Gli atti dell’incontro del 24/11/2014. Parte seconda: l’arbitrato Incontro-confronto a Pesaro, del 24/11/2014, Sala provinciale W. Pierangeli


La L. 10/11/2014  n. 162 ha convertito, con modifiche, il D.L. 12/09/2014 n. 132, contenente le c.d. misure di degiurisdizionalizzazione in materia civile, con cui, come noto è stato introdotto un nuovo tipo di arbitrato.

L’arbitrato come eliminazione dell’arretrato

La finalità dichiarata di questo tipo di arbitrato è quella di eliminare (si noti, non ridurre, ma eliminare) l’arretrato dei procedimenti civili.

Per realizzare questa speciale ed ottimistica finalità, tuttavia, è normativamente prevista la collaborazione, anche economica, delle parti, perché la causa pendente si sposterà dal giudice all’arbitro, solo se le parti coinvolte lo vorranno ed accetteranno di sostenerne anche i nuovi costi (compensi degli arbitri). Il che, già, porta a dubitare della sua stessa realizzabilità. Ma veniamo all’esame dell’istituto.

L’oggetto

Secondo la regolamentazione di questo istituto (rimessa esclusivamente ad un solo articolo, l’art. 1 L. 162/2014 cit.), sono suscettibIcoSlide8ili di arbitrato le cause civili, pendenti dinnanzi al tribunale o alla corte d’appello, purchè non trattenute in decisione, e purchè non vertenti su diritti indisponibili, o in materia di previdenza e assistenza sociale.

Il divieto del trasferimento della causa in sede arbitrale vige anche per le cause di lavoro, salvo che la controversia non verta su un diritto che trovi la propria fonte esclusiva nel contratto collettivo di lavoro e quest’ultimo abbia espressamente previsto la soluzione arbitrale; in tale, infatti, l’arbitrato sarà ammissibile.

Il procedimento  

Come sopra anticipato, l’avvio del procedimento può essere dato solo con la collaborazione delle parti coinvolte nella causa civile pendente, e precisamente con un’istanza congiunta.

E’ prevista una specifica ipotesi di consenso presunto al trasferimento dalla sede giudiziale alla sede arbitrale, ed è quella in cui una delle parti in causa sia un ente pubblico e la controversia, di valore non superiore a € 50.000, verta su responsabilità extracontrattuale o su pagamento di somma di denaro (come si può constatare, quest’ultima – pagamento somma di valore non superiore a € 50.000 – è quella stessa tipologia di cause rispetto alla quale, in sede di negoziazione assistita, opera la condizione di procedibilità dell’esperimento obbligatorio della procedura).

In questo caso, dunque, trascorso inutilmente il termine di 30 gg dalla richiesta di promuovere il procedimento arbitrale, il consenso della p.a. si presume.

L’istanza va inoltrata al giudice (tribunale o corte d’appello) il quale, verificata la sussistenza dei presupposti, trasmetterà il fascicolo al Presidente dell’Ordine degli avvocati territorialmente competente, ossia a quello del circondario ove egli (tribunale o la corte d’appello) ha sede.

La trasmissione fisica del fascicolo d’ufficio ( ed anche dei fascicoli di parte? nulla dice la legge in merito), induce a ritenere che, dunque, custode di esso, quaIcoSlide9ntomeno sino alla nomina degli arbitri, diventi il Consiglio dell’Ordine degli avvocati. Ci si chiede, pertanto, se e come si attrezzeranno gli Ordini per la gestione del fascicolo, se dovranno creare una modalità di archiviazione di essi, se saranno tenuti a rilasciare le copie degli atti ivi contenuti, se richieste dalle parti, etc.

La nomina degli arbitri

La L. 162/2014 non sembra lasciare molta libertà alle parti in ordine alla scelta degli arbitri.

In primo luogo, infatti, sembrerebbe che per la nomina di essi, si possa attingere solo all’elenco formato dagli avvocati, iscritti all’albo da più di cinque anni, che in pari tempo non abbiano riportato condanne definitive comportanti la sospensione, e che abbiano dato la loro disponibilità a tale nomina. Il che, dunque, porterebbe ad escludere la possibilità di nominare, quale arbitro, un professionista diverso da quelli inseriti nel citato elenco.

Dettaglio degno di nota è, inoltre, il fatto che, malgrado l’articolo in esame sia già oggi pienamente in vigore, tuttavia, per quanto concerne i criteri di scelta dell’arbitro e di assegnazione ad essi delle cause, per opera del Consiglio dell’Ordine, la norma faccia riferimento ad un regolamento con decreto ministeriale da emanare entro 90 gg dall’entrata in vigore della legge, che dovrà garantire l’assegnazione delle cause secondo le competenze professionali degli avvocati-arbitri, nonché la rotazione nell’assegnazione stessa, regolamento, tuttavia, che ad oggi in cui si scrive (30/11/2014) non risulta ancora emanato. Ci si domanda, quindi, come, nelle more, si regoleranno gli Ordini nell’assegnazione degli incarichi agli avvocati-arbitri, ed in particolare su quale base valuteranno le ‘competenze professionali’ di cui sopra.

Inoltre, il comma 2 del cit. art. 1 L. cit., dispone che quando il valore della controversia sia superiore a € 100.000, si debba procedere alla nomina di un collegio arbitrale, mentre si possa procedere alla nomina anche di arbitro unico, qualora vi sia consenso congiunto delle parti e sempre che la controversia sia di valore inferiore a € 100.000.
Il che, dunque, sembrerebbe escludere la possibilità di nominare arbitro unico per tutte le controversie di valore superiore a € 100.000.
Questa scelta del legislatore colpisce se solo si considera che i costi della procedura, che verosimilmente saranno maggiori se maggiore sarà il numero degli arbitri, graverà inevitabilmente sulle parti in causa.

La norma dispone che, una volta effettuato il trasferimento, la causa prosegue davanti agli arbitri e che sono salvi gli effetti sostanziali e processuali già prodotti davanti al giudice. Questa disposizione, apparentemente di semplice lettura, in realtà potrebbe non esserlo. Infatti, alla luce di ciò, ci si chiede se l’arbitro potrà, ad esempio, revocare o modificare l’ordinanza di ammissione delle prove.

Il procedimento, poi, è scandito secondo termini normativamente stabiliti (120 gg dall’accettazione del mandato da parte degli arbitri, oltre un eventuale proroga di 30 gg,) entro cui dovrà essere pronunciato il lodo, dovendo in difetto, procedere alla riassunzione della causa, pena l’estinzione della stessa (si noti che, inspiegabilmente, ciò è quanto previsto per i giudizi pendenti avanti la Corte d’appello, mentre nulla sembra previsto per gli altri giudizi pendenti avanti al tribunale).

Conclusioni

Da questa sintetica disamina dell’istituto, sembra potersi concludere che si tratta di una procedura costretta in lacci e lacciuoli, peraltro, gravante, economicamente (ma non solo), sulle parti private coinvolte nel giudizio, e ciò, quindi, fa dubitare della riuscita di esso. Ma lo vedremo solo con il tempo.

Nota di richiami

La prima parte di questo articolo è stata pubblicata il 28/11/2014.

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Author: Avv. Daniela Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 20 agosto 1963. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1992. Abilitata al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione famiglia di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833.

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