Data deposito vs data pubblicazione sentenza: da quando decorre il termine per impugnare? Cass. Civ., SS.UU., 22/09/2016, n. 18569


Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18569 del 22/09/2016, tornano ad occuparsi della “sciagurata consuetudine“, messa in pratica da alcune cancellerie, di apporre in calce alle sentenze civili, due date, attestanti l’una l’avvenuto “deposito” della sentenza ad opera del giudice e l’altra, successiva alla prima, la “pubblicazione” della medesima certificata dal cancelliere, laddove, invece, stando al dato normativo (art. 133 c.p.c.), le due attività (deposito e pubblicazione) dovrebbero temporalmente coincidere, essendo la seconda l’effetto immediatamente prodotto dalla prima.

Tale pratica, infatti, lungi dall’essere una mera falla burocratica assume particolare rilevanza dal momento che dal deposito/pubblicazione della sentenza discendono determinati effetti giuridici, tra i quali – forse il più importante – è la decorrenza del termine cd. lungo per impungnare. Se la sentenza reca due date differenti, entrambe con firma del cancelliere, attestanti l’una il deposito e l’altra la pubblicazione della stessa, a quale di tali date occorre fare riferimento per calcolare il termine per impugnare, considerato che tra le due date può passare un lasso di tempo considerevole, che potrebbe frustrare per non dire consumare il termine (ultimo) per impugnare?

Interrogativo di non immediata soluzione, a cui, recentemente, hanno provato a rispondere, nell’ordine, le Sezioni Unite della Suprema Corte, poi la Corte Costituzionale e, infine di nuovo le Sezioni Unite con la sentenza del 22/09/2016, considerato il contrasto che successivamente alla pronuncia della Consulta si era creato all’interno delle varie sezioni in merito all’interpretazione della suddetta decisione.

La pronuncia delle Sezioni Unite del 2012

Nel 2012 le Sezioni Unite avevano sul punto precisato:

che le norme che disciplinano il deposito della sentenza attribuiscono al giudice la responsabilità di stabilire il momento di compimento dell’attività giurisdizionale e non lasciano al cancelliere alcuna discrezionalità in ordine al momento in cui darne atto; che il procedimento di pubblicazione della sentenza si compie con la certificazione del deposito mediante l’apposizione in calce alla sentenza della data di esso e della firma del cancelliere; che le predette devono essere entrambe contemporanee alla data di consegna ufficiale della sentenza al cancelliere da parte del giudice, dovendo perciò escludersi che il cancelliere possa attestare che un sentenza, già pubblicata per effetto del suo deposito debitamente certificato, venga pubblicata in una data successiva; che, conseguentemente, se sulla sentenza sono apposte due date, delle quali la prima venga indicata come data di deposito (senza indicare che il documento depositato contiene solo la minuta della sentenza), tutti gli effetti giuridici derivanti dalla pubblicazione della sentenza decorrono da questa data.

Nella ratio di eliminare qualsiasi interferenza tra l’attività del giudice (deposito/pubblicazione della sentenza) e la successiva certificazione del cancelliere, le Sezioni Unite assumono, dunque, quale dies a quo per impugnare la sentenza la data di deposito ad opera del giudice. Tuttavia, nel caso in cui il giudice dell’impugnazione avesse riscontrato una lesione del diritto di difesa, dovuto al fatto che il cancelliere non aveva reso conoscibile la data di deposito della sentenza prima della data attestante la “pubblicazione” – che poteva essere anche di gran lunga successiva – le Sezioni Unite ricorrevano, quale correttivo, all’istituto della rimessione in termini.

Nonostante l’arresto di cui sopra, non privo di criticità, altra sezione della Suprema Corte, investita della medesima questione, ritenendo di non aderire al principio sopra espresso dalle Sezioni Unite, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale, invocando una pronuncia sul punto da parte del giudice delle leggi.

La decisione della Consulta

Con la sentenza n. 3 del 2015 la Corte Costituzionale chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituizionale degli artt. 133 primo e secondo comma e 327 primo comma, c.p.c. ha dichiarato la questione non fondata.

In particolare, la Consulta dopo aver rilevato che la separazione temporale dei due passaggi procedimentali finalizzati alla pubblicazione della sentenza che viene a crearsi con l’apposizione di due date, l’una di deposito ad opera del giudice e l’altra di “pubblicazione” ad opera del cancelliere, costituisce «una patologia procedimentale grave per la sua rilevante incidenza sulle situazioni giuridiche degli interessati», giunge alla seguente conclusione:

7. Per costituire dies a quo del termine per l’impugnazione, la data apposta in calce alla sentenza dal cancelliere deve essere qualificata dalla contestuale adozione delle misure volte a garantirne la conoscibilità [ovvero inserimento nell’elenco cronologico delle sentenze con attribuzione del relativo numero identificativo] e solo da questo concorso di elementi consegue tale effetto, situazione che, in presenza di una seconda data, deve ritenersi di regola realizzata solo in corrispondenza di quest’ultima.

