Licenziamento disciplinare: contestazione tardiva…quali conseguenze? A margine di Cass. Civ., Sez. Unite, 27/12/2017, n. 30985


«La dichiarazione giudiziale di risoluzione del licenziamento disciplinare conseguente ad un ritardo notevole ed ingiustificato della contestazione disciplinare, ricadente ratione temporis nella disciplina dell’art. 18 st.lav., come modificato dall’art. 1, comma 42, della l. n. 92 del 2012, comporta l’applicazione della sanzione dell’indennità come prevista dal quinto comma dello stesso art. 18 st.lav.»

Il caso e la rimessione alle Sezioni Unite

Un lavoratore subiva una contestazione disciplinare dalla propria parte datoriale (un istituto bancario) a due anni di distanza dal fatto in contestazione e indi sulla base della stessa veniva licenziato per giusta causa consistita nel fatto de quo.

Impugnato il licenziamento con il nuovo rito Fornero, le richieste di declaratoria di illegittimità del licenziamento e la consequenziale reintegra nel posto di lavoro vennero accolte integralmente nella fase sommaria di tale procedimento dal giudice del lavoro adito, il quale, tuttavia, ebbe a riformarla in fase di opposizione, annullando sì il licenziamento, ma riconoscendo, quale rimedio risarcitorio in favore del dipendente, unicamente la tutela indennitaria cd. “debole” del novellato art. 18, comma 6, L. n. 300/1970 in luogo della reintegra.

Tale statuizione venne nuovamente riformata in sede di appello che ritenne nullo il licenziamento sulla base del fatto che la contestazione tardiva (o meglio «l’inerzia di durata ragguardevole rispetto all’accadimento»), doveva considerarsi valevole ad integrare rinunzia al diritto potestativo di recesso della parte datoriale.

Il ricorso per Cassazione incardinato dalla parte datoriale sulla base di tre motivi di censura è stato rimesso alle Sezioni Unite della Cassazione, avendo rilevato come questione di massima particolare importanza quella concernente

«l’individuazione della tutela applicabile in ipotesi di contestazione disciplinare avvenuta tardivamente per fatti ricadenti nella previsione dell’art. 18 della legge n. 300/70 nel testo vigente a seguito dell’introduzione dell’art. 1, comma 42, della legge n. 91/2012, stante la non univocità del quadro giurisprudenziale al riguardo».

La Sezione Lavoro ha, nello specifico, dato atto dell’esistenza di due opposti orientamenti:

  • l’uno, che nega carattere sostanziale al vizio della intempestiva contestazione disciplinare, con conseguente applicazione della tutela indennitaria;
  • e, l’altro, che reputa, invece, l’immediatezza della contestazione alla stregua di un elemento costitutivo del licenziamento, tale che la sua mancanza rende applicabile quale rimedio la reintegra sul posto di lavoro, oltre l’ulteriore profilo risarcitorio-indennitario previsto dal novellato art. 18 St. Lavoratori.

Il/i motivo/i di censura

I motivi di censura sollevati dal ricorrente principale sono quattro, ma solo il terzo di essi è quello che inerisce alla questione devoluta all’esame delle Sezioni Unite e col quale viene contestata la violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 6, della L. n. 300/1970, in relazione all’art. 12 disp. att. sulla legge in generale ed ai principi in materia di rapporti tra la disciplina di legge generale e quella della legge speciale, oltre che dell’art. 7 L. n. 300/1970, in relazione agli artt. 1175 e 1375 C.C., nonchè agli artt. 1324, 1325, 1418 C.C.

In particolare, il ricorrente lamenta la violazione delle citate norme in quanto, pur sussistendo l’infrazione disciplinare, sarebbe venuto meno il diritto di recesso datoriale in considerazione del trascorrere del tempo senza sollevare contestazioni (due anni), inerzia unita ad alcuni comportamenti concludenti del datore medesimo che aveva adibito il lavoratore a mansioni caratterizzanti da rapporti di fiducia, anche dopo la scoperta del fatto.

Il ricorrente contesta inoltre che il recesso datoriale possa considerarsi nullo non ricorrendo, in specie, alcuna delle ipotesi integranti un vizio di nullità, che come tale deve essere tipico alla luce degli artt. 1418 e 1325 C.C.: difetto strutturale della fattispecie, contrarietà a norma imperativa, esistenza di un interesse illecito, tutti elementi, a dire del ricorrente – non sussistenti nella fattispecie.

Il dictum delle Sezioni Unite…

Le Sezioni Unite della Cassazione  in accoglimento del terzo motivo di ricorso sopra richiamato, hanno specificato da subito che il caso che le ha occupate non trova collocazione in alcuna delle ipotesi tipiche elencate nel 1° comma del novellato art. 18 L. n. 300/1970 ai fini dell’applicabilità della tutela reale piena, rappresentando queste ultime delle specifiche ipotesi di nullità o inefficacia espressamente prefigurate dalla stessa norma (tipiche).

