Il parto anomino ed il diritto del figlio a conoscere l’identità della madre In nota a Cass. Civ., Sezioni Unite, 25/01/2017, n. 1946

In questi giorni, con la sentenza 25/01/2017, n. 1946 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate in tema di parto anomino affermando il seguente principio di diritto:

«per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 2013, ancorchè il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa, sussiste la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale, di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione, e ciò con modalità procedimentali, tratte dal quadro normativo e dal principio somministrato dalla Corte costituzionale, idonee ad assicurare la massima riservatezza e il massimo rispetto della dignità della donna; fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorchè la dichiarazione iniziale per l’anonimato non sia rimossa in seguito all’interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identità».

In altre parole, le Sezioni Unite della Cassazione risolvono positivamente il dilemma che era sorto dopo la sentenza 22/11/2013, n. 278 con cui, come noto, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale in parte qua della L. n. 184 del 1983, art. 28, comma 7.

La problematica in sostanza concerne la questione del parto anonimo e del diritto del figlio non riconosciuto alla nascita, c.d. appunto parto anomino, e adottato da terzi, ad accedere alle informazioni che riguardano la sua origine naturale.

Più in particolare, la Corte Costituzionale, con la sentenza 22/11/2013, n. 278, ha statuito che:

«come ha osservato la Corte europea dei diritti dell’uomo in relazione all’art. 8 della convenzione europea, è eccessivamente rigida la disciplina dell’art. 28, comma 7, l. 4 maggio 1983 n. 184, come sostituito dall’art. 177, comma 2, d.lg. 30 giugno 2003 n. 196, che consente alla madre la facoltà di dichiarare di non voler essere nominata. Non appare ragionevole, ed è quindi in contrasto con gli art. 2 e 3 cost., che la scelta sia necessariamente e definitivamente preclusa sul versante dei rapporti relativi alla “genitorialità naturale”, e non invece eventualmente revocabile, in seguito alla richiesta del figlio, attraverso un procedimento stabilito dalla legge che assicuri la massima riservatezza».

In seguito a questa sentenza, la questione sottoposta alle Sezioni Unite della Cassazione è se la citata sentenza della Corte Costituzionale n. 278/2013 rimetta la sua stessa efficacia ad un successivo intervento del legislatore recante la disciplina del procedimento di interpello riservato, in assenza della quale il tribunale per i minorenni, sollecitato dal figlio interessato a conoscere i suoi veri natali, non potrebbe procedere a contattare la madre per verificare se intenda tornare sopra la scelta per l’anonimato fatta al momento del parto; o se, al contrario, il principio somministrato dalla Corte con la citata pronuncia, in attesa della organica e compiuta normazione da parte del Parlamento, si presti ad essere per l’intanto tradotto dal giudice comune in regole sussidiariamente individuate dal sistema, ancorchè solo a titolo precario.

E le Sezioni Unite con la sentenza che qui si segnala 25/01/2017, n. 1946, come detto, risolvono positivamente il problema considerando che:

«la soluzione che ritiene possibile, pur nel perdurante silenzio del legislatore, l’applicazione in sede giurisdizionale dell’interpello riservato della madre biologica anonima, trova sostegno nei principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale con riguardo alle sentenze additive a dispositivo generico».

In conclusione, quindi, Corte di Cassazione, nella sua massima composizione (Sezioni Unite), pur ritenendo che, effettivamente, dopo l’intervento della Corte Costituzionale con la sentenza 22/11/2013, n. 278, occorra l’intervento del legislatore per disciplinare e normare la questione, tuttavia, nelle more, e dunque, anche prima del predetto intervento legislativo, si possa e si debba ugualmente procedere dando concreta attuazione al diritto del figlio a conoscere l’identità della madre, e ciò attraverso una procedura che assicuri comunque la totale riservatezza delle parti ed il pieno rispetto della volontà della madre che, interpellata sulla possibilità di revocare la propria precedente volontà di negazione, accetti di rendersi nota al figlio che lo richieda, ovvero, al contrario, neghi la revoca della suddetta propria precedente volontà confermando di rimanere a lui ignota.

Documenti & materiali

Scarica la sentenza Cass. Civ., Sezioni Unite, 25/01/2017, n. 1946
Scarica la sentenza Corte Costituzionale 22/11/2013, n. 278

Author: Avv. Daniela Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 20 agosto 1963. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1992. Abilitata al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione famiglia di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833.

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