8. Il ritardato adempimento, attestato dalla diversa data di pubblicazione, rende di fatto inoperante la dichiarazione dell’intervenuto deposito, pur se formalmente rispondente alla prescrizione normativa, e di ciò il giudice non può che prendere atto traendone le necessarie conseguenze.

A ciò, aggiunge ancora la Corte, che, nel caso in cui il ritardato adempimento da parte del cancelliere vanificasse il diritto ad impugnare, sarà sempre possibile, come precisato in precedenza dalle Sezioni Unite, il ricorso all’istituto della rimessione in termini per causa non imputabile (art. 153 cod. proc. civ.), «inteso come doveroso riconoscimento d’ufficio di uno stato di fatto contra legem che, in quanto imputabile alla sola amministrazione giudiziaria, non può in alcun modo incidere sul fondamentale diritto all’impugnazione, riducendone, talvolta anche in misura significativa, i relativi termini (specie nella prospettiva della sopravvenuta disciplina dell’istituto e in particolare della riduzione a sei mesi del termine in questione)».

La decisione delle Sezioni Unite del 2016

Successivamente alla pronuncia della Corte Costituzionale si è originato un nuovo contrasto all’interno delle sezioni della Corte di Cassazione circa l’applicazione dei principi espressi nella data pronuncia. In particolare si sono riscontrati:

  1. un primo orientamento secondo cui «l’interpretazione costituizionalmente orientata del giudice delle leggi avrebbe reso vincolante il provvedimento di rimessione in termini che invece nella prospettiva delle sezioni unite restava subordinato al ricorrere di particolari circostanze»;
  2. un secondo orientamento secondo il quale, invece, «l’istituto della rimessione in termini andrebbe ricondotto nell’alveo tradizionale, ricorrendovi solo in caso di verifica della lesione in concreto del diritto di difesa della parte in considerazione del tempo di cui essa ha potuto disporre per impugnare».

Ravvisando il predetto contrasto la seconda sezione della Suprema Corte invocava un nuovo intervento delle Sezioni Unite.

Il caso

Nel caso di specie il ricorrente (o meglio le ricorrenti) notificavano ricorso per cassazione alle controparti l’ultimo giorno utile in pendenza del termine lungo per impungnare. La sentenza impugnata, infatti, non era stata notificata e per individuare il termime lungo per impugnare le ricorrenti avevano fatto riferimento alla data di “pubblicazione” della sentenza annotata dal cancelliere in calce alla sentenza stessa. Tuttavia sulla medesima sentenza  era apposta anche altra data, indicata come data di “deposito”, di ben sette mesi precedente la data di pubblicazione. Considerato il contrasto giurisrprudenziale delineatosi in merito all’individuazione del dies a quo e alla necessità o meno di concedere la rimessione in termini, viene demandato alle Sezioni Unite il compito di verificare la tempestività o meno della proposizione dell’impungnazione.

La motivazione

Anzitutto, nell’affrontare la delicata questione sottoposta al proprio vaglio, le Sezioni Unite non si esimono dal giudicare in termini netti e deprecabili la prassi in voga presso taluni uffici giudiziari di apporre due date in calce alle sentenze civili attestanti l’una il “deposito” e l’altra la “pubblicazione”, andando così a scindere temporalmente due momenti che dovrebbero, invece, coincidere.

Tale sciagurata consuetudine viene definita come «sintomatica di una situazione gravemente disfunzionale che, nel migliore dei casi, testimonia disorganizzazione, ignavia ed ignoranza» e, considerata l’incidenza che tale comportamento riflette sui diritti degli interessati, la Corte afferma che, al di là della stigmatizzazione processuale operata, invero, da ogni arresto giurisprudenziale sul punto, devono rendersi «necessari ulteriori interventi, quanto meno di carattere disciplinare».

Fuori da tale ambito, preme precisare, si inserisce il caso dell’indicazione del deposito della sola minuta della sentenza, procedura ancora utilizzata in alcuni uffici giudiziari.

Venendo al merito della questione, le Sezioni Unite pongono l’accento sul fatto che il momento in cui la sentenza viene ad esistenza deve ricondursi ad un atto volitivo del giudice, senza che vi possano essere interferenze di sorta da parte di altri soggetti.

Pertanto, sulla base del testo letterale dell’art. 133 c.p.c. –  a mente del quale «la sentenza è resa pubblica mediante deposito nella cancelleria del giudice che l’ha pronunciata. Il cancelliere dà atto del deposito in calce alla sentenza e vi appone la data e la firma, ed entro cinque giorni, mediante biglietto contenente il dispositivo, ne dà notizia alle parti che si sono costituite» – le Sezioni Unite affermano che la pubblicazione della sentenza si identifica con il suo deposito. Ma in che cosa consiste esattamente l’attività di deposito?

Ai fini suddetti il deposito di una sentenza, comportandone anche la sua pubblicazione, individua il momento in cui la sentenza non solo è venuta ad esistenza, ma anche in cui essa è resa effettivamente conoscibile a tutti gli interessati. Di conseguenza, il deposito della sentenza non può che realizzarsi attraverso l’inserimento nell’elenco cronologico delle sentenze, in seguito alla quale attività ciascun interessato potrà prenderne visione (o copia), essendo così garantita la pubblicità necessaria alla conoscibilità della sentenza stessa.

