PCT e numero di R.G. sbagliato: per un punto Martin perse la causa… A margine di Trib. Torino, Sez. I, ordinanza 13/05/2016

By | 06/06/2016

Si racconta che Frate Martino, priore di un monastero, ebbe l’idea di mettere in risalto l’ospitalità del luogo con un’iscrizione sopra suo il portone d’ingresso che diceva: «Porta patens esto. Nulli claudatur honesto», ovverosia «La porta sia aperta. A  nessuno onesto si chiuda». Senonché, lo scalpellino incaricato di incidere la frase commise un banale errore, spostando in avanti il segno di interpunzione, cosicché la frase infine suonò: «Porta patens esto nulli. Claudatur honesto», che significa, molto diversamente da quelle che erano le intenzioni del frate priore, «La porta sia aperta a nessuno. Si chiuda all’onesto». Sventuratamente, mal ne incolse al povero Martino, visto che i suoi superiori, appreso dell’errore, lo rimossero dall’incarico. Di qui, il noto motto «per un punto Martin perse la cappa».

Ora, al di là dell’intento didascalico di questa proverbiale storia, va detto che, quantomeno al sottoscritto, in essa c’è qualcosa, che proprio non quadra. La domanda che le ronza, per così dire, intorno, infatti, è: perché Martino per aver commesso un errore talmente banale come quello dell’aneddoto in questione (per di più facilmente emendabile con qualche facile intervento di muratura da parte dello stesso maldestro scalpellino che era stato incaricato di scolpirla con un poco di ulteriore lavoro) avrebbe dovuto pagare un prezzo tanto caro come la perdita della propria carica?

La risposta è duplice: o di quel frate priore i superiori erano a tal punto insoddisfatti che l’occasione fu loro propizia per liberarsi di un personaggio inadeguato, oppure tutta la vicenda si inquadra in un sistema di potere arcaico, burocratizzato e talmente rigido da non comprendere che, in fondo, su un errore del genere ci sarebbe stato, al più, da farci una risata sopra per poi provvedere ad emendarlo.

Il numero di R.G. ai tempi della carta

Chi ha avuto la pazienza di seguire il racconto sin qui si deve essere sicuramente domandato che cosa mai abbia a che spartire Martino e i suoi punti con il processo civile telematico. C’entra. E un’altra (brevissima) digressione aneddotica probabilmente permetterà di metterlo meglio in luce.

Mettiamo l’orologio indietro di qualche anno e immaginiamoci tutti un poco più giovani e molto più “cartacei” di quanto oggi non siamo, intenti a depositare una memoria istruttoria nel procedimento – poniamo – recante il N. R.G. 365/1998 e di farlo l’ultimo giorno utile, in prossimità dell’orario di chiusura della cancelleria.

Entriamo in tutta fretta nell’ufficio del cancelliere, con il fascicolo in mano e gli consegniamo quest’ultimo insieme alla memoria in scadenza, magari con un’occhiata ansiosa all’orologio, perché siamo consapevoli di essere quasi fuori tempo massimo.

Nella fretta e nella stanchezza non ci siamo accorti, però, di aver sbagliato l’indicazione del numero di  R.G. nell’intestazione dell’atto che stiamo depositando (o nella relativa nota di deposito, per le Corti che la richiedevano): invece di 365/1998, poniamo, abbiamo, infatti, scritto 356/1998.

Ma è il cancelliere che se ne avvede e che, con maggiore o minore cortesia a seconda dei suoi tratti caratteriali, ce lo fa presente a che noi possiamo provvedere a correggere la svista con un tratto di penna sul posto.

E’ possibile immaginarsi un cancelliere dell’epoca dirci, con fare solenne: «Il numero di R.G. è sbagliato, il deposito è inammissibile», indi restituendoci l’atto e non consentendoci ulteriori attività in quanto l’orario di deposito è trascorso?

A parte casi limite, sempre purtroppo ipotizzabili, diremmo proprio di no.

