«Il licenziamento fondato sulla cessazione dell’interesse al distacco o la soppressione del posto presso la società distaccata non era idoneo a ritenere giustificato il recesso datoriale dovendo questo essere, ai fini della sua legittimità, valutato esclusivamente con riferimento all’ambito aziendale del datore di lavoro (nella specie la società distaccante)», pertanto, «una volta verificata la non giustificatezza del licenziamento per insussistenza della causa legittimante la relativa validità, è del tutto ultronea l’indagine afferente l’assolvimento o meno dell’onere del repechage».
E’ quanto statuito dalla Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza n. 27651 depositata l’11/12/2013, che ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento di una dipendente distaccata presso altra società del medesimo gruppo, condannando la distaccante alla reintegra della lavoratrice nel posto di lavoro ed al pagamento delle differenze retributive maturate medio tempore.
Il caso e la decisione della Corte
Nella specie, la dipendente era stata distaccata presso altra sede con la precipua mansione di gestire le ultime attività commerciali di tale società, società che successivamente era stata chiusa. La distaccante, pertanto, aveva intimato il licenziamento della dipendente sul presupposto che la chiusura dell’attività da parte della distaccata costituisse giustificato motivo oggettivo di licenziamento, non avendo la distaccante più alcun interesse a ricevere le prestazioni della lavoratrice.
La Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha ritenuto che la motivazione addotta dalla datrice di lavoro non possa essere sufficiente a legittimare l’atto espulsivo della dipendente, dovendo in ogni caso essere verificati gli elementi costitutivi del giustificato motivo oggettivo stesso con riferimento all’ambito aziendale della medesima società distaccante, effettiva datrice di lavoro.
E su tale azienda ricade conseguentemente anche l’onere della prova circa l’impossibilità di reimpiego della lavoratrice all’interno della propria organizzazione aziendale, se non quella vietata dalla legge (art. 2103 c.c.), di adibirla ad una mansione dequalificante rispetto a quella esercitata.
Come noto, infatti, è possibile procedere al licenziamento solo se il dipendente non può essere impiegato in altro modo: è il cd. obbligo di repechage che impone al datore di lavoro di verificare, prima di procedere al licenziamento, la possibilità di adibire il lavoratore a mansioni equivalenti nell’ambito dell’organizzazione aziendale, onere che nel caso di specie non era stato assolto.
Tuttavia, secondo i Giudici di legittimità, una volta verificato che il licenziamento fondato sulla cessazione dell’interesse al distacco non risultava valevole ad integrare il giustificato motivo di recesso datoriale, non occorreva neppure verificare l’eventuale assolvimento dell’onere del cd. repechage.
Ciò in quanto la relativa indagine circa la possibilità di reimpiego del lavoratore (repechage) presuppone sempre che alla base del licenziamento ci sia una valida causa legittimante il recesso, elemento che nella specie doveva ritenersi insussistente non costituendo la cessazione dell’interesse al distacco o la soppressione del posto presso la società distaccata valido motivo di recesso.
Documenti & materiali
↑Scarica la sentenza della Corte di Cassazione, sezione lavoro, n. 27651 dell’11/12/2013