Il sì della Corte di Giustizia Ue al riconoscimento del congedo matrimoniale alle coppie gay


Ancora dall’Europa un ulteriore segnale a sostegno del riconoscimento delle coppie omosessuali nel solco della progressiva tendenza, in ambito europeo, verso l’eliminazione, ove possibile, di ogni eventuale discriminazione tra coppie eterosessuali e coppie gay allo scopo ultimo di ottenere una piena parificazione di diritti ed anche di doveri, come già accade in molti stati dell’Unione.

Ciò è quanto sostanzialmente emerso dalla recente pronuncia (sentenza del 12/12/2013 nella causa C-267/12) della Corte di Giustizia dell’Unione chiamata a pronunciarsi sull’interpretazione dell’art. 2, paragrafo, 2, della direttiva 2000/78/CE del 27/11/2000, la quale prevede un quadro generale ai fini della parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro.

Con la citata sentenza la Corte di Lussemburgo ha stabilito che ove un contratto collettivo di lavoro preveda dei congedi straordinari per i lavoratori che contraggono matrimonio, il medesimo trattamento deve essere riservato anche a quei lavoratori che hanno concluso forme di unione civile molto simili al matrimonio, regolamentate e riconosciute dallo Stato di appartenenza, quando a loro stessi la possibilità di sposarsi è preclusa dalla normativa nazionale.

 Il fatto

Un cittadino francese conveniva in giudizio il proprio datore di lavoro al fine di vedersi riconosciuto il congedo matrimoniale previsto dal contratto nazionale di categoria in occasione per l’appunto del matrimonio. Il predetto beneficio, infatti, era stato negato dall’azienda al lavoratore in questione in quanto lo stesso non aveva contratto matrimonio, bensì aveva concluso un PACS con una persona del suo stesso sesso. Il lavoratore soccombeva in primo grado ed anche in appello, in ragione del fatto che la differenziazione di trattamento non atteneva alla diversità di orientamento sessuale, quanto alla differenza di status risultante dallo stato civile in seguito al matrimonio da una parte, ed alla conclusione di un PACS dall’altra, come previsti dall’ordinamento francese.

Per completezza preme evidenziare che all’epoca dei fatti (2007) non era ancora stata approvata in Francia la legge che oggi consente il matrimonio anche tra coppie dello stesso sesso, divenuta definitiva solo nel maggio 2013.

Lamentando una differenza di trattamento e di opportunità, dato che (all’epoca) le persone dello stesso sesso non potevano sposarsi, il lavoratore proponeva ricorso alla Cour de cassation, giudice francese di ultima istanza, la quale in virtù delle doglianze sottoposte al suo sindacato decideva di sospendere il procedimento e proporre alla Corte di Giustizia dell’Unione la questione pregiudiziale circa la corretta interpretazione delle norme comunitarie in materia di parità di trattamento in ambito lavorativo, cioè a dire se a tale corretta interpretazione fosse di ostacolo la scelta del legislatore nazionale di prevedere regimi differenziati in merito alle unioni civili.

 La decisione della Corte di Giustizia

La Corte di Lussemburgo dopo aver precisato che in base alla direttiva 78/2000 la legislazione in materia di stato delle persone rientra nella competenza degli stati membri, afferma che lo scopo della citata direttiva è quello di «combattere, in materia di occupazione di lavoro, alcuni tipi di discriminazioni, tra cui quelle fondate sull’orientamento sessuale, al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento».

In base al principio anzidetto, nonché richiamandosi ai propri precedenti arresti giurisprudenziali, la Corte ha stabilito che una disparità di trattamento, seppur non fondata esplicitamente e direttamente sull’orientamento sessuale, costituisce pur sempre una discriminazione diretta ai sensi della direttiva 78/2000 qualora la medesima si traduca di fatto in una disparità basata sulla sessualità, in considerazione del fatto che una determinata categoria di soggetti (individuata in base all’orientamento sessuale degli stessi) è impossibilitata a soddisfare la condizione necessaria per poter accedere al beneficio. Nella specie, infatti, essendo precluso (si ribadisce all’epoca della vicenda) a persone dello stesso sesso poter contrarre matrimonio, per tale categoria di lavoratori diventava altrettanto impossibile e dunque discriminatorio poter accedere ai benefici che il contratto collettivo riservava alle persone eterosessuali in occasione del matrimonio.

Ed infatti la Corte Ue, afferma che «l’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una disposizione di un contratto collettivo, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, a termini della quale a un lavoratore dipendente unito in un patto civile di solidarietà con una persona del medesimo sesso sono negati benefici, segnatamente giorni di congedo straordinario e premio stipendiale, concessi ai dipendenti in occasione del loro matrimonio, quando la normativa nazionale dello Stato membro interessato non consente alle persone del medesimo sesso di sposarsi, allorché, alla luce della finalità e dei presupposti di concessione di tali benefici, detto lavoratore si trova in una situazione analoga a quella di un lavoratore che contragga matrimonio».

Conclusioni

La pronuncia della Corte di Giustizia in esame assume sicuramente fondamentale rilevanza per i principi espressi all’interno di una materia così complessa e più che mai attuale come il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali e della parificazione dei relativi diritti rispetto alle coppie eterosessuali.

Tuttavia occorre considerare che detta sentenza viene resa all’interno di un contesto, la Francia, ove oggi, tutte le problematiche relative allo status attribuibile alle coppie omosessuali sono state risolte a monte dal legislatore nazionale con la previsione della possibilità di sposarsi anche per le coppie gay.

Del che pare legittimo il seguente interrogativo: quali riflessi potrebbe avere la suddetta decisione in Italia dove nulla è mai stato legiferato al riguardo? Purtroppo, al di là di mere indicazioni di principio e, spinte (più o meno esplicite in relazione alla propria sensibilità) verso l’adozione di una normativa in materia secondo una  precisa direzione, anche ai fini dell’armonizzazione del diritto dei vari Stati membri, non sembra che vi possa essere alcun effetto pratico concretamente applicabile.

Ciò in quanto la Corte Ue giunge alle conclusioni anzidette ricordando che:

– la legislazione in materia di stato delle persone rientra nella competenza degli stati membri;

– in tema di parità di trattamento in materia di occupazione e lavoro come previsto dalla direttiva 78/2000 sussiste una discriminazione diretta allorquando una normativa interna conceda particolari benefici (giorni di congedo e premi retributivi) in occasione di un determinato evento (matrimonio) e, correlativamente i suddetti benefici, in virtù di una normativa nazionale che preclude ad una determinata categoria di soggetti (omosessuali) di poter soddisfare l’evento richiesto (matrimonio), potranno essere goduti solo da una precisa categoria di persone (eterosessuali);

– per aversi discriminazione diretta nei termini di cui sopra il lavoratore che lamenti la disparità di trattamento deve trovarsi «in una situazione analoga a quella di un lavoratore che contragga matrimonio».

La precisazione della sussistenza di una situazione analoga in capo al lavoratore che lamenti la disparità in questione fuga ogni dubbio in merito ad un immediato effetto pratico della suddetta decisione in ambito nazionale e, ciò in quanto in materia il legislatore italiano ha, a tutt’oggi, affrontato l’argomento omettendo ogni riferimento legislativo.

Documenti & materiali

Leggi il testo integrale della sentenza del 12/12/2013 causa C-267/12 su InfoCuria – Giurisprudenza della Corte di Giustizia
Scarica la Direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro

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