La degiurisdizionalizzazione: verso un nuovo ruolo per l’avvocato Qualche riflessione sulle nuove riforme di iniziativa governativa

By | 02/09/2014

Il recente progetto governativo di riforma della giustizia civile che si è delineato durante il Consiglio dei Ministri dello scorso 29/08/2014  – e di cui vi abbiamo parlato nel nostro post di quello stesso giorno –  si impernia sul concetto, rimbalzato da diversi media, di degiurisdizionalizzazione.

Una “nuova” parola d’ordine

A dispetto delle apparenze, il concetto in questione non è certo nuovo e, in sintesi, consiste nell’assegnare il compito di prevenire/risolvere controversie di natura civilistica a strutture esterne al tradizionale sistema di amministrazione della giustizia, rivelatosi incapace di farvi adeguatamente fronte.

Si tratta cioè, in altre parole, di affidare a soggetti non appartenenti all’ordine giudiziario compiti finalizzati, ad es.:

  • a prevenire le controversie (ad es: mediaconciliazione);
  • a risolverle (ad es. arbitrati, negoziazione assistita);
  • a porre in essere, in autonomia, schemi proceduralizzati aventi gli stessi effetti di quelli che si svolgono in sede istituzionale (ad es., separazioni o divorzi affidati all’iniziativa delle parti e dei loro legali, oppure svolti direttamente dinanzi all’ufficiale di stato civile);
  • ad interagire, comunque, in senso lato, con la tradizionale macchina giudiziaria, ma in modo autonomo rispetto a quest’ultima (ad es., deleghe alle parti a svolgere attività istruttoria; affidamento diretto alla parte creditrice della ricerca dei beni pignorabili mediante accesso a banche date pubbliche etc.).

I precedenti dell’avvocato “degiurisdizionalizzato”

Il tutto costituisce una nuova tappa della rivoluzione del ruolo dell’avvocato civilista verificatasi  nel corso degli ultimi decenni attraverso alcuni sviluppi che, sebbene presentino contorni distinti, si sono tra loro variamente sovrapposti nel tempo e che possono sintetizzarsi come segue.

In principio era l’avvocato litigator

In principio era il litigator, che, investito ex post dal proprio patrocinato di un problema già insorto e conclamato, si occupava di  difenderne in giudizio le sorti.

Nella qual cosa, ovviamente, non vi è nulla di strano, se non fosse che – nel tempo – la scarsa, per non dire inesistente, modernizzazione del sistema, la corrispondente mentalità ottocentesca degli operatori, insieme alla strenua difesa di rendite di pura posizione, finirono con lo snaturare il ruolo in questione.

Il litigator, così, si trovò a dover svolgere la propria attività invischiato in una ragnatela di milioni di interminabili,  e spesso del tutto inutili, processi, a loro volta inquadrati all’interno di un’organizzazione giurisdizionale finalizzata più alla propria stessa legittimazione, che al conseguimento dell’obiettivo assegnatogli: rendere giustizia ai cittadini in tempi accettabili.

Un’organizzazione, cioè, inevitabilmente destinata, nel tempo, ad alimentare nei suoi potenziali utenti un solo desiderio: evitare di farvi ricorso.

Poi venne l’avvocato consultant

In quest’ottica, l’avvocato si trovò a dover assumere compiti nuovi, da svolgere ex ante e non più ex post: studiare, ad es., contratti “blindati” per scoraggiare future azioni giudiziarie; articolare forme di garanzia dell’adempimento tali da indurre le parti a svolgere regolarmente le proprie relazioni contrattuali evitando il ricorso al giudice; apprestare rimedi alternativi alla giurisdizione tradizionale per velocizzare la risoluzione di possibili controversie; e via dicendo.

Un avvocato, dunque, consultant, diverso da quello tradizionale, anche se, spesso indissolubilmente legato all’esperienza maturata in tale ruolo. Un professionista che lavora insieme al cliente, studiando la vita in progress, piuttosto che riceverne il racconto per poi ricostruirne in vitro lo svolgimento all’interno del processo.

Poi venne l’avvocato “supplente”

Ma ancora non bastava, posto che, nonostante gli sforzi, l’apparato giurisdizionale continuava a traballare vistosamente, finendo con il richiedere agli avvocati un contributo diretto e fattivo al proprio sostentamento.

Nasce, in questo modo, l’avvocato “supplente“, incaricato cioè, di supplire con la propria attività alle carenze del sistema giudiziario. Sia dall’esterno di esso (mediante l’utilizzo di forme di giustizia privata come l’arbitrato), sia, soprattutto, dall’interno dello stesso, con il ricorso, via via sempre più massiccio ed organico, alla magistratura onoraria (dal vicepretore, al GOT, alle varie tipologie di GOA) e/o para-professionale (giudici di pace).

Un ruolo evidentemente  diverso da quelli appena visti e destinato ad esprimersi in forme in qualche modo contrastanti con la stessa originaria natura dell’avvocato: soggetto tipicamente schierato, nella logica processuale tradizionale, al fianco di una delle parti, e non, invece, seduto sul gradino della terzietà propria del giudice, o meglio, che dovrebbe essere propria del giudice (e qui mi fermo).

Poi venne l’avvocato mediaconciliatore

Neppure la (molto discussa) funzione di “stampella” esercitata dagli avvocati, tuttavia, sarebbe  stata sufficiente a tamponare le falle della giurisdizione civile. L’esigenza prioritaria, dunque, sarebbe presto divenuta quella di rinvenire modalità idonee a prevenire, se non quale extrema ratio, il ricorso ad essa .

