I contratti di convivenza quasi al via? Il ddl S.239/2013 in Commissione Giustizia. Un provvedimento migliorabile


In sordina, sta avanzando in Commissione Giustizia al Senato l’esame del ddl S. 239/2013 del 20 marzo 2013, proponenti Giovanardi ed altri, che prevede l’introduzione nel codice civile del contratto di convivenza e solidarietà.

L’iniziativa è finalizzata a colmare un vuoto di tutela sentito da molti, posto che il fenomeno delle coppie di fatto è in fortissima crescita nel nostro paese in assenza non tanto e non solo del riconoscimento giuridico dell’istituto, ma soprattutto di una qualsiasi regolamentazione (o almeno possibilità di regolamentazione) dei rapporti personali e patrimoniali tra i conviventi: il che rappresenta un evidente ostacolo al sereno e sicuro sviluppo delle relazioni interpersonali all’interno di una comunità costituzionalmente rilevante sotto il profilo dell’art. 2 Cost., quale la famiglia di fatto sicuramente è.

I problemi giuridici posti dalle convivenze di fatto

Le problematiche ipotizzabili, sotto un profilo giuridico, nell’ambito dei rapporti di fatto sono molteplici e possono qui essere solo brevemente accennate.

Si pensi, in primo luogo, ai rapporti personali, quali la fedeltà, l’assistenza, la mutua solidarietà, tra conviventi, della cui effettiva configurabilità in ambito familiare di fatto molti dubitano e che, comunque, rappresentano prestazioni a contenuto tradizionalmente ritenuto incoercibile.

Si pensi, poi, quanto ai rapporti patrimoniali, al regime delle attribuzioni reciproche in corso di rapporto tra conviventi, la cui regolamentazione, in difetto di qualsiasi disciplina, è essenzialmente affidata, ai principi dell’adempimento dell’obbligazione naturale (al fine di assicurarne la saldezza nel tempo), e, a fini perequativi (ove, cioè, tale saldezza si riveli in concreto ingiusta), a quelli dell’arricchimento senza causa o dell’indebito oggettivo.

Un mondo, insomma, fatto di limiti ed ostacoli giuridici di rilievo, come sa bene chi ha dovuto affrontare contenziosi basati su tali disposizioni.

Sempre in tema di rapporti patrimoniali, si pensi, ancora, al regime degli acquisti in costanza di rapporto, lasciato all’operare del semplice regime di comunione ordinaria.

Per non dire, infine, delle problematiche successorie, rese molto ardue da superare, a causa del divieto di patti successori stabilito dall’art. 458 c.c. e dei limiti della disponibile in ambito testamentario (si rammenti che i conviventi sono, nella stragrande maggioranza dei casi, estranei l’uno alla sfera parentale dell’altro).

I contratti di convivenza e le relative difficoltà operative

La prassi ha tentato di porre rimedio, almeno  parziale, a tali problemi attraverso la stipulazione dei cd. contratti di convivenza.

Si tratta, in ultima analisi, di contratti innominati che, come tali, trovano la propria fonte nel principio di autonomia negoziale di cui all’art. 1322 c.c., essendo sicuramente diretti, quantomeno nella visione più moderna ed avvertita dell’istituto familiare di fatto, a realizzare «interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico».

Al tempo stesso, tuttavia, essi hanno posto e pongono una serie di perplessità interpretative che possono schematicamente riassumersi come segue:

– problema della liceità della causa: si tratta di un aspetto, oggi fortunatamente superato, che affliggeva i contratti in questione allorquando l’istituto familiare di fatto era connotato eticamente in modo riprovevole (come rapporto tra l’adultero e la concubina). Ne conseguiva un profilo di nullità  negoziale che, a dire il vero, ancora oggi qualcuno (sempre meno, per fortuna) solleva in ordine alle convivenze di coppie omosessuali;

– problema della conversione dell’obbligazione naturale in civile: altra difficoltà non da poco era determinata dall’aver impostato il regime degli scambi patrimoniali tra coniugi in termini di adempimento di obbligazione naturale. Infatti, poiché tale particolare tipo di obbligazione, ai sensi dell’art. 2034 c.c. produce la sola soluti retentio e nessun altro effetto, ci si domandava, come tuttora ci si domanda, se fosse lecito il contratto di convivenza, posto che quest’ultimo finiva con l’avere l’effetto di trasformare in pienamente obbligatori rapporti che, per loro stessa definizione, tali non potevano essere;

– problema del contenuto patrimoniale del contratto e dell’obbligazione: sotto questo profilo si è rilevato il difetto del requisito della patrimonialità, quantomeno per certi aspetti dei contratti in esame; e ciò sia ex art. 1321 c.c. (il quale stabilisce che il contratto è l’accordo con cui le parti costituiscono, regolano od estinguono, un rapporto giuridico patrimoniale), sia ex art. 1174 c.c. (secondo cui l’oggetto dell’obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica);

– problema, ancora, degli effetti nei confronti dei terzi ex art. 1372 c.c. e, anche a voler superare tale aspetto, del regime pubblicitario che ne potesse garantire l’opponibilità a terzi.

