Una nuova dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell’art. 517 cpp La Corte Costituzionale lo dichiara con la sentenza 09/07/2015 n. 139


L’art. 517 cpp ed il problema

La Corte Costituzionale, dopo essersi già pronunciata diverse volte sull’art. 517 cpp dichiarandone la parziale illegittimità di esso, con la recente sentenza 09/07/2015, n. 139, torna nuovamente a pronunciarsi sulla medesima disposizione normativa, dichiarandone, ancora una volta, la sua parziale illegittimità costituzionale con riferimento alla possibilità dell’imputato di accedere al rito alternativo del giudizio abbreviato.

L’art. 517 cpp testualmente dispone che:

Qualora nel corso dell’istruzione dibattimentale emerga un reato connesso a norma dell’articolo 12 comma 1 lettera b) ovvero una circostanza aggravante e non ve ne sia menzione nel decreto che dispone il giudizio, il pubblico ministero contesta all’imputato il reato o la circostanza, purché la cognizione non appartenga alla competenza di un giudice superiore.
Si applicano le disposizioni previste dall’articolo 516, commi 1-bis e 1-ter.

Ora, detta norma processuale (insieme all’art. 516 cpp rubricata come ‘modifica dell’imputazione‘), in passato, è stata oggetto di numerosi interventi, anche da parte della stessa Corte Costituzionale, con conseguenti dichiarazioni di parziale illegittimità costituzionale sotto più profili ma sostanzialmente tutti riconducibili all’esercizio del diritto di difesa, principio costituzionalmente garantito dall’art. 24 Cost.

Le pronunce più importanti al riguardo sono la sentenza del 22/06/1994, n. 265; quella del 18-23/12/2009, n. 333; quella del 22/10/2012, n. 237; e quella recente del 23/06/2014, n. 184; tutte orientate, proprio in applicazione del citato art. 24 Cost., a garantire la facoltà, per l’imputato, di fare ricorso ai riti alternativi rispetto a quello ordinario, anche a fronte di nuove contestazioni effettuate nel corso del giudizio.

Tuttavia, all’esito di queste pronunce, sopravviveva ancora, in quanto non colpita da incostituzionalità, l’impossibilità per l’imputato di richiedere al giudice del dibattimento il rito abbreviato nella specifica ipotesi di contestazione tardiva di una circostanza aggravante già risultante dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale, ma non contestata subito.

Ora, con la pronuncia n. 139/2015 che qui si segnala, anche questo limite è stato rimosso.

Le ordinanze di rimessione

La questione di illegittimità costituzionale del citato art. 517 cpp è stata sollevata dai Tribunali ordinari di Lecce e di Padova. Essi dubitavano della legittimità costituzionale dell’art. 517 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevedeva che, ove fosse contestata in dibattimento una circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine, l’imputato potesse chiedere di definire il processo con giudizio abbreviato relativamente al reato oggetto della nuova contestazione.

Secondo i giudici rimettenti dovevano valere, in proposito, considerazioni analoghe a quelle svolte dalla Corte Costituzionale nella precedente sentenza n. 184 del 2014, con riguardo alla facoltà dell’imputato di richiedere, nella medesima evenienza, l’applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 cpp, in quanto, la norma censurata si poneva in contrasto, in particolare, con l’art. 24 Cost. atteso che la scelta in ordine al rito da seguire, costituente espressione del diritto di difesa, dipendeva dalla concreta impostazione data al processo dal pubblico ministero, in modo tale che risultava lesivo di quel diritto precludere all’imputato l’accesso ai riti speciali allorché, a seguito dell’errore del P.M. e del conseguente ritardo nella contestazione dell’aggravante, l’imputazione subiva una modifica sostanziale.

Si assumeva, inoltre, violato, sotto plurimi profili, anche l’art. 3 Cost. perché l’imputato veniva irragionevolmente discriminato, ai fini dell’accesso al giudizio abbreviato, in dipendenza della maggiore o minore esattezza o completezza della valutazione delle risultanze delle indagini preliminari da parte del pubblico ministero alla chiusura delle indagini stesse. Oltre al fatto della ingiustificata disparità di trattamento dell’imputato che intendeva chiedere il giudizio abbreviato nell’ipotesi in esame rispetto all’imputato che, nella medesima ipotesi della contestazione cosiddetta “tardiva” di una circostanza aggravante, voleva chiedere il “patteggiamento”, ovvero che intendesse richiedere il giudizio abbreviato nel caso di contestazione di un reato concorrente, tanto “tardiva” che (secondo il Tribunale ordinario di Padova) “fisiologica”: ipotesi, queste ultime, nelle quali la preclusione all’accesso al rito alternativo è stata rimossa, rispettivamente, dalle sentenze n. 184/2014, n. 333/2009 e n. 237/2012 della Corte Costituzionale.