Il numero di R.G. ai tempi della telematica e il povero Martino

Senonché, ai tempi della telematica il discorso, improvvisamente, cambia ed entra in gioco Martino, dove per Martino si intende, stavolta, non il frate priore della storia con cui abbiamo introdotto l’argomento in esame, ma il malcapitato avvocato  che, avendo  commesso l’errore di rovesciare due cifre componenti il numero di ruolo, abbia la sfortuna di bussare, tra tutte quelle sparse sul territorio,  proprio alla porta di un’aula di Giustizia ove tale errore, come vedremo di qui a poco, è valutato in termini di errore capitale imperdonabile, con conseguenze processuali talvolta drammatiche.

In tal caso, infatti, il nostro avvocato-Martino forse non perderà la proverbiale cappa, ma dovrà probabilmente confidare che la propria assicurazione professionale copra il rischio informatico e, magari, dovrà riflettere se il suo errore non sia passibile di qualche conseguenza sotto il profilo disciplinare (cosa che, in tema di PCT, qualcuno ha pure ipotizzato, ma di cui sino ad ora non vi è stata, almeno a contezza di chi scrive, applicazione).

E il senso di frustrazione professionale e conseguente preoccupazione incombente sul Nostro dopo l’esperienza trascorsa è certo destinato ad acuirsi ulteriormente, sino a sfiorare il paradosso dell’incubo onirico, quando egli realizzerà che, se avesse imboccato la porta di altre aule giudiziarie, ecco che l’aver sbagliato un “numerino” nel contesto dell’R.G.  sarebbe stato considerato un «banale errore materiale di indicazione del numero del fascicolo di destinazione» e non avrebbe comportato alcuna conseguenza, tantomeno decadenziale.

Nel che, probabilmente, risiede l’aspetto più ingiusto e insopportabile della questione che si sta affrontando, perché, come ci ha magistralmente insegnato il Calamandrei, è davvero insopportabile dover rispondere al cliente soccombente che ci addebita di aver sbagliato difesa, che, in realtà l’unica cosa che si è sbagliata è stata la porta.

Il valzer della giurisprudenza di merito

Infatti, che in materia di numero di R.G. (e non solo, perché la dinamica delle violazioni puramente rituali o meramente tecniche in tempi di telematica ha dato la stura ai più esasperati formalismi forensi) la giurisprudenza di merito si sia impegnata in molteplici giri di valzer interpretativi è dimostrato dalla seguente breve rassegna di decisioni relative alla valutazione del rifiuto di deposito di atti giudiziari (di natura spesso delicatissima) a causa dell’erronea indicazione del numero di R.G.

Trib. Torino, 26/08/2014 – respinge l’istanza di rimessione in termini

Apre le danze, per così dire, il Tribunale di Torino (Trib. Torino, ordinanza 26/08/2014, circa la quale ci si era già espressi in termini critici), che, in un caso in cui il deposito della seconda memoria istruttoria ex art. 183, 6° co. C.P.C. era stato rifiutato a causa di un errore nell’indicazione del numero di R.G., ha senza mezzi termini respinto la successiva istanza di rimessione in termini proposta dal depositante in base alla laconica considerazione che, nella specie, il deposito della memoria in questione sarebbe stato

«rifiutato a causa di una anomalia non risolvibile, di guisa che non vi sono elementi per ritenere che tale rifiuto, e con esso la conseguente decadenza, siano riconducibili a cause estranee alla ricorrente (che peraltro ha dichiarato che il rifiuto sarebbe da addebitare ad un errore nella indicazione del numero di ruolo generale della causa, dunque imputabile alla ricorrente medesima)».

Trib. Catania, 28/01/2015 – accoglie l’istanza di rimessione in termini

Il primo giro di valzer rispetto alla decisione sopra indicata si verifica circa sei mesi dopo, allorquando il Tribunale di Catania (Trib. Catania, ordinanza 28/01/2015) prende in esame una situazione analoga a quella di cui sopra, avente ad oggetto il deposito, sempre con R.G. erroneo, di una memoria ex art. 426 C.P.C.