Compare e si consolida la cultura dell’ADR, metodo di risoluzione delle controversie che, in massima sintesi, è del tutto diverso sia dalla logica decisionale propria del giudizio, sia da quella della transazione, fondata  sul tradizionale “Fifty-Fifty”.

Corrispondentemente, ecco apparire un’ulteriore figura, quella dell’avvocato mediaconciliatore: soggetto che non difende, non offre consulenza preventiva, non decide, ma che invece accompagna le parti di un conflitto, lungo un percorso che le conduca possibilmente a risolverlo in modo non traumatico, veloce e, soprattutto, con risultati soddisfacenti per ciascuna di esse.

Poi venne l’avvocato telematico

Infine, essendosi rivelati più o meno insufficienti tutti i rimedi apprestati, in tempi recenti la giustizia civile è stata costretta anche ad abbandonare “carta, penna e calamaio” e ad adottare almeno i mezzi, se non la mentalità (per quella ci vorranno altri cento anni), dell’operare contemporaneo.

La contropartita, sul terreno che qui interessa, è la nascita di un nuovo tipo di avvocato: l’avvocato telematico.

L’avvocato telematico è un avvocato che sa, oltre che di diritto, anche di tecnologia. E così, a puro titolo di esempio, lavora sul web, cui accede grazie un idoneo provider ed utilizzando il proprio browser. Interagisce con i social. Fa uso abituale dei più comuni software operativi. Nel nuovo contesto processuale telematico, trasforma agevolmente i propri atti giudiziari in files PDF, avendo ben presente la differenza tra un formato “PDF immagine” e un formato “PDF testo” e curando, altresì, che essi non presentino elementi attivi. Li firma digitalmente, previo inserimento di una smart-card nella porta USB della propria postazione, trasformandoli in strutture PAdES-BES o CAdES-BES, accettate dal sistema. Li deposita, poi, tramite il POA prescelto e, nel dubbio, consulta il PST per verificare l’esistenza del necessario provvedimento DGSIA, etc. etc. etc.

Per rendere breve un discorso che, altrimenti, si farebbe davvero troppo lungo, le poche righe di cui sopra sembrano sufficienti a lasciare intravvedere come l’avvocato telematico non rappresenti solo un modo diverso di esercitare le consuete attività forensi, ma sia, invece, una struttura mentale e professionale del tutto nuova. Una struttura che si sovrappone ai diversi ruoli che si sono visti, che richiede competenze specifiche ed adeguati investimenti  e che, cosa da non sottovalutare, parla una sua lingua: una nuova forma di “legalese” con cui occorre giocoforza confrontarsi.

L’avvocato degiurisdizionalizzato

Passo dopo passo, infine, si arriva all’ultima tappa di questa rapida ricostruzione della pluralità dei ruoli propri dell’avvocato nel nostro malandato sistema giudiziario civile: quella che vede la nascita dell’avvocato degiurisdizionalizzato, per il momento solo annunciata, ma di imminente realizzazione, visto che si attende la rapida emanazione di  un apposito D.L. di iniziativa governativa.

Che cos’è l’avvocato degiurisdizionalizzato? E’ un avvocato (inevitabilmente telematico) che fa qualcosa di più e di diverso rispetto a quello che si è già detto sopra. Esercita, cioè, un’attività extra-giudiziale propria ed autonoma, i cui effetti, tuttavia sono gli stessi dell’analoga attività giudiziale.

Così, lo schema di D.L. reso disponibile sul web ci dice, ad es., che l’accordo concluso all’esito della «procedura di negoziazione assistita da un avvocato»  costituisce «titolo esecutivo e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale».

O che tale genere di accordo, laddove raggiunto in alcune ipotesi di separazione/divorzio consensuali (e relative modifiche), produce gli effetti e tiene luogo «dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio».

O che (finalmente) «la parte può produrre, sui fatti rilevanti ai fini del giudizio, dichiarazioni di terzi, capaci di testimoniare, rilasciate al difensore, che, previa identificazione a norma dell’articolo 252, ne attesta l’autenticità».

Si tratta di un percorso nuovo, che si pone sull’unica strada possibile per creare un sistema virtuoso di giustizia civile: valorizzare al massimo il ruolo operativo delle parti (adeguatamente responsabilizzate: chi sbaglia, qui, deve pagare davvero), limitando nel contempo l’opera del giudice e degli altri apparati istituzionali allo svolgimento delle attività davvero indispensabili: uso della forza, per gli apparati esecutivi; assunzione delle decisioni essenziali (intraprocessuali e finali) per il giudice.

A memoria, è la prima volta che il sistema si indirizza verso questo tipo di soluzione, finalmente “fidandosi” dei suoi operatori privati (cioè degli avvocati).

Si dirà che sono timidi tentativi, ed è vero. Si dirà che la bozza di D.L. contiene anche aspetti discutibili, ed è altrettanto vero. Ma la strada verso la degiurisdizionalizzazione (e correlativa responsabilizzazione/valorizzaziomne della classe forense) è quella giusta e va perseguita, migliorata ed ampliata.

 

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Author: Avv. Luca Lucenti

Avvocato, nato a Pesaro il 20 ottobre 1961. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1991. Abilitato al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Responsabile di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

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