Secondo le Sezioni Unite l’ordinanza di inammissibilità dell’appello è ricorribile in Cassazione Nota a Cass. Civ., SS.UU., 02/02/2016, n. 1914


Le Sezioni Unite della Cassazione sembrano dirimere in modo definitivo il contrasto giurisprudenziale, emerso  in sede di legittimità, con riguardo all’impugnabilità o meno, ed eventualmente entro quali limiti, dell’ordinanza declaratoria dell’inammissibilità dell’appello per mancanza di ragionevole probabilità di un suo accoglimento.

La Cassazione, con la sentenza qui in commento (Cass. Civ., SS.UU., 02/02/2016, n. 1914), ammette, infatti, l’impugnabilità dell’ordinanza emessa dal giudice d’appello ai sensi dell’art. 348-bis C.P.C., con le modalità di cui all’art. 348-ter C.P.C. con il rimedio straordinario del ricorso per Cassazione previsto dall’art. 111, 7° co., Cost. per vizi propri consistenti in violazione della normativa processuale (c.d. errores in procedendo).

In questo senso – e con la motivazione che vedremo – la Cassazione enuncia il seguente principio di diritto:

«Avverso l’ordinanza pronunciata dal giudice d’appello ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c. è sempre ammissibile il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111, comma 7 Cost. limitatamente ai vizi propri della medesima sentenza costituenti violazioni della legge processuale che risultino compatibili con la logica (e la struttura) del giudizio sotteso all’ordinanza in questione […]».

Vediamo ora con quali argomentazioni logico-giuridiche le Sezioni Unite pervengono a tale conclusione.

Il caso

Il procedimento di primo grado, svoltosi avanti il Tribunale di Udine, era stato promosso dal subappaltatore nei confronti del subappaltante, per l’accertamento di responsabilità in capo a quest’ultimo, e conseguente richiesta di condanna al risarcimento del danno, a titolo di omessa custodia e sorveglianza di alcuni mezzi meccanici oggetto di furto in un cantiere.

Il giudizio di primo si era concluso con l’accoglimento della domanda attorea e la condanna della convenuta al pagamento di una cospicua somma di denaro (€ 200.000).

La convenuta, indi, aveva proposto appello avverso al sentenza di primo grado avanti alla Corte di Appello di Trieste, la quale con ordinanza emessa ai sensi dell’art. 348-ter C.P.C. aveva dichiarato inammissibile l’appello per mancanza di ragionevole probabilità di accoglimento.

Di qui, il giudizio di Cassazione, attivato dal soccombente con due ricorsi distinti, di cui:

  • l’uno, quello proposto ai sensi dell’art. 111, 7° co., Cost. e dell’art. 360, 4° co., C.P.C., per la cassazione dell’ordinanza di inammissibilità de qua;
  • l’altro, quello promosso ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 3),  C.P.C., per la cassazione della sentenza di primo grado.

La Corte di Cassazione, investita dei ricorsi, previa riunione degli stessi, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per la pronuncia a Sezioni Unite, stante il contrasto sorto in merito all’impugnabilità o meno dell’ordinanza declaratoria dell’inammissibilità dell’appello emessa ai sensi dell’art. 348-bis C.P.C.

L’ordinanza di inammissibilità ex 348-bis C.P.C. ed il contrasto giurisprudenziale circa l’impugnabilità della medesima

Facendo un salto indietro si ricorderà che il sistema del c.d. doppio filtro in appello, introdotto dalla novella di cui all’art. 54 D.L. 22/06/2012, n. 83 (conv. in L. 07/08/2012, n. 134) e previsto dall’342 C.P.C. (nuovi requisiti di forma dell’appello) e dai nuovi artt. 348-bis (ragionevole probabilità di successo) e 348-ter (disciplina specifica) C.P.C., ha rappresentato e rappresenta uno strumento voluto dal legislatore al fine di semplificare ed accelerare i tempi necessari per la definizione delle cause civili.

Per ciò che qui interessa, -ovverosia il secondo filtro in appello – il nuovo art. 348-bis C.P.C.. così recita:

«Fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’appello, l’impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta.
Il primo comma non si applica quando:
a) l’appello è proposto relativamente a una delle cause di cui all’articolo 70, primo comma;
b) l’appello è proposto a norma dell’articolo 702–quater».

Dunque, fuori dei casi “classici” di inammissibilità, l’appello non supera comunque il particolare filtro qui in esame se, secondo una valutazione prognostica operata dal Giudice, non ricorre una ragionevole probabilità circa il suo accoglimento.