Stavolta, però, l’avvocato-Martino è più fortunato, posto che il giudice catanese, rilevato che, nella specie la parte che aveva proceduto al deposito aveva altresì

«ricevuto un messaggio di accettazione deposito della memoria integrativa con la dizione “descrizione esito: numero di ruolo non valido: il mittente non ha accesso al fascicolo. Accettazione avvenuta con successo” (…)senz’altro idonea a generare un legittimo affidamento sull’avvenuto deposito degli atti»;

e rilevato, ancora, che la cancelleria avrebbe dovuto comunque trasmettere l’atto «alla sezione competente (evitando che la parte incorresse in preclusioni) ovvero informare compiutamente la parte dell’errata ricezione», ha infine accolto l’istanza di rimessione in termini proposta dal depositante.

Trib. Torino, 11/06/2015 – respinge l’istanza di rimessione in termini

Senonché, di lì a qualche tempo, il destino vuole che la questione ricompaia ancora dinanzi al Tribunale di Torino (Trib. Torino, ordinanza 11/06/2015), da dove era partita.

Il Tribunale torinese conferma il proprio originario orientamento respingendo la richiesta di rimessione in termini di una seconda memoria istruttoria ex art. 183 C.P.C., in maniera, però, decisamente più articolata rispetto a quanto si era potuto vedere nella prima decisione di quel tribunale datata 26/08/2014 con cui abbiamo aperto questa breve rassegna.

L’ordinanza ora in esame, infatti, sancisce anzitutto il principio, secondo il quale

«Il deposito di un atto processuale in un fascicolo non pertinente è affetto da nullità perché mancante dei requisiti indispensabili al raggiungimento dello scopo (art. 156 cpv. c.p.c.). Il deposito in cancelleria ha infatti la funzione di comunicare la memoria alla controparte (art. 170 co. 4 c.p.c.), oltre che al giudice. Questa funzione viene del tutto a mancare se l’atto non può essere reso accessibile nel pertinente fascicolo telematico perché indirizzato altrove».

Indi, quasi a prevenire il (ragionevole) rilievo che, come si dirà meglio in seguito, l’art. 16-bis, 7° co., D.L. 179/2012, scolpisce il momento dell’avvenuto deposito telematico in quello della generazione da parte del sistema della ricevuta di avvenuta consegna, con la conseguenza che, dunque, non si vede come possa interferire con la tempestività del deposito quanto accade dopo a generazione di tale ricevuta, il Tribunale osserva che

«funzione di questa norma è, all’evidenza, quella di esonerare il depositante dal rischio di tardività del deposito in ragione di ritardi di lavorazione a lui non imputabili – ci si riferisce ai controlli automatici effettuati dal dominio giustizia e, soprattutto, a quelli manuali degli operatori di cancelleria che possono avvenire a distanza di giorni – ma non dal rischio di nullità del deposito per carenza dei requisiti indispensabili»,

concludendo, per l’effetto, che «se il deposito è nullo (vedi sopra) non vale a far salvo il rispetto del termine la circostanza che la RdAC sia stata generata entro la fine del giorno di scadenza».

Trib. Pescara, 02/10/2015 – accoglie l’istanza di rimessione in termini

A risollevare l’avvocato-Martino dallo sconforto (derivante, in particolare, dall’aver a proprie spese appreso che, secondo il Tribunale di Torino, oltre ai requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo propri degli atti giudiziari, esistono anche i requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo dei depositi di questi ultimi e che la loro inosservanza implica le medesime draconiane conseguenze in termini di nullità/inammissibilità del tutto indipendentemente dal testo dell’art. 16-bis, 7° co., D.L. 179/2012)  ci pensa, però, il Tribunale di Pescara (Trib. Pescara, ordinanza 02/10/2015).

Quest’ultimo, infatti, circa tre mesi dopo il secondo giudicato torinese appena commentato, a fronte di una comparsa di risposta depositata telematicamente e rifiutata dalla cancelleria con la motivazione «atto rifiutato per deposito fascicolo errato», compie un esercizio di grande buon senso – almeno a parere di chi scrive – comparando tra loro il sistema telematico e quello cartaceo.

Ad avviso del provvedimento ora in esame, infatti,

«il banale errore materiale di indicazione del numero del fascicolo di destinazione del suddetto atto difensivo è stato segnalato dal sistema telematico solo il 1.7.2015, anziché immediatamente, come dovrebbe avvenire se tale sistema fosse ideato e realizzato in modo da funzionare adeguatamente e cioè con efficienza quantomeno pari a quella umana in operazioni automatizzabili».

