Buca nel manto stradale: va provato il nesso di causalità con la caduta Nota a Cass. Civ, sez. VI, 29/03/2018, n. 7887


«In tema di danno da cose in custodia, l’accertata mancanza della prova positiva dell’esistenza del nesso di causalità tra la caduta e la buca esclude la responsabilità del custode (nella specie, si trattava di una buca poco profonda, di modeste dimensioni, tale da poter essere evitata prestando una semplice attenzione nel camminare

La massima sopra citata appartiene ad una recente sentenza (Cass. Civ, sez. VI, 29/03/2018, n. 7887) con cui la Corte di Cassazione si pronuncia circa un’originaria domanda risarcitoria di danni patiti da una signora in conseguenza di una caduta, asseritamente dovuta alla presenza di una buca esistente sul manto stradale, durante la partecipazione ad una festa paesana.

In primo grado la domanda accoglieva e condannava il Comune al risarcimento dei danni come liquidati.

In esito al giudizio di appello proposto dal Comune, la Corte territoriale rigettava la domanda, condannando per di più, la signora alla refusione di entrambi i gradi di giudizio.

Contro tale sentenza ricorrevano gli eredi della compianta danneggiata invocando, con un primo motivo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 346 e 112 C.P.C., nonchè degli artt. 2043 e 2051 C.C. e, con un secondo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 C.C.

A dire dei ricorrenti, la Corte di merito avrebbe errato nel ritenere preclusa la possibilità di inquadrare i fatti nell’ipotesi normativa dell’art. 2051 c.c., sicchè non si sarebbe formato, infatti, alcun giudicato, tanto più che l’originaria attrice non aveva qualificato la propria domanda come risarcitoria, con la conseguenza che l’appello doveva esssere rigettato, poichè l’art. 2051 C.C. pone a carico del custode l’obbligo di provare l’esistenza del fortuito.

La Cassazione rigetta il ricorso ritenendolo infondato sotto entrambi i profili.

Affermano gli ermellini, infatti, che la sentenza impugnata, ha premesso che la domanda era stata inquadrata dal giudice di primo grado come azione risarcitoria di cui all’art. 2043 CC e, poi, con un accertamento in fatto ha affermato che non era stata raggiunta la prova nè del fatto che la buca fosse realmente un’insidia nè della sussistenza del nesso di causalità tra la buca e l’evento lesivo. Ed ha aggiunto che si trattava di una buca poco profonda, di modeste dimensioni, tale da poter essere evitata prestando una semplice attenzione nel camminare.

Ad avviso della Cassazione, dunque, tale ricostruzione in fatto sarebbe sufficiente a condurre al rigetto del ricorso e rende irrilevante stabilire se la domanda sia stata posta effettivamente ai sensi dell’art. 2043 CC. ovvero dell’art. 2051 C.C.

Ed infatti, ferma restando la diversità tra le due norme soprattutto in ordine al riparto dell’onere della prova ed al tipo di prova liberatoria che il custode è chiamato a fornire

«l’accertata mancanza della prova positiva dell’esistenza del nesso di causalità tra la caduta e la buca condurrebbe al rigetto del ricorso anche nell’ipotesi in cui l’art. 2051 c.c. fosse stato invocato a sostegno della domanda fin dal giudizio di primo grado, posto che, anche facendo applicazione di tale norma, l’onere della prova dell’esistenza di tale nesso è a carico del danneggiato (ordinanza 11 maggio 2017, n. 11526)».

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Author: Avv. Francesca Serretti Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 24 febbraio 1982. Iscritta all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 2010. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione lavoro di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

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