Anatocismo bancario: quando anche le banche piangono.


Si torna a parlare di anatocismo bancario grazie alla recentissima sentenza n. 9127 del 06/05/2015 della prima  Sezione della Corte di Cassazione, in un clima generale in cui la percezione comune continua con giustificato allarme ad associare gli effetti di tale prassi alla minaccia di una sindrome emorragica, un evento progressivo, patrimonialmente depauperante, di fronte al quale sembra non esistere rimedio.

Nonostante si tratti di un fenomeno riguardante un’estesa fetta dell’universo mondo correntista, inevitabilmente lo spettro della sua gravità viene avvertito dal singolo come un male da vivere silenziosamente nel disagio sociale che ne deriva e nella comprensibile, ostile diffidenza verso quell’intoccabile entità che, depositaria degli averi altrui, attiva strumenti che contribuiscono pesantemente a diminuirne la consistenza, arrivando, in alcuni casi, ad elevare un’esposizione debitoria inizialmente risanabile fino a renderla irreversibile.

Gli ultimi dieci anni tuttavia hanno rappresentato e continuano ad incoraggiare, in un crescendo rossiniano giurisprudenziale, la svolta storica di una risposta finalmente corale. Una reazione spesso estenuante, duramente impervia tra perizie, conteggi, processi interminabili ed interpretazioni oscillanti, ma sicuramente esaltante quando è riuscita a rinnovare quel principio che, a prescindere dalle intermittenti scosse telluriche di un legislatore spesso confuso e ambiguo, è e rimane sacrosanto: l’anatocismo bancario è illegittimo, inapplicabile l’uso che vorrebbe cronicizzarne una fatalistica imposizione.

Se si tratta di pratica ormai dichiaratamente illegittima, come mai continua ad essere applicata?

In effetti è una curiosità dal candore quasi disarmante, se si pensa all’ondata speculativa cui è proprio finalizzato l’effetto moltiplicatore tipico di questo meccanismo. Ma, assodate le cifre da capogiro e, purtroppo, il giro di vite coinvolte, occorre sempre razionalmente ritornare alla sintesi dei tre testi di fonte normativa primaria e secondaria che disciplinano la materia, per arrivare, ora più che mai, a conclusioni decisamente confortanti.

Com’è noto, l’anatocismo bancario è disciplinato, non solo dall’art. 1283 C.C., ma anche dall’art. 120 del D.Lgs. n. 385/1993 – Testo Unico Bancario – che, modificato al comma 2 dall’art.1, comma 629, L. n. 147/2013, così si esprime

«Il CICR [Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio] stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che:

a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori;

b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale».

Proprio in merito al terzo testo, nei nostri precedenti interventi (vedi gli articoli del 16/17/29 luglio 2014) a commento della reintrodotta applicazione dei prodotti anatocistici nel D.L. n. 91/2014 poi opportunamente soppressa, avevamo rilevato che una delibera attuativa del CICR, a tutt’oggi, non esiste (poiché non emanata), sempre che non si voglia “riesumare” quella del 09/02/2000, travolta dalla dichiarata incostituzionalità dell’art. 25 del D. Lgs. n.342/99, modificante l’art 120 TUB.

E proprio l’attesa di una regolamentazione di fonte secondaria che intervenga a stabilire le modalità e i criteri di attuazione degli interessi anatocistici ha concesso il varco ad un’interpretazione del divieto di fonte normativa primaria come “astratto, generalizzato e sospensivamente condizionato” nel quale si è inserita la tendenza a disapplicare il principio fondamentale per legittimare e favorire l’ imposizione di pratiche scorrette.

Inutile sottolineare come l’evoluzione giurisprudenziale, in particolare dell’ultimo anno, ora possa consentire di superare una simile impasse, intravedendo piena operatività – fin dal 01/01/2014 – già nel dettato che impone una stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori e nell’impossibilità per gli interessi periodicamente capitalizzati di produrre interessi ulteriori, a prescindere dall’emanazione della delibera attuativa del CICR.

In particolare alcuni recentissimi provvedimenti simbolo fino alla sentenza n. 9127/2015 della Corte di Cassazione

La sentenza n. 5243 del 18/11/2014 del Tribunale di Bari

Si tratta di una pronuncia che compiutamente esaurisce ogni possibile variazione sul tema con la finale condanna della banca alla restituzione di quanto indebitamente percepito a carico del coriaceo e soprattutto paziente correntista, trattandosi di procedimento iniziato nel 2007.

La IV Sezione Civile del Tribunale pugliese ha dichiarato l’invalidità parziale del contratto di conto corrente con la nullità delle clausole di determinazione dell’interesse ultralegale, di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, di commissioni di massimo scoperto e spese di tenuta conto non previamente concordate, di regolamentazione delle valute d’uso, con conseguente condanna della banca alla restituzione della non trascurabile somma di € 72.504,53.

