Fondo patrimoniale: l’alienazione dei beni


Il fondo patrimoniale

E’ noto che il fondo patrimoniale, previsto e disciplinato dagli artt. 167 e seguenti C.C., consiste nel destinare determinati beni al soddisfacimento dei bisogni della famiglia.

La costituzione di esso può avvenire per opera di entrambi i coniugi, oppure per decisione anche solo di uno di essi, oppure ancora, per iniziativa di un terzo (art. 167 C.C.).

Può avere ad oggetto beni immobili, beni mobili, o titoli di credito.

La particolarità di questo istituto è quella, appunto, di vincolare la destinazione dei beni in esso inclusi, al soddisfacimento dei bisogni della famiglia, con la conseguenza, dunque, di limitarne l’aggredibilità da parte dei creditori, distinguendo quelli titolari di crediti assunti per  l’interesse della famiglia, dagli altri (si veda l’art. 170 C.C.) (su questo tema si segnala nostro post del 10/02/2015).

Altro aspetto interessante del fondo patrimoniale è la proprietà dei beni, perchè ai sensi dell’art. 168 C.C., «salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di costituzione» del fondo patrimoniale, «la proprietà dei beni costituenti il fondo patrimoniale», spetta ad entrambi i coniugi.

Ora, ciò chiarito in via generale, il problema maggiore che si presenta in ordine al fondo patrimoniale è quello della alienabilità dei beni in esso inclusi.

Infatti, può accadere che i coniugi decidano di vendere uno o più beni facenti parte del fondo patrimoniale: in questo caso quali sono le regole da rispettare?

Il primo discrimine è quello della presenza dei figli

Alienazione dei beni senza figli

Infatti in assenza di figli, sostanzialmente, non vi sono particolari problemi se non quello della sussistenza del comune accordo dei due coniugi. Dunque, sempre che essi siano d’accordo, potranno procedere all’alienazione del bene costituente il fondo.

Precisamente l’art. 169 C.C. dispone che:

«Se non e’ stato espressamente consentito nell’atto di costituzione, non si possono alienare, ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare beni del fondo patrimoniale se non con il consenso di entrambi i coniugi».

Alienazione dei beni con i figli

Diversa è, invece, la regolamentazione della vendita dei beni inclusi nel fondo patrimoniale quando sono presenti figli minori. In questo caso, infatti, il consenso dei coniugi non è sufficiente ma si richiede l’autorizzazione del giudice.

L’art. 169 C.C. infatti dispone:

«……se vi sono figli minori, con l’autorizzazione concessa dal giudice, con provvedimento emesso in camera di consiglio, nei soli casi di necessita’ od utilita’ evidente».

In sostanza, l’intervento del giudice è necessario per valutare l’interesse dei figli e se le scelte dei genitori rispetto al fondo patrimoniale compromettono tale interesse.

Ciò che tuttavia, ci si chiede è se in questo giudizio debbano sempre essere interpellati anche i figli minori. Come noto, infatti, per effetto del D.Lvo 28/12/2013 n. 154, è stato introdotto l’istituto dell’ascolto del minore (previsto dall’art. 336 bis C.C.) all’interno del procedimento in seno al quale devono essere adottate decisioni che li possono riguardare ed è certo che la riduzione della consistenza del fondo patrimoniale li riguarda.

Una recente pronuncia del Tribunale di Milano

Su questa questione si segnala una recente pronuncia del Tribunale Milano (decreto 30/03/2015) il quale, dapprima ribadisce l’orientamento della Suprema Corte enunciato nella sentenza Sez. I, 08/08/2014, n. 17811, e cioè che:

«1. E’ ammissibile lo scioglimento del fondo patrimoniale anche sulla base del solo consenso dei coniugi, ma ciò solo in mancanza di figli.
2. In presenza di figli, non è ammesso lo scioglimento consensuale. L’istituzione   del   fondo patrimoniale   determina   un   vincolo   di destinazione per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia (e quindi di tutti i suoi componenti, in essi compresi i figli minori). Il citato   vincolo,   dunque,   diventa   di   “interesse”   anche   dei componenti   “deboli”   della   famiglia,   che   sono   i   figli. Conseguentemente,   va   ravvisata   in   capo   ai   figli   minori   una posizione   giuridicamente   tutelata   in   ordine   agli   atti   di disposizione del fondo.
3. Deve essere riconosciuta l’astratta configurabilità di uno specifico interesse dei figli ad interloquire sulle opzioni operative effettuate dai titolari del diritto di proprietà dei beni facenti parte del fondo, atteso che per i componenti del nucleo familiare non è irrilevante la   consistenza   del   patrimonio   istituzionalmente  destinato all’esclusivo   soddisfacimento   dei   relativi   bisogni.   Non   incide infine   sulla   detta   conclusione   né   la   natura   gratuita   del conferimento né la facoltà, espressamente riconosciuta ai coniugi dal legislatore, di derogare convenzionalmente alla previsione del divieto di alienazione dei beni del fondo, disposta in via generale (art. 169 c.c., comma 1).
4. La disciplina ritenuta applicabile in presenza di figli minori è estensibile al caso di nascituri»

Poi, nel caso su cui era stato chiamato a decidere e consistente nella volontà dei coniugi di alienare un bene immobile facente parte del fondo, alla presenza di figli minorenni, il Tribunale di Milano conclude che:

«l’intervento del giudice deve stimarsi necessario per valutare l’interesse dei figli ad interloquire sulle opzioni dei genitori, ad esempio mediante audizione ex art. 336-bis c.c. oppure mediante nomina di un curatore speciale. Atti che però non sono consequenziali tout court alla istanza dei genitori di disporre del fondo: la stessa Suprema Corte, infatti, discorre di “astratta configurabilità” di un interesse ad interloquire, così affidando al giudice il compito di verificare se essa “configurabilità”, nel caso sub iudice, sia anche “concreta”».

In sostanza, sembra di capire che, secondo il Tribunale di Milano, non si debba considerare automatico nè l’ascolto del minore, nè la nomina del curatore speciale, ma che la valutazione dell’interesse del minore a fronte della decisioni dei genitori riguardanti il fondo patrimoniale, debba essere compiuta dal giudice il quale, dunque, procederà in tal modo solo allorchè lo riterrà necessario.

E’ interessante la conclusione del giudice di Milano laddove arriva ad affermare che, anche alla luce delle ultime riforme (D.L.vo 154/2013), si deve ritenere che se sussiste l’accordo dei genitori, l’intervento della magistratura sulle decisioni da essi prese, debba essere solo residuale.

Precisamente afferma:

«D’altro canto, là dove i genitori siano “d’accordo” quanto alla scelta da porre in essere per i figli, il principio generale dell’Ordinamento è nel senso di tutelare l’autodeterminazione genitoriale, limitando l’ingerenza del giudice (v. ad es., art. 337-ter c.c.: il giudice “prende atto degli accordi”) e così ripudiando un controllo “sulle scelte dei genitori” che deve essere invece un controllo “sull’interesse del minore”. Ciò è oggi rafforzato dalle modifiche apportate dal dlgs 154/2013 con il passaggio dalla “potestà genitoriale” alla “responsabilità” genitoriale: sono i genitori “responsabili” dell’interesse dei minori. Solo in via residuale, è ammesso un intervento della magistratura».

Documenti & Materiali

scarica il decreto Tribunale Milano  30/03/2015
scarica la sentenza Cass. Civ., Sez. I, 08/08/2014, n. 17811

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Author: Avv. Daniela Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 20 agosto 1963. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1992. Abilitata al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione famiglia di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833.

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