Secondo la Cassazione, cioè, non può sostenersi che il rilevante ritardo (di due anni) nella contestazione dell’addebito disciplinare rispetto ai fatti in precedenza accertati possa integrare una causa di nullità o inefficacia del licenziamento sanzionabile con l’ordine di reintegra e, ciò, oltre alla ragione appena ricordata, anche in considerazione del fatto che si è in presenza di una forma di inadempimento della parte datoriale ai generali principi di correttezza e buona fede, vizio che attienea alla fase attuativa/esecutiva della comunicazione del provvedimento espulsivo al lavoratore, senza che, invero, tale condotta concorra alla formazione della causa che ha dato origine al recesso datoriale.

In definitiva,  nel caso di specie, l’intempestività integra un vizio funzionale e non genetico. Tuttavia, il fatto oggetto di addebito disciplinare è pur sempre valutabile dal giudicante, il quale dovrà solo verificare se l’inadempienza al generale principio dell’immediatezza della contestazione finisca per inficiare la validità del licenziamento, per individuare poi il tipo di tutela applicabile alla fattispecie.

La Cassazione esclude che la tardività della contestazione dell’illecito disciplinare possa essere sanzionata attraverso il rimedio della tutela reale piena o depotenziata di cui all’art. 18 – nel testo vigente a seguito della riforma introdotta dalla L. n. 92 del 2012 – stante il fatto che insussistenza o la manifesta insussistenza che legittima l’accesso alla tutela reintegratoria attenuata non può non riguardare il difetto – nel medesimo fatto – di elementi essenziali della giusta causa o del giustificato motivo.

Resta, dunque, il problema di stabilire a quale forma di tutela indennitaria far ricorso, se cioè a quella forte, di cui al comma 5, o a quella debole, di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 6, la cui soluzione discende sostanzialmente dalla valenza che si intende attribuire al principio della tempestività della contestazione dell’illecito disciplinare, nel senso che

«se, per un verso, è certo che l’obbligo della contestazione tempestiva dell’addebito rientra nel procedimento disciplinare di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7 d’altro canto, è pur vero che ciò non implica automaticamente che la violazione del principio della tempestività della contestazione disciplinare, così come elaborato dalla giurisprudenza, debba essere sempre sanzionata attraverso il meccanismo della indennità attenuata, di cui al citato art. 18, comma 6 per il solo fatto che tale norma contempla, tra le ipotesi di applicazione di tale più lieve sanzione, quelle derivanti dalla violazione delle procedure di cui alla stessa L. n. 300 del 1970, art. 7 e della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 7 unitamente alla violazione del requisito della motivazione».

E, allora, il principio della tempestività della contestazione può desumersi implicitamente dal contesto della lettura della norma di cui alla L. n. 300 del 1970, 7 dal momento che questa non lo enunzia in maniera espressa, limitandosi solo a prevedere che

«Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa».

Dalla lettura della norma sembra discendere il dato che il principio della tempestività della contestazione è testo a soddisfare, non già il semplice rispetto delle regole procedurali, ancorchè essenziali, bensì la necessità di garantire al lavoratore una difesa effettiva finalizzata ad evitare il rischio di un arbitrario differimento dell’inizio del procedimento disciplinare.

«In definitiva, la violazione della procedura di cui all’art. 7 Statuto dei lavoratori, alla quale il novellato art. 18, comma 6 riconduce l’applicabilità della tutela indennitaria debole unitamente ai casi di violazione della procedura di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 7 e di inefficacia per violazione del requisito della motivazione di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 2, comma 2, è da intendere, ai fini sanzionatori che qui rilevano, come violazione delle regole che scandiscono le modalità di esecuzione dell’intero iter procedimentale nelle sue varie fasi, mentre la violazione del principio generale di carattere sostanziale della tempestività della contestazione quando assume il carattere di ritardo notevole e non giustificato è idoneo a determinare un affievolimento della garanzia per il dipendente incolpato di espletare in modo pieno una difesa effettiva nell’ambito del procedimento disciplinare, garanzia, quest’ultima, che non può certamente essere vanificata da un comportamento del datore di lavoro non improntato al rispetto dei canoni di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c.».

Di qui, il dictum degli ermellini nella sentenza in commento, secondo cui l’inerzia del datore di lavoro di fronte alla condotta astrattamente inadempiente del lavoratore può essere considerata quale dichiarazione implicita, per facta concludentia, dell’insussistenza in concreto di alcuna lesione del suo interesse. Tuttavia, sussistendo in concreto l’inadempimento posto a base del licenziamento, ma non essendo tale provvedimento preceduto da una tempestiva contestazione disciplinare a causa dell’accertata contrarietà del comportamento del datore di lavoro ai canoni di correttezza e buona fede sopra richiamati, la conclusione non può essere che l’applicazione dell’art. 18 Statuto dei lavoratori, comma 5.

Diversamente, ribadiscono le Sezioni Unite

«qualora le norme di contratto collettivo o la stessa legge dovessero prevedere dei termini per la contestazione dell’addebito disciplinare, la relativa violazione verrebbe attratta, in quanto caratterizzata da contrarietà a norma di natura procedimentale, nell’alveo di applicazione del citato art. 18, comma 6 che, nella sua nuova formulazione, è collegato alla violazione delle procedure di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7 e della L. n. 604 del 1966, art. 7».

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Author: Avv. Francesca Serretti Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 24 febbraio 1982. Iscritta all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 2010. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione lavoro di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

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