Si trattava, insomma, di un’arma spuntata che, se poteva essere comunque utile a regolamentare taluni aspetti dei rapporti patrimoniali tra conviventi, subiva ciononostante fortissime limitazioni.

La proposta del notariato e l’attuale ddl S.239/2013

Nell’assenza di iniziative in merito, qualche tempo fa il solo notariato (a quanto mi consta l’avvocatura in materia è stata del tutto inerte) stilò un’articolata proposta di legge dal titolo «patti di convivenza», che aveva il merito di tentare di offrire una risposta articolata ad un’esigenza largamente diffusa.

L’odierno ddl S. 239/2013, al di là della maggiore ampiezza del titolo (che suona «introduzione nel codice civile del contratto di convivenza e solidarietà») rappresenta, come è agevole rilevare scorrendo parallelamente i files pdf dei relativi testi qui in allegato, la prosecuzione odierna in sede legislativa di tale progetto.

Le principali novità del ddl S.239/2013: il contratto di convivenza e solidarietà

L’art. 1 del ddl S.239/2013 introduce nel titolo III, del libro IV del codice civile un autonomo capo, intitolato «Del contratto di convivenza e solidarietà», composto degli articoli 1986-bis e ss.

In particolare, l’art. 1986-bis definisce tale contratto come «il contratto con il quale due persone disciplinano i reciproci rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune e alla sua cessazione».

Da tale definizione emergono immediatamente due aspetti di notevole importanza:

il primo è che l’articolo non regolamenta la convivenza in se stessa (nulla di paragonabile ai PACS o ai DI.CO., insomma), ma solo la disciplina negoziale dei rapporti patrimoniali di persone che vivano, per qualunque ragione, in comune;

il secondo è che l’ambito applicativo del negozio è esteso a tutte le convivenze (quelle tra «due persone» senza altra qualificazione); dunque anche a quelle tra omosessuali, ed anche a quelle non sessualmente connotate (si pensi alla convivenza tra due anziani parenti e/o tra due amici).

Segue: i presupposti del contratto

L’art. 1986-quater descrive, poi, sotto la rubrica «Nullità» i presupposti soggettivi per la conclusione del contratto in questione, che sono essenzialmente due:

stato ‘libero’ delle parti, le parti non devono essere coniugate o, almeno, deve essere stata pronunziata la separazione (giudiziale, o consensuale omologata) di un eventuale precedente legame;

stato ‘non vincolato’ delle parti, nel senso che nessuna delle parti può essere già partecipe di un altro contratto di convivenza e solidarietà.

In difetto di tali requisiti il contratto, eventualmente concluso, è nullo.

Segue: la forma del contratto. Atto notarile a pena di nullità

L’art. 1986-ter, ancora, stabilisce i requisiti di forma del contratto, prevedendo che «il contratto di convivenza e solidarietà, le sue successive modifiche e il suo scioglimento devono risultare da atto scritto a pena di nullità, ricevuto da un notaio in forma pubblica».

Si tratta di uno degli aspetti meno condivisibili dell’intero ddl, che lo stesso notariato non aveva previsto nel proprio progetto (l’art. 1986-ter di tale progetto prevedeva la sola forma scritta del contratto).

E d’altro canto, davvero non si comprende come, in un ambito tanto intimo e al tempo stesso magmatico, multiforme ed imprevedibile quale quello dei rapporti familiari di fatto, si debba imporre per legge, a pena di nullità, la formalità sacramentale dell’atto pubblico notarile con i relativi costi.

Sta di fatto che così è, senz’ombra di dubbio (la norma non si limita ad imporre la forma pubblica, ma richiede espressamente l’intervento del notaio).

Ed il notariato, dal canto suo, si è già attivato, preannunziando un’iniziativa open-day per il 30 novembre 2013, giorno in cui i consigli notarili rimarranno aperti per ricevere i cittadini interessati ad ottenere gratuitamente informazioni sui contratti di convivenza.

Si tratta di una iniziativa sicuramente apprezzabile (anche perché proveniente dall’unica categoria professionale che si è fattivamente interessata della questione).

Ma sarà comunque bene tenere presente che, entrato in vigore il ddl in esame, il ricorso al notaio non sarà per nulla ‘open’, ma diverrà, si ripete, obbligatorio per legge, a pena di nullità dell’atto (talché l’eventuale regolamentazione che la coppia moderna, consapevole ed avveduta abbia stilato nell’intimità della propria relazione sarà completamente inutile) e a pagamento.

