grado, riteneva sussistente la condotta colpevole del lavoratore, avendo accertato che la medesima condotta – ancorché non fosse tale da interrompere il nesso causale tra attività lavorativa ed infortunio –  dovesse comunque considerarsi concausa del sinistro. Seguendo questa linea, la sentenza di primo grado aveva ritenuto sussistente una responsabilità del lavoratore nella misura di 2/3 e condannava, dunque, le convenute al risarcimento solo parziale (nella restante misura di 1/3) del danno riportato dal lavoratore.

Avverso tale sentenza successivamente proponeva appello uno dei convenuti: tale secondo giudizio si concludeva con una pronuncia che, in riforma della sentenza di primo grado, riteneva il lavoratore l’esclusivo responsabile dell’infortunio, con esonero totale del datore di lavoro da ogni responsabilità e conseguente onere risarcitorio.

Il terzo grado di giudizio: la decisione della Corte

La decisione della Cassazione, sez. lavoro, 20/12/2013, n. 28564 ripercorre essenzialmente il ragionamento logico-giuridico seguito nella sentenza di secondo grado, laddove viene attribuita l’esclusiva responsabilità per il verificarsi dell’infortunio in capo al lavoratore.

Ciò in quanto, secondo gli ermellini, la condotta imprudente del lavoratore doveva ritenersi abnorme ed esorbitante rispetto alla normale prestazione di lavoro e rispetto alle direttive impartite dal proprio datore di lavoro: nella specie, il dipendente nel scendere dall’autocarro in un terreno in discesa aveva omesso di inserire il freno a mano e si era messo all’inseguimento del mezzo aggrappandosi allo sportello nel tentativo di introdursi nel posto di guida. Di converso, in aggiunta a quanto sopra, non era stata accertata alcun tipo di responsabilità per mancato rispetto delle norme antinfortunistiche, né di altro tipo in relazione alla causazione dell’infortunio de quo tali da far insorgere una qualche responsabilità datoriale, tantomeno ex art. 2087 c.c.

Da quanto sopra deriva, pertanto e per consolidata giurisprudenza sul punto, che allorquando risulti provata l’abnormità del comportamento tenuto dal dipendente, il datore del lavoro non risponderà dei danni che da tale condotta derivino allo stesso dipendente o a terzi.

Documenti & materiali

Scarica il testo della sentenza della Cassazione, sez. lavoro, 20/12/2013, n. 28564

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Author: Avv. Francesca Serretti Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 24 febbraio 1982. Iscritta all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 2010. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione lavoro di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

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