D’altro canto, prosegue l’ordinanza in questione,

«qualsiasi operatore addetto ad uno sportello di Cancelleria, all’atto di ricevere una comparsa di risposta sarebbe perfettamente in grado di rilevare immediatamente, semplicemente incrociando i dati relativi ai nominativi delle parti o in causa e al numero della causa, l’indicazione erronea del numero del fascicolo da parte del depositante l’atto e di segnalarglielo, sicché identica capacità si può e si deve pretendere da un sistema telematico»,

concludendo, sulla base di tale basilare considerazione, che

«si può ritenere che parte convenuta sia incorsa in una decadenza per causa imputabile essenzialmente ad un difetto del predetto sistema, inidoneo a segnalare all’interessato un semplice errore materiale, come tale non meritevole di essere sanzionato con una decadenza processuale».

Trib. Milano, 08/10/2015 – respinge l’istanza di rimessione in termini

Siamo a poco più di metà pista e un nuovo giro di valzer non può, a questo punto, mancare.

Trascorsi sei giorni dal precedente del Tribunale di Pescara sopra esaminato, infatti, interviene in tema il Tribunale di Milano (Trib. Milano, Sez. XIII, ordinanza 08/10/2015), che spariglia nuovamente i giochi in una fattispecie particolare, in cui la parte istante aveva chiesto in udienza di poter depositare cartaceamente una memoria ex art. 426 c.p.c.  che assumeva di aver preventivamente depositato telematicamente – come da ricevute di accettazione e consegna prodotte in atti – senza che, tuttavia, essa risultasse effettivamente inserita nel fascicolo telematico.

Senonché, a fronte di ciò,  il giudicante, rilevato che la parte istante aveva omesso

«di depositare le ulteriori due ricevute previste dal comma 7 dell’art. 13 del D.M. 44/2011, ovvero quelle che il gestore dei servizi telematici restituisce al mittente e nelle quali viene dato atto dell’esito dei controlli effettuati dal dominio giustizia, nonché dagli operatori della cancelleria o della segreteria»

e che dunque non sarebbe stato dato, per tale ragione,

«conoscere se si sia trattato di un errore del sistema oppure di un errore attribuibile all’attrice nella compilazione dell’atto per avere, ad esempio, depositato la memoria per via telematica con un numero di R.G. diverso da quello corretto»,

respingeva l’istanza (dopo averla previamente qualificata come istanza di remissione in termini) facendo all’uopo letteralmente propri i medesimi argomenti utilizzati al medesimo fine da Trib. Torino, ordinanza 11/06/2015 di cui si è già detto.

Trib. Napoli, 16/12/2015 – respinge l’istanza di rimessione in termini

Al povero avvocato-Martino, a questo punto deve essere certo passato il buon umore, avendo egli appreso di non poter confidare neppure nell’ombrello protettivo apprestato dall’art. 16-bis, 7° co., D.L. 179/2012, secondo il quale, vale la pena ricordarlo,

«il deposito con modalità telematiche si ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del ministero della giustizia. Il deposito è tempestivamente eseguito quando la ricevuta di avvenuta consegna è generata entro la fine del giorno di scadenza (…)»,

oltre in quello di cui all’art. 13, 2° co., D.M. 44/2011, il quale, a sua volta ad abundantiam prevede che «la ricevuta di avvenuta consegna attesta, altresì, l’avvenuto deposito dell’atto o del documento presso l’ufficio giudiziario competente»

Ed il mood, peraltro, non pare destinato certo a migliorare, se si considera che, solo un paio di mesi dopo la pronuncia milanese appena esaminata, è intervenuto anche il Tribunale di Napoli (Trib. Napoli, Sez. IV, ordinanza 16/12/2015, con una pronuncia resa ancora in una fattispecie di deposito di seconda memoria istruttoria con R.G. errato.