Dal momento che la norma di cui all’art. 348-bis C.P.C. nulla prevede in merito ai mezzi di gravame esperibili avverso la ridetta ordinanza di inammissibilità – limitandosi unicamente a stabilire che, intervenuta tale ordinanza, la sentenza di primo grado diviene ricorribile per Cassazione a norma dell’art. 360 C.P.C..- si era posto il problema circa la ricorribilità della suddetta ordinanza con il rimedio straordinario di cui all’art. 111, 7° comma, Cost.

Tale rimedio, come noto, prevede la ricorribilità con ricorso straordinario per Cassazione di ogni provvedimento avente contenuto decisorio e definitivo.

Di qui il contrasto giurisprudenziale circa la natura, definitiva o meno, dell’ordinanza di cui all’art. 348-bis C.P.C., fermo il suo contenuto decisorio.

Un primo orientamento della giurisprudenza di legittimità, riconoscendo carattere definitivo all’ordinanza de qua, abbraccia la tesi della ricorribilità per Cassazione avverso l’ordinanza in questione unicamente per ragioni di carattere processuale.

Un secondo orientamento della Corte, invece, ritenendo la natura non definitiva dell’ordinanza, preclude la possibilità di ricorso avverso la detta ordinanza, anche in considerazione del fatto che, giusta il disposto normativo, intervenuta la pronuncia di inammissibilità dell’appello, la sentenza di primo grado diviene direttamente ricorribile per Cassazione.

La pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione e il “via libera” al ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111, 7° co., Cost.

Le Sezioni Unite della Cassazione pervengono ad elaborare il principio di diritto enunciato nell’incipit del presente articolo, ritenendo avverso l’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 348-bis C.P.C. secondo quanto previsto dall’art. 348-ter C.P.C., «ammissibile il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111, comma 7 Cost. limitatamente ai vizi propri della medesima sentenza costituenti violazioni della legge processuale»,.

A tale conclusione la Corte giunge, dopo aver analiticamente descritto il lungo excursus della giurisprudenza, anche costituzionale, che si è sviluppata in tema di ricorso straordinario ex art. 111, 7° co., Cost. (norma di chiusura del sistema delle impugnazioni).

In particolare, la Corte ricorda che il rimedio in questione costituisce un modello di impugnazione assolutamente peculiare, in cui deve trovare spazio e ragione sia la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, sia la tutela del singolo cittadino contro le violazioni di legge commesse dai giudici di merito.

In ciò sta la funzione garantista, attribuita al rimedio in discorso, dell’effettività della tutela giurisdizionale di cui al primo comma dell’art. 24 Cost., con la conseguenza che, dunque, rispetto a tale modello di ricorso, secondo i consiglieri della Corte,

non può non risultare impropriamente riduttiva una interpretazione che escluda di impugnare sempre, per violazioni di legge commesse dai giudici di merito, i provvedimenti decisori che non siano altrimenti modificabili e censurabili.

E ciò è quanto si verificherebbe allorquando, come nel caso di specie, il soccombente, che si è visto negare il giudizio di appello con l’ordinanza pronunciata ex art. 348-ter C.P.C., proponendo ricorso per Cassazione avverso la sentenza di primo non può che dedurre motivi attinenti a quella pronuncia, non potendo di converso far valere censure riguardanti invece eventuali errores in procedendo commessi dal giudice d’appello.

Ergo, se si accogliesse la tesi che nega l’impugnabilità dell’ordinanza de qua, sarebbe come affermare che il giudizio di appello non è mai esistito, che non si è mai svolto.

In proposito, ricorda la Corte, se è vero che non sussiste alcun diritto costituzionalmente garantito ad un giudizio di secondo grado, è vero anche che

l’esclusione di ogni possibile controllo sul rispetto dei limiti, termini e forme previsti dal legislatore per la decisione prognostica affidata al giudice d’appello equivarrebbe a lasciare al mero arbitrio di quest’ultimo la possibilità che la parte fruisca di un giudizio di secondo grado, in quanto la mancanza di ogni possibile impugnazione – sia pure straordinaria – finirebbe per determinare di fatto l’impossibilità di verificare la correttezza della decisione e, a fortiori, la “giustificatezza”, rispetto a regole date, della disparità di trattamento tra coloro che hanno potuto fruire dell’appello e coloro che non hanno potuto fruirne.

Tale, quella sopra riassunta, la decisione logico-giuridica che ha portato la Cassazione a Sezioni Unite a ritenere l’impugnabilità ex art. 111, 7° co., Cost. dell’ordinanza suddetta per vizi propri consistenti in violazione della normativa processuale.

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