Il diritto all’indennizzo per irragionevole durata del processo


E’ ormai abbastanza noto che esiste una legge, la c.d. Legge Pinto, che consente di ottenere un indennizzo quando il processo, sia civile che penale, ha avuto una durata ‘irragionevole’.

La L. 24/03/2001 n. 89

La legge in questione che riconosce il diritto ad un indennizzo nel caso di durata irragionevole del processo è la L. 24/03/2001 n. 89, conosciuta anche come ‘legge Pinto‘.

La Legge in esame prende le mosse dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della L. 4/8/1955 n. 848; poi, trova il proprio presupposto costituzionale nell’art. 111 Cost., come noto, frutto di riformulazione per opera della Legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 .

In definitiva, a livello nazionale, l’art. 111 Cost., costituisce un preciso parametro ai fini della conformità a Costituzione di tutte quelle norme che, direttamente o indirettamente, determinano una ingiustificata durata del processo, ivi compresa quella in esame.

Quando la durata del processo può considerarsi irragionevole?

A chi non è capitato di avere un credito da recuperare, oppure un risarcimento del danno da sinistro stradale, oppure ancora, una causa di separazione o di divorzio giudiziale (cioè non consensuale), e di dover aspettare anni e anni prima di vedere pronunciata la sua sentenza (buona o cattiva che sia)?

Per non parlare poi del processo penale: a chi non è capitato di essersi messo alla guida senza essersi reso conto di avere superato il limite massimo consentito dell’assunzione di alcolici, oppure, senza motivo alcuno, di essere ingiustamente coinvolto in procedimento penale, ed anche in questi casi, di dover attendere anni prima di vedere riconosciuta la propria estraneità, o la propria innocenza, o l’applicazione della giusta pena.

Insomma i motivi di contenzioso civile e penale, sono tanti, si differenziano per materia, per giudice competente, per rito, ma tutti sono accomunati da una stessa caratteristica: la durata del procedimento che, salvo rare eccezione, è lunga, a volte lunghissima.

Ebbene con la Legge Pinto lo Stato ‘risarcisce’ il danno che il suo stesso Sistema Giustizia ha procurato al cittadino.

Naturalmente, però, per quanto lunga possa sembrare o possa essere percepita, ai sensi e per gli effetti della L. 89/2001, non ogni lungaggine, non ogni durata, dà diritto all’indennizzo.

Infatti, ai sensi dell’art. 2 L. 89/2001 “si considera rispettato il termine ragionevole di cui al comma 1 se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado, di un anno nel giudizio di legittimita‘ . Ma viene anche precisato che si considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni”.

Dunque, in altre parole, per fare un esempio, se il giudizio di primo grado ha avuto una durata di cinque anni, pur superando la durata convenzionale del processo di cui sopra, non darà diritto all’indennizzo, qualora nel successivo sesto anno siano stati celebrati il giudizio di secondo grado e quello di legittimità. Dunque, il tutto, entro i sei anni.

Qual’è l’indennizzo previsto?

Nell’ipotesi in cui effettivamente si sia verificata una durata irragionevole del processo (dunque, non solo soggettiva, ma anche oggettivamente corrispondente ai canoni della Legge Pinto), i danni conseguenti, sia di natura patrimoniale che non patrimoniale, potranno essere indennizzati.

Si fa notare che la legge parla di indennizzo e non di risarcimento del danno, il che, come noto agli operatori del diritto, (oltre che una diversa natura e regolamentazione del diritto sottostante), normalmente significa una somma inferiore, a volte simbolica, rispetto a quella che si otterrebbe in sede risarcitoria.

Precisamente, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2 bis L. 89/2001 l’indennizzo previsto e quantificato dal giudice a titolo di equa riparazione è una somma di denaro, ‘non inferiore a 500 euro e non superiore a 1.500 euro, per ciascun anno, o frazione di anno superiore a sei mesi, che eccede il termine ragionevole di durata del processo”, oltre, naturalmente le spese legali del procedimento.

Ed il giudice nel quantificare l’indennizzo dovrà tenere conto del comportamento processuale delle parti, oltre che di quello del giudice, della natura degli interessi coinvolti, della rilevanza e del valore della causa.

Il termine di decadenza entro cui chiedere l’indennizzo

L’azione per ottenere l’equa riparazione per irragionevole durata del processo ex L. 89/2001 è quella di “sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva” (art. 4).

Si tratta di un termine particolarmente importante, poichè è di natura decadenziale, in quanto, non rispettato, comporta l’improponibilità/inammissibilità dell’azione.

Incidenti di percorso della normativa….

La legge in questione, in questo primo decennio di vigenza, ha subito numerose modifiche; l’ultima di esse è stata per effetto del D.L. 22/06/2012 n. 83 convertito con modificazione nella L. 7/8/2012 n. 134, il quale, tra l’altro, ha anche modificato l’inter del conseguente procedimento: prima della modifica era un vero e proprio procedimento, anche se con rito camerale, ora, invece è strutturato in due fasi, la prima necessaria, la seconda solo eventuale, in modo analogo al procedimento di ingiunzione.

Prima di quest’ultima modifica, applicabile solo ai procedimenti instaurati successivamente ad essa, si era aperto un interessante dibattito in sede giurisprudenziale in relazione alla sorte che doveva subire il ricorso nell’ipotesi di mancata notificazione alla controparte, di esso ricorso unitamente al decreto di fissazione dell’udienza.

Si erano creati più orientamenti contrastanti da parte delle stesse Sezioni della Corte di Cassazione (oltre che da parte di giudici di merito): alcuni di essi ritenevano che il ricorso dovesse considerarsi improcedibile, secondo altri inammissibile, ed altri ancora, il procedimento dovesse concludersi con un non luogo a provvedere.

Questi contrasti, sono stati di recente risolti dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza S.U. 02/05/2014 n. 9558.

Secondo questa importante pronuncia (anche se, si ripete, applicabile ai soli ricorsi proposti prima della modifica apportata con D.L. 22/06/2012 n. 83 convertito con modificazione nella L. 7/8/2012 n. 134) si deve ritenere che nessuna di queste ‘sanzioni’ si produce sul ricorso nel caso di omessa notifica entro il termine previsto, ma, che invece, su richiesta del ricorrente, possa essere concesso un nuovo termine per procedere alla notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza.

Documenti & materiali 

Scarica il testo della L. 24/03/2001 n. 89
Scarica il testo del Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della L. 4/8/1955 n. 848
Scarica il testo del  Legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2
Scarica il testo del D.L. 22/06/2012 n. 83
Scarica il testo della L. 7/8/2012 n. 134
Scarica la sentenza Cass. Civ. S.U. 02/05/2014 n. 9558

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Author: Avv. Daniela Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 20 agosto 1963. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1992. Abilitata al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione famiglia di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833.

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