Anche in questo caso, il Tribunale partenopeo rigetta l’istanza di rimessione in termini, osservando che l’errore di specie doveva in effetti considerarsi

«riconoscibile da parte del mittente già pochi minuti dopo il deposito quando è pervenuta la terza ricevuta PEC contenente gli esiti dei cd. controlli automatizzati previsti dall’art. 13, co. 7, del DM 44/2011 e dall’art. 14 del Provv. Resp. S.I.A. del 16 aprile 2014 nei quali si evidenziava “Numero di ruolo non valido: il mittente non ha accesso al fascicolo. Sono necessarie verifiche da parte della cancelleria”»

e che tale terza PEC era pervenuta nella disponibilità della parte allorquando essa avrebbe ancora potuto ridepositare

«la memoria ed in suoi allegati se solo avesse controllato che il numero di ruolo del fascicolo, come emergenti dallo stesso testo del file.xml del terzo messaggio PEC che l’istante ha ritenuto di inserire nell’istanza in esame, non era quello del fascicolo in cui il predetto era costituito».

Trib. Torino, 10/04/2016  respinge l’istanza di rimessione in termini

Dello stesso tenore una successiva ordinanza del Tribunale di Torino (Trib. Torino, Sez. VII, ordinanza 10/04/2016), la quale, ancora una volta in fattispecie concernente il deposito di una seconda memoria istruttoria con numero di R. G. erroneo, ritenuto

«che l’indicazione di un numero di ruolo errato da parte del depositante non rientri tra le cause di decadenza non imputabili alla parte ex art. 153, comma 2, c.p.c., in quanto trattasi di errore o svista ascrivibile al depositante e rimediabile con l’impiego dell’ordinaria diligenza e non costituisce certamente causa estranea alla sua volontà»

e ritenuto, altresì, che l’indicazione di un numero di ruolo errato è uno dei casi in cui non è possibile l’accettazione «non conoscendo la cancelleria il fascicolo corretto in cui inserire l’atto» non essendo, pertanto, quest’ultima  «tenuta a forzare l’accettazione del deposito, potendo limitarsi a rifiutare il deposito e a comunicarne l’esito negativo», ha rigettato l’istanza di rimessione in termini proposta dalla parte che aveva operato il deposito.

Trib. Milano, 23/04/2016 – dichiara illegittimo il rifiuto di deposito

Un’apertura, tuttavia, viene ancora dal Tribunale di Milano (Trib. Milano, Sez. IV, ordinanza 23/04/2016), il cui pensiero si è massimato come segue:

«È illegittimo il rifiuto, da parte della cancelleria, del deposito telematico di un atto (nella specie un’istanza di riassunzione) indicante un numero di R.G. errato che sia pervenuto al depositante a distanza di circa quaranta giorni dal deposito stesso ed una volta che questi aveva già ricevuto le PEC di accettazione e consegna, nonché quella contenente l’esito positivo dei controlli automatici ministeriali; in tal caso il deposito va considerato rituale e tempestivo.

Infatti, pur essendo corretto l’orientamento in merito alla necessità, ai fini della tempestività del deposito, di ottenere tutte e quattro le ricevute, soltanto la terza ricevuta, ossia gli esiti di controllo automatici, possano essere valutati come causa di non tempestivo deposito. Una volta, invece, che sia positivo l’esito dei controlli automatici, si ritiene che la Cancelleria non possa rifiutare l’atto, se non nei casi più gravi di errori c.d. FATAL» .

Si tratta di un provvedimento che, pur con qualche esitazione, ha il pregio di risolvere positivamente la questione, “salvando” l’atto contenente il numero di R.G: errato ed al tempo stesso allontanandosi dalle secche operative della rimessione in termini, tematica nella quale, come si è visto, si sono sin qui dibattuti parti e giudici di merito e che, invece ha in realtà poco a che fare con la materia sin qui esaminata,come si vedrà tra poco.

Dura lex, sed lex, ma è proprio lex?

E’ tempo di fermarsi un attimo prima di lasciarsi andare all’ultimo giro del valzer che si è sino ad ora descritto, valzer che – va detto – lascia davvero perplessi se si considera che dietro tutte le memorie di volta in volta dichiarate, a seconda dell’ufficio giudiziario ove trovano esame, inammissibili per via di un “numerino” di R.G. invertito, o, invece, pacificamente ammesse agli atti nonostante il numerino di R.G “invertito”,  ci sono persone in carne ed ossa con i loro diritti.