Nel ribadire inoltre l’applicazione della prescrizione decennale ex art. 2946 C.C., il Giudice barese ha ritenuto irrilevante la mancata impugnazione degli estratti conto, essendo stata validamente sollevata l’illegittima applicazione di condizioni contrarie a norme di legge: le risultanze del conto, infatti, documentano semplicemente la sequenza delle operazioni compiute, senza che la relativa mancata contestazione comporti alcun riconoscimento in ordine alla validità ed efficacia dei rapporti sostanziali ad esse sottesi.

In particolare, le clausole che imponevano al correntista la capitalizzazione trimestrale sono state dichiarate nulle, poiché, come precisato

«la clausola de qua per quanto radicata nella prassi bancaria e contenuta nelle norme bancarie uniformi sui conti correnti di corrispondenza e servizi connessi, corrisponde ad un uso negoziale, imposto al correntista, e non normativo, con conseguente sua irrilevanza nel sistema delle fonti cui esclusivamente richiama l’art. 1283 C.C. nella parte in cui esonera dal rispetto dei limiti rigorosi ivi sanciti per l’anatocismo le situazioni sorrette da usi contrari».

Gli interessi a debito, pertanto, qualora sia dichiarata la nullità della previsione negoziale della capitalizzazione trimestrale, devono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna.

Le ordinanze collegiali del 25/03/2015 e del 03/04/2015 del Tribunale di Milano

La VI Sezione Civile del Tribunale milanese, con le ordinanze in esame ha inibito alle banche resistenti, responsabili di condotte lesive degli interessi dei consumatori in violazione dell’art. 140 codice del consumo e del TUB come modificato dall’ultima legge di stabilità

«di dare corso a qualsiasi ulteriore forma di capitalizzazione degli interessi passivi con riferimento ai contratti di conto corrente già in essere o che verranno in futuro stipulati con consumatori »,

ordinando altresì, sempre ai  sensi dell’ art. 140 c.d.c. citato, la pubblicazione del dispositivo sulla home page del sito web degli istituti di credito coinvolti e sui quotidiani Il Corriere della Sera, il Sole 24 Ore e La Repubblica, senza tralasciare l’ulteriore comunicazione a ciascun correntista-consumatore con le stesse modalità contrattualmente pattuite per la trasmissione degli estratti conto.

L’esigenza è stata quella di diffondere attraverso i mezzi della comunicazione ufficiale più autorevole (e comunque più consultata anche in formato cartaceo) l’informazione circa l’adozione imperturbabile di una serie di condotte persistentemente manipolative della legge, al fine di correggere o eliminare gli effetti lesivi delle violazioni accertate, aggiungendo un impatto reputazionale sicuramente di notevole portata.

La peculiarità delle ordinanze in esame si rivela non solo per il riconoscimento della legittimazione ad agire all’associazione consumieristica che si affermi titolare di un diritto alla correttezza dei rapporti contrattuali, ma anche e soprattutto quando fornisce la giustificazione del ricorso alla tutela d’urgenza, in previsione di un’azione estesa, organizzata e proceduralmente rapida a tutela del consumatore, perché non sia lasciato in solitudine a subire vessazioni e quel complesso disagio cui si accennava nella nostra premessa.

Nel merito le argomentazioni del Collegio milanese hanno confermato la necessità che interessi debitori e creditori siano conteggiati con la stessa periodicità secondo ciò che stabilisce il nuovo 2° comma dell’art 120 TUB e che il pagamento dei primi non lieviti, producendo interessi ulteriori.

Il dato letterale della norma, d’altronde, appare lapidario nell’esplicitare come gli interessi debbano essere conteggiati solo sulla sorte capitale; come peraltro evidente in tal senso si manifesta la volontà del legislatore che ha scelto di non convertire in legge l’articolato poi soppresso nel D.L. n. 91 del 24/06/2014.

Si tratta, anche per i giudici milanesi, di disciplina pienamente operativa fin dal 01/01/2014, non sospensivamente condizionata all’intervento del CICR, poiché

«nessuna specificazione tecnica di carattere secondario potrebbe limitare la portata o disciplinare diversamente la decorrenza del divieto»

sempre che erroneamente non si voglia ammettere, prosegue il Collegio

«che una norma primaria possa in tutto o in parte o anche solo temporaneamente essere derogata da una disposizione secondaria ad essa sottoordinata».

Né un futuro intervento del CICR, organo del potere esecutivo, potrà

«attribuire significato a un atto legislativo, in palese violazione dei più elementari principi in materia di separazione dei poteri dello Stato».

La sentenza n. 9127 del 06/05/2015 della Cassazione

Nel caso di specie, il credito ingiunto derivava da un contratto di apertura di credito con garanzia ipotecaria ampiamente superiore all’importo richiesto. Nonostante ciò l’affidamento era stato revocato con indebita segnalazione alla centrale rischi.

Con la pronuncia in commento la Prima Sezione Civile rileva l’illegittimità della capitalizzazione annuale degli interessi, aderendo al principio stabilito nella sentenza SS.UU. n. 24418 del 02/12/2010.

