Repechage e demansionamento: la Cassazione dice sì In nota a Cass. Lav. 09/11/2016, n. 22798


Nell’annotata sentenza, la Sezione Lavoro della Cassazione ritorna sul tema dell’obbligo di repechage (reimpiego del lavoratore in altre mansioni) incombente sul datore di lavoro prima di procedere al licenziamento.

Repechage e demansionamento: evoluzione giurisprudenziale

Come noto, tale obbligo, prima della modifica all’art. 2103 c.c. (riformulato oggi dall’art 3 D.LGS. n. 81/2015), secondo una rigida interpretazione della norma offferta da parte della giurisprudenza, “cozzava” con il divieto di demansionamento del lavoratore imposto da tale norma sotto pena di nullità di eventuali patti contrari tra le parti contrattuali del rapporto di lavoro.

Anche se la fattispecie oggetto dei tre gradi di giudizio si è verificata sotto la vigenza della vecchia disciplina delle mansioni, la Corte oggi, probabilmente ispirata alla recente novella in tema di demansionamento del lavoratore, ripensa a tale precedente orientamento che vedeva nel demansionamento un limite alla possibilità di repechage del lavoratore, nel senso che l’obbligo di repechage «non si estende anche alle mansioni inferiori a quelle del lavoratore licenziato».

Oggi, secondo la Cassazione, non è più così.

Nella sentenza n. 22798/2016, infatti, la Corte si riporta ad alcuni precedenti  giurisprudenziali (Cass. Sez. Un. 7755/1998; Cass. 21579/2015; Cass. n. 10018/2016) sviluppatisi sul tema, ma in ipotesi di infermità permanente del lavoratore con conseguente impossibilità di rendere l’originaria prestazione lavorativa.

In tali casi, dunque, la giurisprudenza di legittimità aveva riconosciuto che la verifica della impossibilità di repechage gravante sul datore di lavoro prima di procedere al licenziamento del lavoratore deve estendersi anche a mansioni inferiori e non solo equivalenti rispetto a quelle precedentemente svolte dal lavoratore medesimo.

Il caso di specie: licenziamento per giustificato motivo oggettivo e repachage

Tali principi vengono oggi trasfusi anche alle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo per ragioni di riorganizzazione aziendale, come nella fattispecie sub iudice.

Nel caso di specie, infatti, la Corte di Appello di Firenze aveva ribaltato la sentenza del primo giudice, dichiarando illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato ad un dipendente.

In secondo grado, i consiglieri avevano ritenuto non adeguatamente provata l’impossibilità di repechage: in particolare, a fronte del venir meno della necessità di personale addetto alla conduzione di macchine di escavazione, il datore di lavoro aveva proceduto al licenziamento del dipendente, che si era dichiarato disponibile ad essere adibito a mansioni anche inferiorie, ed aveva di converso assunto nuova manovalanza.

Avverso la sentenza di secondo grado era stato proposto ricorso per cassazione da parte del datore di lavoro.

La Cassazione, ponendo a fondamento la richiamata pronuncia a Sezioni Unite (n. 7755/1998)  ritiene che i principi ivi richiamati devonsi ritenere valevoli anche in ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, con la conseguenza che l’esigenza di salvaguardia della professionalità del dipendente cede necessariamente il passo alla più forte e pregnante esigenza di conservazione del posto di lavoro, a condizione però che vi sia il consenso del lavoratore al demansionamento.

E, così, la Cassazione afferma che nel caso di specie:

«Alla stregua degli esposti insegnamenti il mezzo di gravame fondato sull’assunto, errato in diritto, secondo cui l’obbligo di repechage gravante sul datore di lavoro “non si estenda anche alle mansioni inferiori a quelle del lavoratore licenziato”, non può che essere respinto, atteso che, come riportato nello storico della lite, il lavoratore aveva segnalato sin dall’atto introduttivo del giudizio la circostanza delle nuove assunzioni di manovali e la mancata offerta datoriale di compiti equivalenti o anche di livello inferiore e che, nel corso del giudizio medesimo, tali fatti – secondo la Corte territoriale – avevano trovato conferma, conclamando la violazione dell’obbligo di repechage».

Il rigetto del ricorso proposto dal datore di lavoro ha naturalmente comportato anche la sua condanna alle spese di lite.

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Author: Avv. Francesca Serretti Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 24 febbraio 1982. Iscritta all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 2010. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione lavoro di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

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