Questi ultimi – persone e loro diritti – infatti, meriterebbero quantomeno un poco più di certezza e prevedibilità delle decisioni circa questioni la cui valutazione in un senso o nell’altro può riverberare conseguenze potenzialmente devastanti sotto il profilo processuale come quelle sin qui esaminate. Questioni la cui delibazione, peraltro non coinvolge certo opzioni personali fondamentali o scelte etiche irrinunciabili tali da giustificare la non uniformità degli indirizzi in materia: in altre parole, cioè, sempre di un “numerino” invertito si tratta e la disparità di trattamento puramente casuale nel trattamento di tale medesimo errore materiale che si è sopra potuta riscontrare non sembra in alcun modo giustificabile.

Dinanzi a un quadro quale quello esaminato, dunque sarebbe in prima battuta altamente auspicabile che l’idea del “dura lex sed lex” nella quale gli indirizzi di stampo formalistico finiscono più o meno tutti per confluire, lasciasse il campo a considerazioni di equità sostanziale, per tale via privilegiando atteggiamenti che consentano di porre rimedio ad errori meramente formali in modo uniforme sul territorio nazionale, così da evitare le incomprensibili disparità che si sono lette e che possono unicamente definirsi ingiuste.

Ma, se quello appena svolto resta un semplice auspicio, un’altra considerazione, riguarda, invece, il profilo più strettamente giuridico, della questione.

Il già citato art. 16-bis, 7° co., D.L. 179/2012, infatti, stabilendo che il deposito telematico «si ha per avvenuto» nel momento in cui il sistema genera  «la ricevuta di avvenuta consegna» è in effetti molto chiaro.

In tale momento il deposito è avvenuto e basta.  L’atto che ne forma oggetto, perciò, è entrato giuridicamente a fare parte del fascicolo e se, per avventura, ciò non accade materialmente a causa di problematiche di sistema, sarà il sistema a dover rimediare a tale evenienza, senza scaricare le proprie mancanze/inefficienze sulle parti, come di fatto accade opinando diversamente.

Ciò può avvenire per diverse vie. Confrontando, ad esempio, il contenuto dell’atto (dove è ben possibile che il numero di R.G. sia correttamente indicato) con le indicazioni che corredano il suo deposito. Avvisando, quantomeno, l’avvocato depositante della circostanza. Riferendo al giudice dopo aver accettato il deposito, così come peraltro espressamente previsto dal punto 7 della circolare Ministero della Giustizia del 23/10/2015, quantomeno in presenza di errori di tipo WARN o ERROR (categoria, quest’ultima, cui appartiene l’erronea indicazione del numero di R.G. ex art. 14, 7° co., lett. a,  provv. DGSIA del 16/04/2014), etc. Compiendo, cioè tutte le attività che si sarebbero compiute in casi consimili al tempo del cartaceo, allorché nessuno, ma proprio nessuno, si sarebbe mai immaginato di dover impegnarsi a verificare i precedenti giurisprudenziali in materia di numero di ruolo generale errato.

In altre parole, cioè, come è stato già molto ben evidenziato in dottrina1, ad eccezione di casi limite, sempre ipotizzabili in cui sia assolutamente impossibile intervenire per rimediare all’errore (come nel caso degli errori di tipo FATAL, cui, però, certo non appartiene quello in esame), poiché la ricevuta di avvenuta consegna segna il momento in cui l’atto è nel fascicolo di parte, tutte le evenienze tecnico/operative che vi fanno seguito (terza e quarta PEC; verifiche di cancelleria; anomalie di vario genere e quant’altro) non hanno, nè possono avere, alcun riflesso sull’ammissibilità dell’atto, non potendo certo determinare, per definizione, alcuna decadenza.

