Avvocati, tre pezzi facili: negoziazione familiare, prescrizione, competenza per il d.i.

By | 20/07/2015

Durante queste calde giornate d’estate, la mente di ciascuno di noi tende inevitabilmente a concentrarsi sull’essenziale, per non disperdere energie preziose e traguardare ogni sforzo sull’obiettivo di volta in volta perseguito: atto da completare, udienza da affrontare, mediazione da avviare o qualsiasi altro esso sia.

Nell’intento, dunque, di facilitare la lettura di alcune novità di un certo rilievo che riguardano l’attività professionale forense, abbiamo pensato di raggruppare qui tre recenti provvedimenti  relativi ad altrettanti aspetti del lavoro dell’avvocato: negoziazione assistita in materia familiare, prescrizione del credito professionale e competenza territoriale per le domande di ingiunzione.

Negoziazione assistita “familiare” e fiscalità

La prima novità concerne la fiscalità relativa agli accordi di negoziazione assistita in materia familiare previsti dall’art. 6, D.L. 12/09/2014, n. 132, conv in L.10/11/2014, n. 162 (che si occupa appunto, delle negoziazioni finalizzate a rinvenire  «soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio»).

Il caso

Un collega, dovendo inserire all’interno di una negoziazione assistita “familiare”, alcuni trasferimenti immobiliari, decide di interpellare preventivamente l’Agenzia delle Entrate, ex art. 11 dello Statuto del contribuente (L. 212/2000), per accertare se anche nel caso della negoziazione, possa trovare applicazione l’agevolazione di cui all’art. 19 L. 06/03/1987, n.74, «che prevede l’esenzione dall’imposta di registro, di bollo e da ogni altra tassa per “tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio”».

La risposta dell’Agenzia

L’Agenzia, con risoluzione 65/E del 16/07/2015, premesso che l‘art. 6, 3° co., D.L.132/2014 cit. assimila l’accordo raggiunto in sede di negoziazione agli omologhi provvedimenti giudiziali (stabilendo, infatti, che «l’accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio»), ne conclude che

«data la parificazione degli effetti dell’accordo concluso a seguito di convenzione di negoziazione assistita di cui al citato articolo 6 del decreto legge n. 132 del 2014 ai provvedimenti giudiziali di separazione e di divorzio, deve ritenersi applicabile anche a detto accordo l’esenzione disposta dall’articolo 19 della legge n. 74 del 1987, sempreché dal testo dell’accordo medesimo, la cui regolarità è stata vagliata dal Procuratore della Repubblica, emerga che le disposizioni patrimoniali, contenute nello stesso, siano funzionali e indispensabili ai fini della risoluzione della crisi coniugale».

Insomma, salvo ipotesi fraudolente cui sembra accennare l’ultima parte della risoluzione in esame, anche gli accordi conclusi in sede di negoziazione assistita “familiare” godono – quantomeno sintantonché l’amministrazione finanziaria terrà fermo il proprio orientamento  – dello stesso trattamento fiscale di favore riservato ai provvedimenti giudiziali di analoga natura.

Prescrizione dei crediti professionali e società

Un secondo elemento di interesse riguarda la materia della prescrizione dei crediti professionali (che, come noto, è di durata triennale a norma dell’art. 2956, n. 2, C.C.) e concerne la questione dell’applicabilità della disposizione appena richiamata ai casi in cui la prestazione professionale sia stata resa da una società.

Il tema è trattato in una recente sentenza della Sezioni Unite della Cassazione (Cass. Civ., SS. UU., 25/06/2015, n. 13144, che si occupa di un caso di prestazione resa da una società di elaborazione dati), secondo cui

«la prescrizione presuntiva triennale del diritto dei professionisti, per il compenso dell’opera prestata e per il rimborso delle spese correlative (art. 2956 n. 2 c.c.), trova la sua giustificazione nella particolare natura del rapporto di prestazione d’opera intellettuale dal quale, secondo la valutazione del legislatore del 1942, derivano obbligazioni il cui adempimento suole avvenire senza dilazione, o comunque in tempi brevi, e senza il rilascio di quietanza scritta. Ne consegue, in un regime nel quale il contratto d’opera professionale sia caratterizzato dalla personalità della prestazione, non solo che ad una società può essere conferito soltanto l’incarico di svolgere attività diverse da quelle riservate alle professioni c.d. protette, ma anche che deve necessariamente essere utilizzato uno strumento diverso dal contratto d’opera professionale e che perciò alla società non può essere opposta la prescrizione presuntiva triennale».