L’illegittimità di tale uso, viene precisato

«è stata infatti affermata dalle Sezioni Unite di questa Corte che, dopo aver rilevato che la giurisprudenza ha escluso in relazione alla capitalizzazione trimestrale degli interessi di poter ravvisare un uso normativo atto a giustificarla, ha osservato che era assolutamente arbitrario trarne la conseguenza che, nel negare l’esistenza di usi normativi di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, quella medesima giurisprudenza avrebbe riconosciuto (implicitamente o esplicitamente) la presenza di usi normativi di capitalizzazione annuale».

Pertanto, risolvendo l’ambiguità delle pratiche anatocistiche, così si esclude la possibile valenza di legittimanti consuetudini o la sussistenza, anche implicita, di usi normativi

«Prima che difettare di “normatività”», chiarisce la Corte

«usi siffatti non si rinvengono nella realtà storica, o almeno non nella realtà storica dell’ultimo cinquantennio anteriore agli interventi normativi della fine degli anni novanta del secolo passato: periodo caratterizzato da una diffusa consuetudine (non accompagnata però dalla opinio iuris ac necessitatis) di capitalizzazione trimestrale, ma che non risulta affatto aver conosciuto anche una consuetudine di capitalizzazione annuale degli interessi debitori, né di necessario bilanciamento con quelli creditori. Deve pertanto ritenersi >> prosegue la Cassazione, eliminando spiragli e possibili chiaroscuri interpretativi <<che la capitalizzazione annuale degli interessi sia un uso illegittimamente applicato, non rilevando in ogni caso l’arco temporale in relazione al quale viene effettuata la capitalizzazione».

Dunque, la nullità degli interessi debitori esclude ogni forma di capitalizzazione, potendo l’ammontare degli stessi, in applicazione della capitalizzazione semplice, essere imputato solo alla fine del rapporto, favorevolmente comportando l’effetto non trascurabile di un’incidenza minore nel lungo periodo, poiché, che sia trimestrale o annuale, la produzione di interessi su interessi non può che condurre ad un processo di cumulo incontrollato e deleterio per l’utente bancario.

Considerazioni finali: qualche breve cenno sull’Organo di Vigilanza, Banca d’Italia e AGCM

Il revirement giurisprudenziale che trova il suo culmine nella sentenza in esame ripristina l’inderogabilità dell’art. 1283 C.C. quale norma imperativa.

A suo tempo, Banca Italia cui il TUB affida il compito di vigilare sulla prudente e sana gestione e sull’osservanza delle disposizioni in materia creditizia, aveva escluso la piena e immediata operatività del nuovo testo dell’art 120 TUB., subordinandone l’applicabilità alla delibera CICR, così come, poco meno di un anno fa (vedi nostro intervento del 17/07/2014) il responsabile del Servizio stabilità finanziaria, in Commissione attività produttive del Senato aveva addirittura approvato la reintroduzione -poi scongiurata- dell’anatocismo operata dal Governo Renzi.

Ora, se è vero che quale organo di vigilanza non può certo entrare nel merito di ogni singola controversia, né tantomeno suggerire condotte processuali, è anche vero che le sono attribuite funzioni di controllo in tema di trasparenza e correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti.

«Un’informazione chiara e corretta sui prodotti e i servizi offerti» si legge sul sito web di Banca Italia

«è importante per tutti. Per gli intermediari significa prevenire i rischi di contenzioso con la clientela e di danni alla reputazione. Per i clienti significa poter confrontare con facilità le diverse offerte e fare scelte consapevoli. Ciò incentiva la concorrenza e contribuisce a contenere i costi. Al fine di aumentare il livello di consapevolezza delle scelte della clientela, sono affidate alla Banca d’Italia importanti competenze in materia di tutela dei clienti degli intermediari bancari e finanziari, che rappresentano un elemento costitutivo della supervisione bancaria e finanziaria e si integra con le altre finalità di vigilanza».

Questo, perlomeno in teoria poiché, al momento, le soluzioni di riequilibrio dei rapporti tra banche e clienti sono maturate solo a favore di coloro che hanno ottenuto esiti giudiziali positivi, mentre concretamente gli interventi dell’organo di vigilanza, pur in presenza di comportamenti illegittimi, sono stati blandi, se non del tutto assenti.

Posto che, probabilmente anche in futuro, il compito di tutela dell’utente bancario continuerà a gravare sulla magistratura, un approfondimento del tema della concorrenza tra intermediari non può non essere esteso agli accordi tra Bankitalia e altre autorità che interessano l’attività di vigilanza. Ma in particolare, per quello che riguarda il coordinamento con l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) e l’ultimo protocollo d’intesa per la tutela dei consumatori di banche e finanziarie del 21/10/2014 se ne parlerà in un prossimo intervento.

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Author: Avv. Antonella Matricardi

Avvocato, nata a Pesaro il 19 marzo 1965. Iscritta all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1999. Autrice abituale di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

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