Ed il rimedio, in tali casi, concesso al depositante cui venga rimproverato d’aver errato, non è, allora, la richiesta di rimessione in termini, ma solo ed esclusivamente «richiedere al Giudice di dichiarare tempestivo e valido ad ogni effetto processuale il primo deposito, concedendo termine per eseguire un nuovo invio rettificato, e ciò esclusivamente ai fini del corretto inserimento nel fascicolo informatico di pertinenza».2

Quanto, poi, ad alcune interpretazioni che si sono lette in ordine al già citato punto 7 della circolare del Ministero della Giustizia del 23/10/2014 (il cui terzo comma prevede che, in presenza di errori di tipo WARN o ERROR le cancellerie devono accettare il deposito solo «ove possibile»), le quali sembrerebbero legittimare una sorta di discrezionalità dell’operatore nel procedere o meno con l’accettazione, va detto che esse sono destituite di fondamento. E ciò, sia perché esse privilegiano il testo di una mera circolare a fronte di disposizioni di rango normativo e regolamentare, sicuramente sovraordinate e di segno altrettanto sicuramente opposto. Sia perché tralasciano di leggere il seguito della disposizione in questione, dalla quale si evince che le cancellerie devono comunque «segnalare al giudice ogni informazione utile in ordine all’anomalia riscontrata».

D’altro canto, che sul personale di cancelleria incomba un onere – per non dire un vero e proprio dovere (peraltro nella maggioranza dei casi adempiuto) – di collaborazione sistemica per evitare che la problematica meramente tecnico/burocratica trasmuti in ostacolo propriamente processuale a chi scrive pare chiaramente implicito nella complessiva ricostruzione del sistema giuridico/telematico vigente, oltre che desumibile da principi base quali quelli di buon andamento ed economicità/efficacia dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost., richiamati da disposizioni settoriali specifiche, quali, ad es., l’art. 3, 4° co., e l’art. 12 del DPR 16/04/2013, n. 62  (recante il codice di comportamento dei pubblici dipendenti).

L’ultimo giro di valzer: Trib. Torino, 13/05/2016

Concludiamo proprio a Torino la danza  giurisprudenziale che abbiamo metaforicamente iniziato proprio nel Tribunale di quella città  (Trib. Torino, ordinanza 26/08/2014, dalla quale abbiamo preso le mosse).

E’ il Tribunale di Torino, infatti, che si incarica di operare l’ultimo – almeno a conoscenza di chi scrive – giro di valzer in tema di numero di R.G. errato. Ed è un giro significativo, sia per le argomentazioni che adduce a sostegno della tesi che “salva” l’atto contente l’errore in questione, sia perché si pone in contrasto con l’indirizzo opposto di quel Tribunale che abbiamo in precedenza potuto riscontrare (v. il già ricordati precedente di Trib. Torino, ordinanza 26/08/2014 e quelli di Trib. Torino, ordinanza 11/06/2015 e Trib. Torino, Sez. VII, ordinanza 10/04/2016).

Ci si riferisce a Trib. Torino, Sez. I, ordinanza 13/05/2016, che, se ci si passa l’espressione, parte subito bene, osservando che il disposto delle varie circolari ministeriali succedutesi nel tempo in materia di PCT (ivi compresa l’ultima del 23/10/2014. sopra citata, il cui punto 7, come si è visto, con quel «ove possibile», ha lasciato pensare ad una sorta di discrezionalità degli operatori nell’accettare o meno i depositi)

«non può avere conseguenze sul regime di deposito degli atti processuali, che è disciplinato dall’art. 16-bis comma 7 d.l. 179/2012, secondo cui “Il deposito con modalità telematiche si ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia”».

E, infatti, continua l’ordinanza in questione, l’accettazione da parte della cancelleria non costituisce affatto deposito telematico, «ma mero inserimento dell’atto nel fascicolo telematico», inidonea a condizionare la validità del deposito.

Ma poiché tale attività materiale costituisce purtuttavia «incombenza indispensabile per consentire all’atto di raggiungere lo scopo che gli è proprio», ne deriva che il più volte citato punto 7 della citata circolare ministeriale del 23/10/2014, laddove consente l’accettazione del deposito degli atti da parte delle cancellerie (in caso di errori di tipo WARN o ERROR) «ove possibile», deve «essere intesa in senso stretto, di possibilità materiale, indipendentemente da valutazioni di opportunità o organizzative».