Mai come in questo caso, però, va suggerita la lettura dell’intero testo della sentenza.

La Corte, infatti, ha cura di precisare che la conclusione di cui sopra possiede validità in un contesto temporale risalente agli anni ’90 ed anteriore alle numerose modifiche che hanno riguardato l’esercizio delle attività professionali – protette o meno – in forma societaria (l’abrogazione del divieto di costituire società professionali contenuto nell’art. 2 L. 1815/1939, ad opera dell’art. 24, 1° co., L. 266/1997; l’apertura alla costituzione delle società tra avvocati ex art. 16 D.LGS. 96/2001; l’introduzione delle società multidisciplinari di cui all’art.2, 1° co., D.L. 223/2006, conv. in L. 248/2006; l’ulteriore ampliamento della gamma di società professionali contenuto nell’art. 10 L. 183/2011; il riconoscimento della possibilità di utilizzo dello strumento societario anche alle professioni non ordinistiche, di cui all’art. 1 L. 4/2013).

Alla luce di tale significativa precisazione, dunque – oltre che del tenore generale della sentenza in rassegna – sembra proprio potersi desumere che il caso affrontato dalle Sezioni Unite troverebbe oggi verosimilmente una soluzione opposta a quella risultante dalla massima sopra riportata.

Decreto ingiuntivo richiesto dall’avvocato: foro competente

Da ultimo, un’altra significativa decisione (Cass.Civ.,Sez. VI, Ordinanza 23/03/2015, n. 5810) riguarda il problema della individuazione del foro territorialmente competente nel caso di decreto ingiuntivo richiesto da un avvocato, alla luce dell’intervento della normativa in tema di processo sommario di cognizione di cui all’art. 14 e ss. D.LGS.01/09/2011, n.150

L’art. 14 D.LGS. 150/2011 appena citato, infatti, stabilisce che le controversie di cui all’art. 28 L. 13/06/1942, n. 794 (norma che prevedeva una particolare forma di liquidazione delle competenze degli avvocati), oltre che l’opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di onorari, diritti e spese, siano sottoposte al rito sommario di cognizione e che, in ipotesi, sia «competente l’ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l’avvocato ha prestato la propria opera».

Ora, considerando che il luogo ove l’avvocato «ha prestato la propria opera» può ben essere diverso dal luogo ove ha sede l’Ordine cui lo stesso professionista è iscritto, la disposizione appena citata viene a sovrapporsi a quella prevista dall’art. 637 C.P.C. (che, in caso di decreto ingiuntivo richiesto per prestazioni professionali di avvocati – e notai – prescrive che questi ultimi possono «proporre domanda d’ingiunzione contro i propri clienti al giudice competente per valore del luogo ove ha sede il consiglio dell’ordine al cui albo sono iscritti o il consiglio notarile dal quale dipendono»), nonché a quella che, in caso di opposizione, è funzionalmente attribuita al medesimo giudice che ha emesso il decreto stesso, ex art. 645 del codice di rito.

Quid, dunque?

La Corte, ribadito «il carattere speciale del foro dell’art. 637 c.p.c., comma 3, che attribuisce all’avvocato la possibilità di sceglierlo in alternativa a quelli di cui agli artt. 18, 19 e 20 c.p.c.» e dato, altresì, per certo che l’art. 14 D.LGS. 150/2011 abbia abrogato il particolare procedimento di cui all’art. 28 L. 13/06/1942, n. 794 sopra ricordato, soggiunge, però, che né l’art. 14 citato, né alcun altra norma, hanno abrogato l’art. 637, comma 3° C.P.C.

Ne consegue, da un lato, la perdurante competenza territoriale «ad emettere il decreto ingiuntivo del giudice del luogo in cui ha sede l’Ordine professionale a cui e iscritto l’avvocato ricorrente» e, dall’altro, la correlativa competenza a decidere dell’opposizione al decreto ingiuntivo in questione attribuita al «giudice che lo ha emesso a cui già appartiene funzionalmente e inderogabilmente ai sensi dell’art. 645 c.p.c..

Documenti & materiali

Scarica la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 65/E del 16/07/2015
Scarica Cass. Civ., SS. UU., 25/06/2015, n. 13144
Scarica Cass.Civ.,Sez. VI, Ordinanza 23/03/2015, n.5810

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Author: Avv. Luca Lucenti

Avvocato, nato a Pesaro il 20 ottobre 1961. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1991. Abilitato al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Responsabile di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

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