Disconoscimento della paternità: novità dalla Cassazione In nota alla sentenza Cass. Civ., Sez. I, 30/06/2016, n. 13436


Con la sentenza Cass. Civ., Sez. I, 30/06/2016, n. 13436 la Suprema Corte ha effettuato un parziale mutamento di orientamento in punto di disconoscimento di paternità, ritenendo che ai fini della mancata decorrenza del termine annuale di decadenza dall’esercizio dell’azione di disconoscimento di paternità, il ricorrente può avvalersi anche della mancata contestazione del momento della conoscenza dell’adulterio, ferma restando la possibilità, per il giudice di merito, di rilevare d’ufficio l’eventuale decadenza.

Si tratta, in verità, di una pronuncia che non sembra particolarmente chiara, per cui ci si astiene da considerazioni e da commenti e ci si limita a riportare i passi salienti della stessa che, comunque, per l’importanza del suo contenuto merita di essere segnalata.

Nella citata sentenza Cass. Civ., Sez. I, 30/06/2016, n. 13436, la Corte ricorda che con la propria precedente pronuncia (Cass. 26 giugno 2014, n. 14556) ha sancito il principio per cui si applica anche ai giudizi pendenti al momento dell’entrata in vigore della riforma (D.LGS 154/2013) la regola posta dall’art. 244 C.C., comma 2, novellato, secondo cui il marito può disconoscere il figlio nel termine di un anno (che decorre, nel caso in cui egli provi di aver ignorato l’adulterio della moglie al momento del concepimento, dal giorno in cui ne ha avuto conoscenza).

Inoltre, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, la scoperta dell’adulterio commesso all’epoca del concepimento, deve essere intesa come acquisizione certa della conoscenza (e non come mero sospetto) di un fatto (non riducibile, perciò, a mera infatuazione, o a mera relazione sentimentale, o a mera frequentazione della moglie con un altro) rappresentato o da una e propria vera relazione, o da un incontro idoneo a determinare il concepimento del figlio: il termine di decadenza per l’esercizio dell’azione è correlato alla scoperta in maniera certa dell’adulterio.

Ciò ricordato, venendo all’onere della prova, la Corte afferma che in tema di disconoscimento di paternità è onere dell’attore provare il momento in cui sia venuto a conoscenza dell’adulterio, quale fatto idoneo a generare, da parte della moglie, che si pone come dies a quo dell’azione stessa, tuttavia al riguardo, vigono le usuali norme che regolano l’onere della prova, ivi compreso il principio di non contestazione.

Ed allora, con la sentenza Cass. Civ., Sez. I, 30/06/2016, n. 13436 la Corte considera che:

«com’è noto, nel nostro ordinamento la non contestazione dei fatti allegati da controparte può assumere una duplice valenza ai fini della prova dei medesimi: in forza del principio previsto dall’art. 115 c.p.c., comma 1, la non contestazione specifica di un fatto dedotto è comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione del thema probandum; ove, invece, detto principio non possa operare, ad esempio in relazione ai fatti costitutivi dei diritti non disponibili, la mancata contestazione è comunque valutabile, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 2.

Pertanto, in materia di diritti indisponibili, come quelli implicati nella causa in esame, il principio di non contestazione, se non può operare ai fini della prova degli elementi costitutivi dell’azione (in particolare, l’essere il disconoscendo figlio naturale del genitore), tuttavia resta efficace con riguardo al fatto assunto in citazione come rilevante ai fini della tempestività dell’azione medesima per non essere decorso il termine di decadenza. Tale profilo, invero, integra un fatto mero l’episodio della vita che si pone quale momento iniziale della decorrenza del termine di decadenza – che ricade nell’ambito applicativo dell’art. 115 c.p.c.».

E prosegue affermando che:

«se è vero che l’azione di disconoscimento della paternità verte in materia di diritti indisponibili in relazione ai quali non è ammesso alcun tipo di negoziazione o di rinunzia, nondimeno “l’indagine sull’epoca della conoscenza dell’adulterio, ai fini della prova della tempestività dell’azione di disconoscimento della paternità fondata sull’adulterio della moglie, inerisce a un dato cronologico ed oggettivamente neutro che va autonomamente provato con ogni mezzo di prova consentito dall’ordinamento, quale evento condizionante l’ammissibilità dell’azione e quindi estraneo alla materia attinente allo status”».

