L’art 147 L. Fall. supera il vaglio della Consulta: falliscono in estensione anche i soci di fatto delle società di capitali C. Cost., 06/12/2017, n. 255

By | 11/12/2017

Con una recentissima pronuncia (C. Cost., 06/12/2017, n. 255), la Corte Costituzionale interviene sull’art 147, 5° co., L. Fall.1 dichiarandolo costituzionalmente legittimo nella sua interpretazione, costituente «diritto vivente», secondo la quale è consentita l’estensione del fallimento ai soci di fatto illimitatamente responsabili del  fallito emersi successivamente al fallimento anche allorquando il fallito stesso non sia un «imprenditore individuale», come testualmente previsto dalla disposizione in esame, ma un ente di natura collettiva.

Il caso e la rimessione alla Consulta

Al Tribunale di Vibo Valentia viene proposta istanza, da parte dalla curatela di una società di capitali dichiarata fallita, di estendere il fallimento di quest’ultima ex art. 147, 5° co. L. Fall. cit. ad altra distinta società di capitali, nonché ad un’ulteriore impresa individuale, cui la società fallita era risultata essere legata da un rapporto societario di fatto.

Il Tribunale, nel valutare il tema, dà preliminarmente atto del fatto che il tenore testuale dell’art. 147, 5° co. L Fall sopra citato – oggetto di contrastanti pronunce giurisprudenziali, ora favorevoli2 ora contrarie,3 all’estensione dell’art. 147, 5° co., L. Fall. cit. anche ai casi in cui il fallimento abbia originariamente riguardato non un «imprenditore individuale», ma una persona giuridica – pone obiettivi problemi di compatibilità con il principio di uguaglianza posto dall’art. 3 Cost.

Esclude, indi, che tale criticità possa esser superata ricorrendo ad un’interpretazione estensiva od analogica della norma in questione, stante il carattere di specialità di essa rispetto all’art 1 L. Fall., che non consente il ricorso a tale operazione interpretativa.

Esclude, poi, ulteriormente che possa costituire ostacolo allo scrutinio della legittimità costituzionale della questione il fatto che, nella specie, la partecipazione della società fallita alla società di fatto di cui sopra fosse avvenuta senza il rispetto delle formalità prescritte dall’art. 2361, 2° co., C.C.4 per la partecipazione di società di capitali ad imprese che ne comportino la responsabilità illimitata: secondo il giudice a quo, infatti, tale violazione appare rilevante esclusivamente sotto il profilo delle responsabilità degli amministratori, ma è per converso del tutto ininfluente ai fini della distinta problematica dell’effettività della partecipazione, da parte della società fallita, alla società di fatto di specie.

Su tali premesse, dunque, la questione viene rimessa alla Consulta (ordinanza 31/03/2015 in G.U. 1^a Serie Speciale – Corte Costituzionale n.15 del 12-4-2017), apparendo al rimettente

«irragionevole discriminare l’ipotesi in cui l’imprenditore individuale dichiarato fallito risulti socio di una società occulta, con la possibilità di dichiarare il fallimento di essa (anche quando si tratti di una società di capitali, posto che il legislatore alcuna distinzione opera sul punto), dall’ipotesi in cui sia dichiarato prima il fallimento di una società (di capitali), rispetto alla quale emerga, in un secondo momento, che essa era parte di una società occulta, unitamente ad imprenditore individuale e/o collettivo, a sua volta, quest’ultimo, di natura personale ovvero di società di capitali».

La decisione della Consulta

La decisione della Consulta in commento supera il dubbio di costituzionalità sollevato dal giudice remittente sulla base dell’interpretazione giurisprudenziale del quinto comma dell’art. 147 L. Fall. qui in esame, consolidatasi, come la Corte regolatrice rileva, «in termini di diritto vivente per effetto di alcuni successivi e risolutivi interventi del giudice della nomofilachia».

Secondo tale «diritto vivente», infatti, la limitazione dell’area di applicabilità della norma in questione alla sola ipotesi testualmente prevista dell’imprenditore ha

«valenza meramente indicativa dello “stato dell’arte” dell’epoca in cui la norma è stata concepita, che non può essere di ostacolo ad una sua interpretazione estensiva che, tenuto conto del mutato contesto nel quale essa deve attualmente trovare applicazione, ne adegui la portata in senso evolutivo, includendovi fattispecie non ancora prospettabili alla data della sua emanazione»,5

dovendosi d’altro canto escludere

«che la società di capitali, la quale abbia svolto attività di impresa operando in società di fatto con altri, possa in seguito sottrarsi alle eventuali conseguenze negative derivanti dal suo agire (ivi compreso il fallimento per ripercussione nel caso in cui sia accertata l’insolvenza della società di fatto)».6

Dunque, alla luce di dei rilievi di cui sopra la questione di incostituzionalità dell’art. 147, 5° co., L. Fall. in esame viene dichiarata infondata in quanto

«la disposizione denunciata già, dunque, vive e si riflette nell’interpretazione, costituzionalmente adeguata, che equipara la società di capitali all’impresa individuale ai fini della estendibilità del fallimento agli eventuali rispettivi soci di fatto».