Resta comunque fermo – prosegue il provvedimento in esame – che all’accettazione degli atti presentanti profili di problematicità

«dovrà accompagnarsi una efficace e adeguata attività di “segnalazione degli errori”, che consenta, alla controparte e al giudice, di conoscere le anomalie contenute nell’atto. Questa attività potrà anche comportare una richiesta di nuovo invio dell’atto, depurato delle anomalie che generavano l’errore»;

attività svolta in modo tale da «consentire sempre al giudice di verificare la piena conformità fra i due atti depositati; e che presuppone quindi la accettazione (e quindi l’inserimento nel fascicolo e la messa a disposizione) dell’atto depositato per primo, anche se contenente la “anomalia”».

Da queste premesse, discende logicamente, sotto il profilo dei rimedi ad evenienze del tipo in rassegna,  l’inadeguatezza della rimessione in termini ex art. 153, 2° co. C.P.C.

Ciò, in primo luogo,  in quanto l’inserimento di numero di R.G. sbagliato al momento del deposito, pur costituente mancanza veniale, genera un’anomalia comunque «imputabile alla parte» e, in secondo luogo, in quanto

«la rimessione in termini comporta l’autorizzazione alla parte a depositare nuovamente l’atto non accettato; e l’atto nuovamente depositato – che “sostituisce” il primo non accettato – potrebbe avere contenuto diverso da quello per primo depositato telematicamente».

Ne deriva, dunque, che occorrerà (ove tecnicamente possibile) procedere a forzare l’accettazione indicando quale data di essa «quella in cui il depositante ha ottenuto la ricevuta di avvenuta consegna».

In conclusione

Siamo pervenuti, dunque, alla fine – almeno per ora – della danza apertasi qualche anno fa sulla questione in esame, con una decisione che, almeno a chi scrive, sembra segnare un deciso passo avanti nel senso che si era già delineato nella precedente parte dell’articolo e va, dunque, salutato con favore.

Il problema, però, resta, visto che domani ciascuno di noi potrebbe vestire i panni del povero avvocato-Martino, a seconda del Foro, in cui ci troveremo ad operare o a seconda del singolo giudice con cui ci troveremo a rapportarci, o, per continuare a citare il grande Calamandrei, a seconda della porta che ci troveremo ad aprire per accedere all’aula in cui il nostro procedimento verrà chiamato.

Si tratta di un problema probabilmente inevitabile in un sistema fondato sul libero convincimento del giudice, ma è pure vero che ad esso è possibile apportare significativi, sia per via legislativa (è alle porte la riforma, come si sa; non c’è, dunque, che attenderne gli esiti), ma soprattutto per via giurisprudenziale: perché è nelle decisioni dei giudici che vive il diritto, divenendo Giustizia e dovrebbero essere quelle stesse decisioni, in presenza di quadri così sperequati quale quello che si è sopra tratteggiato, ad emendare le conseguenze inique che inevitabilmente ne derivano.

Non resta, dunque, che sperare che ciò accada. Se non altro in nome di Martino.

Documenti & materiali

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Scarica Trib. Torino, Sez. VII, ordinanza 10/04/2016
Scarica Trib. Milano, Sez. IV, ordinanza 23/04/2016
Scarica Trib. Torino, Sez. I, ordinanza 13/05/2016

Note

1 V. Pietro Calorio, «Errori materiali, rifiuto del deposito telematico e rimessione in termini: una ricostruzione critica», in Altalex.com, 2016, http://www.altalex.com/documents/news/2016/05/30/errori-materiali-rifiuto-del-deposito-telematico-e-rimessione-in-termini-una-ricostruzione-critica.

2 Ibidem.

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Author: Avv. Luca Lucenti

Avvocato, nato a Pesaro il 20 ottobre 1961. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1991. Abilitato al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Responsabile di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

One thought on “PCT e numero di R.G. sbagliato: per un punto Martin perse la causa… A margine di Trib. Torino, Sez. I, ordinanza 13/05/2016

  1. Stefano Bogini

    Complimenti, ricostruzione perfetta, efficacemente esposta, ancor meglio argomentata e condotta con spirito e sarcasmo impeccabili. Io ho scritto qualche cosa che ha a che fare con il file xml che correda l’atto. Ma la questione è nei termini sostenuti da te e Pietro. Grazie per la gradevole lettura. Stefano

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