Inoltre, si è già chiarito che,

«in tema di azione di disconoscimento di paternità, trova applicazione, ai fini dell’individuazione del thema probandum, il principio di non contestazione, dovendosi ritenere tale condotta idonea ad escludere, in via immediata, i fatti non contestati dal novero di quelli bisognosi di prova, anche se “l’effetto della non contestazione non può essere lo stesso che essa produce in presenza di situazioni giuridiche di cui le parti possono liberamente disporre: l’interesse pubblico che sta alla base dell‘indisponibilità della situazione giuridica dedotta in giudizio, se da un lato non impedisce al giudice di avvalersi di tutti gli elementi e degli argomenti di prova di cui dispone ai fini dell’accertamento dei fatti, ivi compresi quelli desumibili dalla condotta processuale delle parti, dall’altro però esclude che egli possa ritenersi vincolato a ritenere sussistenti o insussistenti determinati fatti in virtù di dichiarazioni o ammissioni delle stesse, la cui valutazione resta pertanto devoluta al suo prudente apprezzamento”».

Ciò conduce al parziale superamento di un orientamento meno recente, secondo cui:

«l’attore deve dare la prova che l’azione è stata promossa entro il termine senza che alcun rilievo possa avere in proposito la circostanza che nessuna parte abbia eccepito il decorso del termine” (Cass. 11 febbraio 2000, n. 1512), posto che non era stato all’epoca ancora sancito il principio di cui all’art. 115 c.p.c.; mentre, come subito si dirà, non si pone qui in discussione la regola del rilievo d’ufficio della decadenza, che non è soggetta invero ad eccezione di parte».

Con riguardo al termine di decadenza dall’azione di disconoscimento della filiazione, invero, occorre ora operare alcune precisazioni.

«l’efficacia del principio di non contestazione, pure da affermarsi al riguardo, non vuol dire però che sul punto la regola divenga assimilabile a quella dell’eccezione di parte, restando, invece, la decadenza sempre rilevabile d’ufficio, ove emerga dagli atti (nota essendo la differenza concettuale tra eccezione in senso stretto e principio di non contestazione, posti su piani diversi), in ragione della preminenza dell’interesse pubblico nelle questioni di stato delle persone.

Il principio di non contestazione non esclude, pertanto, che il giudice possa e debba esaminare gli atti e i documenti del giudizio prodotti dalle parti, per rilevare d’ufficio, se del caso, la decadenza dall’azione.

Il principio di non contestazione mira a selezionare i fatti pacifici e a separarli da quelli controversi, per i quali soltanto si pone l’esigenza dell’istruzione probatoria. Ciò non implica, però, che ad essere disponibile sia la verità storica e che, dunque, sia sottratto al giudice ogni potere di verificarla».

In particolare, in sostanza, secondo la Suprema Corte, il principio di non contestazione opera in maniera più attenuata nell’ambito delle questioni rilevabili d’ufficio, concernente l’eventuale inammissibilità dell’azione di disconoscimento del figlio.

E conclude affermando che:

«sull’epoca della scoperta dell’adulterio, quindi, opera il principio di non contestazione, che espunge tale fatto dall’ambito del thema probandum; ma, a fronte della condotta acquiescente dei convenuti circa la data esposta in citazione come dies a quo della proponibilità della domanda, la quale la renda tempestiva, il giudice può e deve ancora rilevare ex actis un eventuale anteriore termine di decorrenza, il quale renda l’azione inammissibile; mentre resta che, in mancanza di altri elementi, acquisiti al processo, che palesino detta decadenza, egli non potrà porre in non cale gli effetti della non contestazione del momento di decorrenza del termine decadenziale, onde dovrà considerare senz’altro l’azione ammissibile, senza imputare all’attore le conseguenze del non avere egli stesso offerto mezzi di prova al riguardo».

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Author: Avv. Daniela Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 20 agosto 1963. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1992. Abilitata al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione famiglia di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833.

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