Documenti & materiali

Leggi l’ordinanza di rimessione Trib. Vibo Valentia 31/03/2015
Scarica C. Cost., 06/12/2017, n. 255

Note al testo

1. Il cui testo va letto in rapporto con il precedente comma 4 della medesima disposizione. «Art. 147. Società con soci a responsabilità illimitata). (…) [4] Se dopo la dichiarazione di fallimento della società risulta l’esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, il tribunale, su istanza del curatore, di un creditore, di un socio fallito, dichiara il fallimento dei medesimi. [5] Allo stesso modo si procede, qualora dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l’impresa è riferibile ad una società di cui il fallito è socio illimitatamente responsabile».

2. V., ad es., C. App. Napoli 05/06/2009, secondo cui «concludendo sul punto, deve affermarsi che, non essendo consentita neppure dal nuovo ordinamento societario la partecipazione di una società di capitali ad una società di fatto, a causa del difetto dell’autorizzazione dell’assemblea richiesta come condizione di efficacia degli atti di acquisto della partecipazione posti in essere dagli amministratori, la sentenza di primo grado deve esser riformata nella parte in cui ha ritenuto estesa anche a omissis S.r.l. la società di fatto, che ha accertato sussistere tra la omissis ed il omissis imponendosi la revoca del fallimento per estensione pronunziato, ai sensi dell’art. 147 l.f. nei confronti della ridetta S.r.l.»; Trib. Torino 04/04/2007, secondo cui «la partecipazione di fatto ad una società personale da parte di una società di capitali (e, dunque, l’assunzione di responsabilità illimitata) a prescindere sia dalla delibera – o decisione – di autorizzazione, sia dalla “specifica informazione” (così letteralmente l’art. 2361 2* comma cod. civ.) relativa a tale partecipazione contenuta nella nota integrativa a bilancio, deve dirsi tutt’ora preclusa in quanto si risolve non solo in una violazione dei diritti dei soci, ma anche dei diritti dei creditori alla tutela dei quali è preposta, anche, l’intera normazione relativa alla veridicità e correttezza dei dati di bilancio, intesi in uno con la nota integrativa, quali fondamentali strumenti di controllo della sussistenza o meno della garanzia patrimoniale offerta dalla società debitrice».

3. V., ad es., Trib. Nola, 29/05/2013, secondo cui l’art. 147 comma 5 L.F. va interpretato «in modo estensivo ovvero analogico, come disciplina riferentesi a tutti i casi in cui, dichiarato il fallimento, anche di un’impresa sociale, emerga che essa fosse socia di fatto di una società di persone irregolare, composta da altre società di capitali, ovvero da imprenditori individuali; C. App Torino 30/07/2007, secondo cui «la fattispecie prevista dal quinto comma dell’art. 147 L. F. deve intendersi comprensiva di tutte le ipotesi in cui, dopo il fallimento di un imprenditore (sia esso persona fisica o società), risulta che l’attività dallo stesso esercitata era in realtà riferibile ad una società partecipata anche da altre parti; in ogni caso, la disposizione citata deve reputarsi analogicamente applicabile, ricorrendo l’identica ratio, anche all’ipotesi in esame Ed infatti dalla risposta negativa scaturirebbe una ingiustificata disparità di trattamento, essendo del tutto irragionevole che la stessa società di fatto risultata esistente tra i medesimi soci (persone fisiche e società), possa essere dichiarata fallita in estensione in base all’art. 147 quinto comma L.F. solo se l’accertamento della sua esistenza deriva dal fallimento di una persona fisica socia e non qualora consegua al fallimento di una società socia».

4. Che recita «Art. 2361 – Partecipazioni «(…) [2] L’assunzione di partecipazioni in altre imprese comportante una responsabilità illimitata per le obbligazioni delle medesime deve essere deliberata dall’assemblea; di tali partecipazioni gli amministratori danno specifica informazione nella nota integrativa del bilancio». In merito, v. Cass. Civ., Sez. I, 21/01/2016, n. 1095, secondo la quale «la partecipazione di una società a responsabilità limitata in una società di persone, anche di fatto, non esige il rispetto dell’art. 2361, comma 2, c.c., dettato per le società per azioni, e costituisce un atto gestorio proprio dell’organo amministrativo, il quale non richiede – almeno allorché l’assunzione della partecipazione non comporti un significativo mutamento dell’oggetto sociale (fattispecie estranea al caso di specie) – la previa decisione autorizzativa dei soci, ai sensi dell’art. 2479, comma 2, n. 5, c.c. Pertanto, accertata l’esistenza di una società di fatto insolvente della quale uno o più soci illimitatamente responsabili siano costituiti da società a responsabilità limitata, il fallimento in estensione di queste ultime costituisce una conseguenza “ex lege” prevista dall’art. 147, comma 1, l. fall., senza necessità dell’accertamento della loro specifica insolvenza».

5. Così Cass. Civ., Sez. I, 20/05/2016, n. 10507, secondo cui «il riferimento all’imprenditore individuale contenuto nell’art. 147, comma 5, legge fallim. ha valenza meramente indicativa dello “stato dell’arte” dell’epoca in cui la norma, pur eccezionale, è stata concepita, che non può essere di ostacolo ad una sua interpretazione estensiva, tenuto conto del mutato contesto nel quale essa deve attualmente trovare applicazione, ne adegui la portata in senso evolutivo, includendovi fattispecie non ancora prospettabili alla data della sua emanazione. Un’interpretazione che conducesse all’affermazione dell’applicabilità della norma al solo caso (di fallimento dell’imprenditore individuale) in essa espressamente considerato, risulterebbe in contrasto col principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost.».

6. Così Cass. Civ., Sez. I, 20/05/2016, n. 10507, citata alla nota 5.

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