Una novità dal CNF sul patto di quota di lite L'interpretazione 'autentica' del CNF


 Il 14/07/2014 abbiamo pubblicato un intervento sulla questione, piuttosto controversa, dell’ammissibilità o meno, e, dunque, della legittimità o meno, del c.d. patto di quota lite, ossia dell’accordo tra l’avvocato ed il cliente in virtù del quale il compenso del primo risulta calcolato in modo percentuale o proporzionale  al risultato, e ciò alla luce della Riforma Forense introdotta con la L. 31/12/2012 n. 247, nonchè alla luce del nuovo codice deontologico vigente approvato dal CNF nella seduta del 31/01/2014.

La novità

La novità è che due giorni dopo il nostro intervento, con un post sul sito web del CNF, è stata pubblicata una sentenza pronunciata dal medesimo CNF il 18/03/2014 n. 26 in tema, appunto, di patto di quota di lite.

Il caso sottoposto al CNF

Con la sentenza in questione, il CNF, pur riducendo la sanzione (da due mesi di sospensione alla semplice censura), ha confermato il provvedimento disciplinare adottato dal Consiglio dell’Ordine di Trento nei confronti di un suo iscritto che aveva stipulato, per iscritto, con il proprio cliente un patto di quota lite che gli riconosceva un compenso percentuale pari al 30% di quanto questi avrebbe ottenuto come risarcimento del danno per un sinistro in cui egli era rimasto gravemente ferito.

Si tratta in verità di un caso verificatosi nel 2008 e, dunque, prima dell’entrata in vigore, sia della Riforma Forense, che del nuovo codice deontologico, tuttavia, il precedente in esame merita ugualmente attenzione perchè il CNF coglie l’occasione per fornire un chiarimento al concetto di patto di quota lite oggi vigente.

L’interpretazione del CNF

La sentenza 26/2014 del CNF che qui si segnala, come detto, appare di particolare interesse perchè, in sostanza, fornisce una sorta di ‘interpretazione autentica‘ della normativa di cui sopra, fonte come detto nel nostro post del 14/7/2014, di rilevanti dubbi interpretativi.

Precisamente, il CNF, nella sentenza n. 26/2014, afferma che, in effetti, ai sensi dell’art. 13, quarto comma, L. 247/2012

«sono vietati i patti con i quali l’avvocato percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa»,

mentre, a mente del terzo comma della medesima disposizione è detto che è valida la pattuizione con cui si determini il compenso

«a percentuale sul valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione».

Ebbene, secondo il CNF:

«la dicotomia legislativa pone indubbie difficoltà all’interprete anche se la stessa dicotomia sembra, in effetti, richiamare quella doppia “corsia”, una ammessa ed una vietata, già individuata nella vigenza della precedente normativa. Un ulteriore affinamento esegetico, condotto su questi due commi dell’art. 13 della legge n. 247/2012, porta a concludere, secondo una ragionevole e ragionata opinione già affacciatasi, che se la percentuale può essere rapportata al valore dei beni o agli interessi litigiosi, ma non lo può essere al risultato perchè in tal senso deve interpretarsi l’inciso “si prevede possa giovarsene” che evoca un rapporto con ciò che si prevede e non con ciò che costituisce il consuntivo della prestazione professionale».

Inoltre, sempre secondo il CNF tale interpretazione avrebbe

«dalla sua, oltreché la conformità al dato letterale, anche la coerenza con la ratio del divieto dal momento che accentua il distacco dell’avvocato dagli esiti della lite, diminuendo la portata dell’eventuale commistione di interessi quale si avrebbe se il compenso fosse collegato, in tutto o in parte, all’esito della lite, con il rischio così della trasformazione del rapporto professionale da rapporto di scambio a rapporto associativo».

Dunque, secondo il CNF, il punto cruciale è il momento della stipula del ‘patto’ nel senso che, per non incorrere nel divieto della cessione del credito (art. 1261 cc), l’accordo deve intervenire – per iscritto – prima del risultato, e precisamente deve intervenire al momento del conferimento dell’incarico.

In questo senso, peraltro, è il commento alla sentenza in esame che si rinviene sul sito web del CNF secondo cui,

«in tal senso deve infatti interpretarsi l’inciso “si prevede possa giovarsene”, che appunto evoca un rapporto con ciò che si prevede e non con ciò che costituisce il consuntivo della prestazione professionale, ditalché deve in ogni caso ritenersi illecito l’accordo sul compenso stipulato (non a monte dell’incarico professionale, ma a valle di quest’ultimo, cioè) ad incarico pressoché terminato, ovvero allorché l’an ed il quantum della fattispecie contenziosa siano già stati di fatto delineati in entrambe le sue componenti».

Considerazioni finali

Alla luce del precedente giurisprudenziale del CNF qui in commento, si può dire che che il cammino dell’interprete viene agevolato, anche se l’obiettiva complessità – ai limiti della contraddittorietà – della normativa in esame, non consente, al momento, di trarre delle conclusioni univoche.

Il dato certo è che, oggi, il patto di quota lite appare un istituto cui l’avvocato può fare legittimamente ricorso.

Il punto cruciale, tuttavia, sta nell’individuare le modalità concrete che rendano effettivamente legittimo ricorrere a tale istituto: il che, anche alla luce delle gravi conseguenze che possono derivare dall’uso “improprio” del patto in questione, dovrebbe indurre ancora ad un atteggiamento alquanto cauto in attesa che si consolidi un orientamento giurisprudenziale chiaro ed univoco.

Documenti & materiali

Leggi il testo della Riforma Forense L. 31/12/2012 n. 247
Leggi il testo del post del 14/7/2014
Leggi il testo del codice deontologico
Leggi il testo del commento del 16/7/2014 sul sito web del CNF
Scarica il testo della sentenza CNF del 18/03/2014 n. 26

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