Mancata affissione del codice disciplinare: la sanzione è nulla Lavoro pubblico privatizzato


E’ noto a tutti che la pubblicizzazione del codice disciplinare sul luogo di lavoro mediante affissione in luogo accessibili a tutti è uno dei baluardi previsti dall’art. 7, 1°co., Statuto dei Lavoratori e che molti datori di lavoro vorrebbero eliminare e/o eludere mediante analoghe forme sostitutive.

La Corte di Cassazione (Cass. Civ., sez. lavoro, 06/05-21/07/2015, n. 15218) si pronuncia in ordine alla illegittimità di una sanzione disciplinare irrogata a seguito della violazione di specifiche norme comportamentali aziendali nel caso di mancata affissione del codice disciplinare in luogo accessibile a tutti i dipendenti.

A complicare la vicenda è la circostanza che trattasi di lavoro pubblico privatizzato: nello specifico, di una dipendente comunale.

Il caso

A Caia, dipendente comunale, era stata comminata dal datoro di lavoro una sanzione disciplinare conservativa (nello specifico, la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per quattro giorni) per aver disatteso la specifica disposizione impartitale dal dirigente di usufruire di un protocollo interno per il deposito di documentazione attinente ad una pratica relativa ad un invalido.

Caia impugna la sanzione discplinare ed, indi, il suo caso finisce davanti al giudice del lavoro, ove la lavoratrice esce soccombente in primo grado e vittoriosa in appello, pervenendo, infine, su ricorso del lavoratore stesso, alla Corte Suprema.

Il ricorso del Comune datore di lavoro alla Suprema Corte

La difesa del Comune si affida a tre motivi di censura. Per la precisione:

  1. con il primo di tali motivi, viene denunciata la mancata considerazione, da parte del giudice di appello, della circostanza, non contestata da controparte, che il comune avrebbe dedotto, nelle proprie difese, l’intervenuta affissione del codice disciplinare nell’albo pretorio;
  2. il secondo motivo evoca essenzialmente l’orientamento giurisprudenziale secondo cui «la pubblicità del codice disciplinare non è necessaria se la mancanza addebitata dipende dalla violazione di norme di legge e, comunque, di doveri fondamentali del lavoratore», con la conseguente legittimità della sanzione irrogata;
  3. con il terzo e ultimo motivo, il comune lamenta che la sentenza impugnata abbia tralasciato di considerare che il dettato normativo di cui all’art. 47, 8° co., D.LGS. 165/2001 in tema di lavoro pubblico che prevede che per i CCNL nel pubblico impiego privatizzato è prescritta la pubblicazione nella gazzetta ufficiale. Ne deriva, quindi, secondo la difesa del comune, che trattandosi di atti normativi, non necessitano di pubblica affissione.

Ma la Suprema Corte, con la sentenza in esame, all’esito di un’approfondita disamina della pregressa giurisprudenza in merito a tutti quei casi nei quali il comportamento minimo sanzionatorio sia immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito, perchè contrario al c.d. minimo etico o a norme di rilevanza penale e, dunque, per i quali non sia necessario provvedere all’affissione del codice disciplinare, esclude che il caso sottoposto alla sua attenziona possa farsi rientrare in queste fattispecie.

Difatti, da quanto esposto, emerge che

quando la condotta contestata al lavoratore appaia violatrice non di generali obblighi di legge ma di puntuali regole comportamentali negozialmente previste e funzionali al miglior svolgimento del rapporto di lavoro, l’affissione si presenti necessaria.

Quanto, poi, al procedimento disciplinare nei confronti dei dipendenti pubblici, la Corte rileva che la disposizione di cui all’art. 25, n. 10, CCNL per il personale degli enti locali prevede che

 al codice disciplinare deve essere data la massima pubblicità mediante affissione in luogo accessibile a tutti i dipendenti.

Tale forma di pubblicità è dunque tassativa e non sostituibile con forme equipollenti.

In questo senso, viene così superato anche il rilievo, dedotto dal ricorrente, con riferimento alla natura “normativa” dei contratti collettivi di lavoro nelle pubbliche amministrazioni.

Con tale motivazione la Cassazione perviene, così, al rigetto del ricorso del datore di lavoro. 

Documenti & materiali

Scarica il testo di Cass. Civ., sez. lavoro, 06/05-21/07/2015, n. 15218

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Author: Avv. Francesca Serretti Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 24 febbraio 1982. Iscritta all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 2010. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione lavoro di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

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