Cassa avvocati: i contributi minimi sono dovuti e non ci sono dubbi di incostituzionalità Tribunale di Udine, sez. lav., decreto 07/04/2015, n. 1116


Il giudice del lavoro del Tribunale di Udine è il primo a pronunciarsi in materia di obbligo di contribuzione minima in capo agli iscritti all’albo avvocati e e lo fa con il recente decreto n. 1116 del 07/04/2015, con cui viene rigettato il ricorso proposto ai sensi dell’art. 700 c.p.c. da un avvocato che era stato iscritto d’ufficio alla cassa forense.

La conclusione e la premessa

Partiamo dal finale.

Il Tribunale di Udine non dubita della legittimità della previsione di una prestazione contributiva minima e, ciò

anche in relazione al fatto che l’obbligo previdenziale non è considerato dalla legge alla stregua di un presupposto condizionante la legittimità dell’esercizio professionale, bensì come conseguenza del presupposto dell’imposizione contributiva, costituito da tale esercizio.

Ma facciamo un passo indietro.

Come si ricorderà, la disposizione prevista dall’art. 21, commi 8 e 9, L. 247/2012 obbliga chi è iscritto all’albo per l’esercizio della professione forense alla contestuale iscrizione alla cassa di previdenza e assistenza forense (c.d. cassa forense o cassa avvocati) ed, indi, al conseguente onere contributivo fisso minimo.

A seguito della seduta della Giunta Esecutiva della cassa dello scorso 28/11/2014 si è deliberata l’iscrizione d’ufficio di circa 40.000 avvocati, destinatari della comunicazione da parte della cassa forense contenente la delibera di iscrizione ex officio ed anche il conteggio dei contributi minimi dovuti per le annualità 2014 e 2015.

Il caso del Tribunale di Udine

Un avvocato, iscritto d’ufficio alla cassa, aveva proposto ricorso ai sensi dell’art. 700 c.p.c. al giudice del lavoro territorialmente competente (Udine) per la declaratoria della sospensione della delibera della Giunta Esecutiva del 28/11/2014, sostenendo essenzialmente che l’obbligo di contribuzione imposto ex officio violerebbe:

1) l’art. 23 Cost. che dispone: «nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge»;

2) i principi di capacità contributiva e di progressività di cui all’art. 53 Cost. in considerazione del fatto che la pretesa contributiva minima non è parametrata al reddito professionale, ma è determinata in modo autonomo;

3) il libero esercizio della professione, dovendo esso essere collegato unicamente al superamento dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione.

Infine, il ricorrente argomentava in ordine al periculum in mora, asserendo che il mancato pagamento dell’importo richiesto lo avrebbe esposto al rischio (ovvero alla certezza) di cancellazione dall’albo.

La decisione

Come detto, il giudice del merito ha rigettato la domanda cautelare sopra descritta affermando, in primo luogo, la mancanza di uno dei presupposti di cui all’art. 700 c.p.c., il c.d. periculum in mora.

Non sussiste periculum in quanto si verte in tema di aspetti di carattere prettamente economico in ragione del fatto che la semplice riparazione economica consente il recupero dei valori primari la cui lesione viene lamentata in ricorso.

Ergo, la cancellazione dall’albo può essere evitata con il pagamento di un importo di modesta entità, che non consente dunque di ravvisare un pregiudizio, neppure nell’ipotesi paventata di irripetibilità delle somme eventualmente corrisposte.

Sotto altro profilo, inoltre, il decreto in commento nega che vi sia violazione dell’art. 23 Cost. sopra citato, considerato che sia la prestazione contributiva sia il regolamento che ne disciplina le modalità attuative discendono direttamente da una fonte primaria, quale è la L. 247/2012.

Neppure può ravvisarsi la violazione del principio di proporzionalità della capacità contributiva e di progressività di cui all’art. 53 Cost., atteso che, fermo il principio solidaristico, non è richiesta la corrispondenza tra rischio e contribuzione ed irrilevanza della proporzionalità tra contributi e prestazioni previdenziali.

Ne esce così giustificata, ad avviso del giudice, dunque,

la previsione di un obbligo di contribuzione a carico di tutti gli esercenti in proporzione al reddito professionale, anziché in relazione ai benefici previdenziali conseguibili.

Ed, allo stesso tempo, continua il decreto,

neppure può ritenersi irrazionale ravvisare nell’esercizio professionale una manifestazione di capacità contributiva, né presumere l’effettivo esercizio della professione sulla base dell’iscrizione all’albo.

Tali le conclusioni del giudicante a fondamento di una pronuncia di rigetto anche sotto il profilo del fumus boni iuris e, dunque, anche sotto un profilo di infondatezza nel merito, seppure sommario. Il decreto chiude però con la compensazione delle spese legali, stante la complessità della materia e l’assenza di precedenti in ordine alle questioni trattate.

Documenti & materiali

Scarica il testo della L. 247/2012 e del relativo regolamento di attuazione
Leggi il decreto 1116/2015 del Tribunale di Udine del 07/04/2015

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Author: Avv. Francesca Serretti Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 24 febbraio 1982. Iscritta all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 2010. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione lavoro di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

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