No al danno da stress: la Cassazione sintetizza lo stato dell’arte sul danno non patrimoniale Cass. Civ., Sez. Lav., 18/01/2017, n. 1185

By | 14/02/2017

La Suprema Corte (Cass. Civ., Sez. Lav., 18/01/2017, n. 1185) fa il punto sul danno non patrimoniale, con particolare riferimento all’area caratterizzata da più ampia discrezionalità costituita dai danni ai diritti oggetto di tutela costituzionale.

La sentenza in commento, si connota per la nitidezza dello schema riassuntivo che propone in tema di danno non patrimoniale, a partire da una fattispecie giuslavoristica, purtroppo assai frequente, di danno da mobbing.

Per riassumerla, conviene massimarla per punti, seguendone, per quanto possibile, lo stesso schema espositivo.

Quando è risarcibile il danno non patrimoniale

Cominciamo dall’individuazione dei casi in cui il danno non patrimoniale è risarcibile.

La Corte distingue tre ipotesi:

a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato;

b) quando ricorra una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di una ipotesi di reato;

c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona.

Quali sono gli interessi la cui lesione è risarcibile

L’individuazione delle tre categorie di ambito risarcibile sopra delineate, comporta la necessità di delimitare il novero degli interessi tutelabili in relazione a ciascuna di esse.

Vi è, infatti, profonda differenza tra il caso sub a), ove la legge stabilisce la risarcibilità quale conseguenza dell’illecito penale, prescindendo, dunque, da natura e tipologia dell’interesse leso; il caso sub b), in cui, viceversa, l’individuazione dell’interesse oggetto di tutela risarcitoria è effettuata dalla legge in relazione alle specifiche fattispecie da essa prese di volta in volta in considerazione; e, infine, il caso sub c), ove l’area degli interessi la cui lesione può dare luogo a risarcimento è delineata in modo generico (diritti inviolabili della persona oggetto di grave lesione) e va dunque ritagliata dal giudice su ogni singolo caso concreto.

Le sentenza snoda il ragionamento sui tre punti in questione stabilendo che:

nel caso sub a) il danneggiato avrà diritto al risarcimento del danno da lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall’ordinamento, ancorché privo di rilevanza costituzionale;

nel caso sub b) il danneggiato avrà diritto al risarcimento del danno scaturente dalla lesione dei soli interessi oggetto di speciale tutela legislativa;

nel caso sub c) il danneggiato avrà diritto al risarcimento degli interessi enucleati dal giudice caso per caso nelle fattispecie sottoposte alla sua valutazione.

Danno ad interessi costituzionalmente protetti: il vaglio del giudice

L’ultima delle tre ipotesi sopra elencate è quella che probabilmente presenta il maggior grado di discrezionalità nella concreta identificazione del pregiudizio risarcibile, posto che, in presenza di una clausola generale di risarcibilità della lesione agli interessi costituzionalmente protetti e del concomitante criterio della gravità della relativa lesione, viene in definitiva rimessa al giudice la concreta individuazione del confine tra figure irrilevanti (il mero disagio o il fastidio, ad esempio) e pregiudizi viceversa rilevanti sotto il profilo risarcitorio.

A tale operazione di scrematura, il giudice dovrà provvedere, caso per caso:

a) evitando duplicazioni (con l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici);

b) discriminando i meri pregiudizi – concretizzatisi in disagi o lesioni di interessi privi di qualsiasi consistenza e gravità, come tali non risarcibili, dai danni che vanno risarciti;

c) motivando comunque in modo congruo, coerente sul piano logico e rispettoso dei principi giuridici applicabili alla materia.

Ambito del risarcibile ed onere della prova

Stabilito quando il danno non patrimoniale è risarcibile, quali interessi sono tutelati ed in che modo il giudice interagisca con il quadro così delineato allorché gli sia demandato il compito di individuare concretamente le fattispecie degne di tutela, la pronuncia si concentra sulla distinta tematica dell’estensione del pregiudizio risarcibile e dell’onere della relativa prova.

Così, a partire dal principio del risarcimento del ristoro integrale del danno, secondo cui occorre risarcire tutto il danno, ma solo il danno patito dalla vittima, nulla di più, nulla di meno,  come indicato dalle Sezioni Unite di San Martino 2008 (Cass. Civ., SS.UU., 11/11/2008 n. 26972/3/4/5), la sentenza in esame ribadisce che, nel delimitare l’area del risarcibile è necessario «tenere conto dell’insieme dei pregiudizi sofferti, ivi compresi quelli esistenziali», a condizione che  venga «provata nel giudizio l’autonomia e la distinzione degli stessi, dovendo il giudice, a tal fine, provvedere alla personalizzazione del danno».

Dunque la richiesta di risarcimento del danno da mobbing potrà trovare accoglimento solo a condizione che

«sia allegata e provata la concreta lesione in termini di violazione dell’integrità psico-fisica ovvero di nocumento delle generali condizioni di vita personali e sociali e a tal fine non è sufficiente il generico riferimento allo “stress” conseguente alla suddetta condotta, posto che esso si risolve nell’affermazione di un danno in re ipsa».

Inammissibilità del danno in re ipsa

Ed a proposito di danno in re ipsa, la Cassazione conferma l’orientamento giurisprudenziale – ben sintetizzato, ad esempio, da Cass. Civ.,Sez. III, 13/11/2015, n. 23206) – secondo cui è in ogni caso esclusa

«la sussistenza di un danno non patrimoniale in re ipsa, sia che esso derivi da reato (Cass., 12 aprile 2011, n. 8421), sia che sia contemplato come ristoro tipizzato dal legislatore (in tema di tutela della privacy: Cass., 26 settembre 2013, n. 22100; Cass., 15 luglio 2014, n. 16133; in tema di equa riparazione per durata irragionevole del processo: Cass., 26 maggio 2009, n. 12242), sia, infine, che derivi dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti (Cass., 18 novembre 2014, n. 24474)».

Anche secondo il precedente in esame, infatti, «il  danno non patrimoniale, anche nel caso di lesione di diritti inviolabili, non può mai ritenersi in re ipsa, ma va debitamente allegato e provato da chi lo invoca, anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici».

La prova per presunzioni: istruzioni per l’uso

Il rigore adottato dalla giurisprudenza nel valutare il profilo istruttorio del danno non patrimoniale è temperato dall’ammissione del ricorso al ragionamento presuntivo. Anche riguardo a quest’ultimo, tuttavia, la pronuncia in commento rammenta che il ricorso a tale tipologia di ragionamento:

a) deve comunque basarsi su «elementi gravi, precisi e concordanti», tali, cioè,  «da lasciar apparire l’esistenza del fatto ignoto come una conseguenza ragionevolmente probabile del fatto noto»;

b)  deve consentire di instaurare una correlazione «tra i fatti accertati e quelli ignoti secondo le regole di esperienza che convincano di ciò, sia pure con qualche margine di opinabilità»;

c) non può articolarsi “a catena”, non essendo consentito «al giudice, in mancanza di un fatto noto, fare riferimento ad un fatto presunto e far derivare da questo un’altra presunzione.

In conclusione

La sentenza qui commentata, al di là di quelli che possono esserne i profili di condivisione o quelli critici, si segnala per essere particolarmente efficace nel ricostruire sinteticamente il panorama del danno non patrimoniale, costituendo un esempio giurisprudenziale di sinteticità e chiarezza, sovente proclamato dai giudici, ma di non costante applicazione da parte delle Corti, sia di merito, che di legittimità.

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