«La coincidenza strumentale tra deposito e pubblicazione – si legge nella sentenza – comporta inoltre la necessità che le attività di deposito intervengano senza soluzione di continuità». E, laddove ciò non dovesse avvenire, spetterà al giudice depositante assicurarsi che il perfezionamento dell’attività di deposito avvenga nel minor tempo possibile, all’occorrenza adoperandosi attivamente segnalando eventuali inefficienze.

Ciò posto, al fine di valutare la tempestività o meno di un’impugnazione in caso di apposizione di una doppia data alla sentenza impugnata, attestanti l’avvenuto deposito e la pubblicazione, sarà sufficiente verificare quando la predetta sentenza è stata resa conoscibile attraverso l’inserimento della stessa nell’elenco cronologico, assumendo tale momento quale data di deposito e contestuale pubblicazione della sentenza e di conseguenza quale dies a quo per la decorrenza del termine per impugnare ai sensi dell’art. 327 c.p.c., a nulla rilevando la dicitura delle eventuali altre date apposte dal cancelliere. Viene in tal modo superato il principio espresso dalla Consulta, che nell’ipotesi suddetta, allo scopo di garantire l’esercizio del diritto di difesa, riconduceva, apoditticamente, la conoscibilità della sentenza solo a partire dall’ultima data apposta dal cancelliere.

Inoltre, per verificare l’effettiva conoscibilità della sentenza potrà essere fornita prova documentale richiedendo presso la cancelleria del giudice a quo l’attestazione della data di iscrizione della sentenza impugnata nell’elenco cronologico o, in mancanza, potrà farsi ricorso alle presunzioni semplici o alla regola generale dell’art. 2697 c.c., secondo alla quale spetta a chi agisce in giudizio dimostrare la fondatezza della propria pretesa.

A fronte della ricostruzione così effettuata le Sezioni Unite ritengono, così, superato il contrasto sorto in seno alle sezioni della stessa Corte.

Infatti, se si considera come data di deposito=pubblicazione della sentenza il momento in cui la stessa è divenuta conoscibile, e facendo decorrere il termine per impungare solo a partire da tale momento, l’applicazione dell’istituto della rimessione in termini per causa non imputabile assume portata residuale. Cioè a dire, che in caso di sussistenza di due diverse date in calce ad una sentenza, nessuna decadenza potrà verificarsi se dalla data indicata come “deposito” la sentenza non era ancora oggettivamente conoscibile e, viceversa, nessuna incolpevole decadenza, tale da consentire il ricorso alla rimessione in termini, potrà verificarsi se dalla suddetta data la sentenza era invece conoscibile nei termini sopra riferiti.

Conclusioni

Sulla base delle esposte considerazioni, il Collegio ha ritenuto sussistere nella fattispecie  i presupposti per far ricorso alla presunzione semplice, a fronte della quale, il lungo lasso di tempo intercorso tra l’apposizione della prima e della seconda data, rende inverosimile che il compimento di tutte le formalità previste per dar corso al deposito della sentenza (deposito del giudice, iscrizione elenco cronologico, attribuzione numero identificativo) siano venute contestualmente e, ben 7 mesi più tardi, si sia solo provveduto a dar comunicazione alla parte dell’avvenuto deposito. Di conseguenza, la Corte nel dichiarare ammissibile il ricorso, (con conseguente assegnazione alla sezione rimettente per la decisione anche sulla spese) ha enunciato il seguente principio di diritto:

il deposito e la pubblicazione della sentenza coincidono e si realizzano nel momento in cui il deposito ufficiale in cancelleria determina l’inserimento della sentenza nell’elenco cronologico con attribuzione del relativo numero identificativo e conseguente possibilità per gli interessati di venirne a conoscenza e richiederne copia autentica: da tale momento la sentenza “esiste” a tutti gli effetti e comincia a decorrere il cosiddetto termine lungo per la sua impugnazione.

Nel caso in cui risulti realizzata una impropria scissione tra i momenti di deposito e pubblicazione attraverso  l’apposizione in calce alla sentenza di due diverse date, il giudice tenuto a verificare la tempestività dell’impugnazione proposta deve accertare – attraverso un’istruttoria documentale o, in mancanza, il ricorso, se del caso, alla presunzione semplice ovvero, in ultima analisi, alla regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c., alla stregua della quale spetta all’impugnante provare la tempestività della propria impugnazione – il momento di decorrenza del termine di impugnazione, perciò il momento in cui la sentenza è divenuta conoscibile attraverso il deposito ufficiale in cancelleria comportante l’inserimento di essa nell’elenco cronologico delle sentenze e l’attribuzione del relativo numero identificativo.

Documenti & Materiali

Scarica Corte Costituzionale, 22/01/2015, n. 3
Scarica Cass. Civ., SS.UU., 22/09/2016, n. 18569

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Author: Avv. Claudia Gianotti

Avvocato, nata a Pesaro il 08 settembre 1982. Iscritta all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 2011. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione fiscale di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

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