Codice disciplinare lavoratori: garanzia di pubblicità non applicabile a licenziamenti per violazione dei doveri fondamentali Nota a Cass. Civ. Lav., 09/04/2018, n. 8703


«La garanzia di pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non è applicabile laddove il licenziamento faccia riferimento a situazioni concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro (confermato, nella specie, il licenziamento della store manager di un negozio di abbigliamento a cui erano stati contestati plurime operazioni scorrette, cioè effettuate grazie all’uso illegittimo delle “carte sconto” riservate ai dipendenti)».

E’ la Cassazione civile, sez. lav., 09/04/2018, n. 8703 a dirci che qualora la condotta del lavoratore, ancorché non espressamente prevista e sanzionata dal codice disciplinare da affiggere in luogo accessibile a tutti sul luogo di lavoro, si connoti per la particolare gravità in violazione dei doveri generali connessi allo svolgimento del rapporto di lavoro, è sanzionabile con il licenziamento disciplinare, senza che la mancata garanzia di pubblicità del codice disciplinare rilevi in alcun modo.

La vicenda

Una dipendente (store manager) di una nota azienda di abbigliamento veniva licenziata per essersi resa autrice dell’utilizzo per l’acquisto di abiti, per una serie ripetuta di volte (oltre 70), delle carte sconto nominative di alcuni colleghi, non presenti al momento dei fatti e ignari della circostanza.

Nel primo e nel secondo grado di giudizio, il licenziamento veniva ritenuto legittimo risultando proporzionato alla constatata lesione del rapporto fiduciario anche in considerazione della gravità delle condotte e della loro reiterazione nel tempo.

Specificamente, la corte territoriale aveva disatteso il motivo di censura attinente alla circostanza che

«l’unica sanzione prevista per utilizzo scorretto della carta fosse costituita dal ritiro della stessa e che, conseguentemente, la fattispecie dovesse farsi rientrare tra quelle richiedenti l’esposizione del codice disciplinare, osservando che la contestazione non riguardava l’uso della carta sconto, ma l’avere la dipendente permesso, nel negozio di cui era gerente, l’utilizzazione della carta sconto di altri dipendenti senza la loro presenza fisica e senza il loro consenso, così da autorizzare vendite plurime scontate anche più del 50% in contrasto con il regolamento aziendale che imponeva l’uso strettamente personale della carta con divieto anche di delega».

Il ricorso per Cassazione

Il ricorso per Cassazione presentato dalla lavoratrice si fonda su unico motivo: in relazione alla violazione dell’art. 7 L. 20/05/1970, n. 300, nonché degli artt. 2106 e 2119 C.C., la lavoratrice deduce che, pur essendo pacifica l’esistenza di un regolamento aziendale disciplinante l’uso delle carte sconto fornite a tutti i dipendenti, tuttavia esso non contemplava alcuna sanzione disciplinare per le ipotesi di uso della carta sconto non conforme alle disposizioni aziendali, se non il mero ritiro della stessa.

Conseguentemente- sostiene la ricorrente – ove il datore di lavoro avesse considerato l’uso della carta sconto come condotta disciplinarmente rilevante, avrebbe dovuto espressamente prevederlo nel regolamento da affiggere sul luogo di lavoro, non potendo altrimenti ritenersi che la condotta costituisse violazione del minimum etico o comportasse lesione del vincolo fiduciario idoneo a integrare giusta causa di licenziamento.

Tale motivo viene, tuttavia, disatteso dalla Cassazione nella sentenza in commento, che, in proposito, osserva che il ragionamento della Corte territoriale si fondava sul rilievo che la condotta attribuita alla ricorrente, riguardando l’uso non della propria, ma delle altrui carte sconto in funzione della giustificazione di plurime vendite di merce di consistente valore, con modalità fraudolente e in mancanza della presenza e del consenso dei titolari delle medesime, esula dall’ambito dell’ipotesi di irregolare utilizzo della carta e trasmoda in una grave violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro.

Tenuto conto di ciò – proseguono gli ermellini

«non assume rilievo la mancanza di espressa previsione sanzionatoria nel regolamento aziendale affisso nel luogo di lavoro, trattandosi di una condotta diversa e connotata di ben maggiore gravità rispetto al semplice uso scorretto della carta sconto aziendale».

La Corte ha poi ricordato alcuni propri precedenti di legittimità che si erano espressi nel senso di ritenere la garanzia di pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non applicabile laddove il licenziamento faccia  riferimento a situazioni concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro (v., ad es., Cass.  n. 20270/2009).

Avendo la Corte territoriale fondato il suo giudizio sulla valutazione della gravità (oggettiva e soggettiva) dei fatti addebitati alla lavoratrice (anche in ragione delle circostanze nell’ambito delle quali sono stati commessi, alla reiterazione dei medesimi e all’incidenza sul venir meno dell’elemento fiduciario) – secondo la Cassazione – le critiche svolte con i motivi di ricorso risultano attenere non già alla verifica in ordine ai criteri ermeneutici di applicazione della clausola generale di cui all’art. 1455 C.C., ma, piuttosto, all’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi ritenuti dai giudici del merito idonei a integrare il giustificato motivo di licenziamento.

Tale accertamento ponendosi sul diverso piano del giudizio di fatto non può essere oggetto di indagine da parte del giudice di legittimità, ma, come noto, può essere demandato unicamente al giudice del merito.

Documenti&Materiali

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Author: Avv. Francesca Serretti Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 24 febbraio 1982. Iscritta all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 2010. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione lavoro di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

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