 La decisione n. 139/2015 della Corte

Con le questioni sollevate dai Tribunali di Lecce e di Padova, la Corte Costituzionale viene  chiamata nuovamente a verificare, sotto due ulteriori profili, la legittimità costituzionale della preclusione all’accesso ai riti alternativi a contenuto premiale in cui l’imputato incorre di fronte alle nuove contestazioni dibattimentali: preclusione conseguente al fatto che la nuova contestazione interviene quando il termine ultimo per la formulazione della richiesta del rito alternativo (individuato attualmente dagli artt. 438, comma 2, 446, comma 1, e 555, comma 2, cpp) è ormai spirato.

La Corte mette a fuoco il problema riassumendo che:

le doglianze degli odierni rimettenti attengono, più specificamente, alla mancata previsione del recupero della facoltà di accesso al giudizio abbreviato in presenza di contestazioni suppletive cosiddette “tardive” o “patologiche”, basate, cioè, non sulle nuove risultanze dell’istruzione dibattimentale, ma su elementi che già emergevano dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale (e dunque volte, nella sostanza, a porre rimedio a incompletezze o errori del pubblico ministero nella formulazione originaria dell’imputazione): contestazioni ritenute ammissibili dalla consolidata giurisprudenza di legittimità.

Come detto la Corte, già con la sentenza n. 265/1994, dichiarò costituzionalmente illegittimi gli artt. 516 e 517 cpp, nella parte in cui non prevedevano la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento l’applicazione della pena a norma dell’art. 444 cpp, relativamente al fatto diverso o al reato concorrente oggetto di contestazione “tardiva”.

Nell’occasione, la Corte rilevò che le valutazioni dell’imputato circa la convenienza del rito alternativo vengono a dipendere, anzitutto, dalla concreta impostazione data al processo dal pubblico ministero, sicché, «quando in presenza di una evenienza patologica del procedimento, quale è quella derivante dall’errore sulla individuazione del fatto e del titolo del reato in cui è incorso il pubblico ministero, l’imputazione subisce una variazione sostanziale, risulta lesivo del diritto di difesa dell’imputato precludere l’accesso ai riti speciali».

Veniva anche rilevata la violazione del principio di eguaglianza ex art. 3 Cost., venendo l’imputato irragionevolmente discriminato, sul piano della fruizione dei riti alternativi, in dipendenza della maggiore o minore esattezza o completezza della valutazione delle risultanze delle indagini preliminari da parte del pubblico ministero al momento della chiusura delle indagini stesse.

Alla luce di quanto precede, l’esigenza costituzionale di riconoscere all’imputato il diritto di richiedere il giudizio abbreviato anche nel caso di contestazione “tardiva” di una circostanza aggravante – fattispecie rimasta estranea alla declaratoria di illegittimità costituzionale di cui alla citata sentenza n. 333/2009 – risulta del tutto evidente.

Con la sentenza 139/2015 che qui si segnala la Corte rileva che, inoltre, emergono non giustificabili sperequazioni di trattamento rispetto all’assetto complessivo della materia, conseguente ai precedenti interventi della Corte: da un lato, nel confronto con la facoltà, di cui l’imputato fruisce a seguito della sentenza n. 333/2009, di richiedere il giudizio abbreviato nel caso – non dissimile – di contestazione “tardiva” del fatto diverso; dall’altro, nel confronto con la possibilità, di cui l’imputato beneficia in forza della sentenza n. 184/2014, di accedere al “patteggiamento” nella medesima ipotesi della contestazione “tardiva” di una circostanza aggravante.

Quindi la Corte Costituzionale così conclude:

l’art. 517 cod. proc. pen. va dichiarato, pertanto, costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui, nel caso di contestazione in dibattimento di una circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale, non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato cui attiene la nuova contestazione.

Conclusioni

In conclusione, dunque, per effetto della sentenza n. 139/2015 che qui si segnala, d’ora in poi (ma il principio è applicabile anche ai giudizi in corso), allorchè il P.M. procederà alla contestazione di una circostanza aggravante, che già risultava dalle indagini preliminari effettuate ma che non era stata contestata, l’imputato, sostanzialmente, sarà rimesso in termine per richiedere il giudizio abbreviato in relazione al reato cui attiene la nuova contestazione e che non ha richiesto prima.

Documenti & materiali 

Scarica il testo della sentenza Corte Costituzionale 09/07/2015, n. 139

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Author: Avv. Daniela Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 20 agosto 1963. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1992. Abilitata al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione famiglia di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833.

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