Segue: le forme di pubblicità

Lo stesso art. 1986-ter del ddl in esame appena citato, prevede, poi, le forme di pubblicità del contratto (a cura del notaio rogante).

Il contratto, in base a tale norma, dovrà essere trasmesso all’anagrafe locale per l’iscrizione prevista dagli artt. 5 e 7 del DPR 223/1989 (regolamento anagrafico). Stesse modalità dovranno essere seguite in ipotesi di modifica o cessazione del contratto stesso.

La pubblicità è espressamente prevista «ai fini dell’opponibilità ai terzi», non dunque, ad substantiam.

Segue: i diritti che possono costituirne l’oggetto; diritti di assistenza

Secondo l’art. 1986-quinquies, il contratto in questione può disporre dei seguenti oggetti:

1) modalità di contribuzione alla vita comune;
2) assoggettamento alla comunione ordinaria anche dei beni acquistati da uno solo dei conviventi;
3) regolamentazione dei rapporti alla cessazione della convivenza per cause diverse dalla morte;
4) diritti successori del coniuge superstite (che potranno scattare decorsi almeno nove anni dall’inizio della convivenza).

Il successivo art. 1986-sexies prevede anche diritti in materia di assistenza penitenziaria e sanitaria, in particolare prevedendo, sotto quest’ultimo profilo, la facoltà dei conviventi di attribuirsi reciprocamente il diritto di assumere  decisioni in materia di salute dell’altro (ivi comprese donazione degli organi e funerali), nel caso di impedimento di quest’ultimo.

Segue: le cause di cessazione del contratto

Infine, l’art. 1986-septies prevede le cause di cessazione del contratto, che sono:

1) il mutuo dissenso;
2) il recesso unilaterale;
3) il matrimonio di uno dei due conviventi;
4) la morte di uno dei due conviventi;
5) la mancanza di convivenza «effettiva» per almeno tre anni;
5) il sopravvenuto matrimonio tra i conviventi.

Anche tali evenienze richiedono l’intervento, in forme più o meno dirette, del notaio ed una serie di formalità pubblicitarie.

Le ulteriori previsioni del ddl S.239/2013: i diritti del convivente nell’impresa

Regolato nei termini sopra descritti il contratto di convivenza e solidarietà, l’art. 2 del ddl S.239/2013 prosegue introducendo nel codice civile l’art. 230-ter, che si occupa di prevedere i diritti di partecipazione del convivente che abbia collaborato stabilmente all’impresa dell’altro, prevedendo in suo favore un diritto di partecipazione agli utili proporzionato al lavoro profuso.

La norma non si applica a tutti i conviventi, ma solo a quelli che «abbiano stipulato un contratto di convivenza e solidarietà da almeno cinque anni», il che, almeno d’acchito, lascia perplessi sotto il profilo della discriminazione, ex art. 3 Cost., tra i conviventi che abbiano concluso tale contratto (il quale, nell’ambito della norma in esame, sembra rilevare come elemento puramente formale) e quelli che non lo abbiano fatto.

Segue: diritti di successione nel contratto di locazione e altre disposizioni

Infine, l’art. 3 del ddl in esame prevede il diritto di successione nel contratto di locazione del convivente da almeno cinque anni (anche in questo caso a condizione che egli abbia concluso un contratto di convivenza e solidarietà; il che fa sorgere le medesime perplessità appena accennate a proposito della partecipazione all’impresa dell’altro convivente).

L’art. 4 prevede una serie di agevolazioni in materia di imposta di registro e di imposta sulle successioni e donazione, oltre che una previsione tariffaria ‘di contenimento’ (il notaio dovrà applicare il minimo previsto).

L’art. 5 contiene una norma di chiusura e la previsione di diritto internazionale privato per l’ipotesi di esistenza di elementi di estraneità nell’ambito del rapporto

Conclusioni

Nel nostro paese, come si è detto all’inizio di questo intervento, non esiste alcuna regolamentazione delle coppie di fatto, neppure sotto il profilo dei rapporti patrimoniali tra conviventi. Il che è sicuramente un problema per coloro che vogliano una regolamentazione (ferma, comunque, la libertà di chi non la voglia).

In questo quadro, dunque, ben venga l’iniziativa legislativa sopra descritta, con l’auspicio, tuttavia, che nell’iter subisca qualche modifica migliorativa con riferimento agli aspetti sopra evidenziati.

Documenti & materiali

Scarica il ddl S.239 (agg.24/11/2013)
Leggi lo stato dei lavori del ddl S 239 Giovanardi ed altri
Scarica la proposta notariato sui patti di convivenza 

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Author: Avv. Daniela Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 20 agosto 1963. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1992. Abilitata al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione famiglia di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833.

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