Inammissibilità meritale e processuale in Cassazione: il precedente diventa vincolante? Cass. Civ., Sez. VI, Ordinanza 02/03/2018, n. 5001

By | 10/04/2018

Con la recente ordinanza Cass. Civ., Sez. VI, Ordinanza 02/03/2018, n. 5001 oggi in esame, la Suprema Corte interviene sul tema, ormai costituente un must della giurisprudenza di legittimità, dell’inammissibilità dei motivi di ricorso, da un lato chiarendo il concetto di inammissibilità cd. meritale di cui al pregresso arresto contenuto in Cass. Civ., SS.UU., 21/03/2017, n. 71551sulla quale eravamo già intervenuti lo scorso 23/03/2017 – e, dall’altro, enucleando un’autonoma figura di inammissibilità propriamente processuale e strettamente correlata alla prima figura.

Cosa avevano detto le Sezioni Unite: l’inammissibilità meritale

Cominciando da quanto avevano stabilito le Sezioni Unite del 2017, come vi avevamo segnalato, queste ultime erano state investite del quesito se la previsione dell’art. 360-bis, n. 1, c.p.c. 2 (che, come noto, sancisce l’inammissibilità del ricorso avverso sentenza conforme ai principi espressi dalla Corte di legittimità in difetto di elementi utili alla conferma o mutamento di tale orientamento) dovesse condurre ad una pronuncia di rigetto nel merito o d’inammissibilità in rito.

Questione, quest’ultima, come rilevato dalle stesse Sezioni Unite, non meramente terminologica, in quanto

«ove la si dovesse risolvere nel senso del rigetto, come già indicato da Sez. un. 19051/2010, la Corte non potrebbe esimersi dall’esaminare nel merito anche un eventuale ricorso incidentale tardivo che fosse stato proposto dalla parte controricorrente. Viceversa la declaratoria d’inammissibilità del ricorso principale produrrebbe l’inefficacia di quel ricorso incidentale tardivo, dovendosi ritenere anche in tal caso applicabile il disposto dell’art. 334 c.p.c., comma 2, che siffatta conclusione impone quale che sia la ragione dell’inammissibilità del ricorso principale».

Sul punto, il Consesso non esita nell’optare per l’inammissibilità in rito, partendo dalla dizione testuale dell’art. 360-bis, n. 1, c.p.c. – il quale, in effetti contiene un espresso riferimento all’inammissibilità del ricorso non conforme ai criteri ivi indicati – ma, soprattutto, svincolando la declaratoria di inammissibilità dalle sole lacune formali del ricorso e ricollegandola, invece, anche a carenze di merito dello stesso.

Tale particolare inammissibilità “meritale” (declinabile per i singoli motivi di ricorso e, dunque, non sempre atta a travolgere quest’ultimo nella sua completezza), secondo le Sezioni Unite riduce, ma non elide, l’ambito esplicativo della pronuncia di rigetto per manifesta infondatezza ex art. 375, n. 5, c.p.c.,3 norma che

«riguarda ogni altro possibile caso di infondatezza, manifesta sì ma non dipendente dall’assenza di ogni confronto critico con una precedente giurisprudenza consolidata».

Sarà, inoltre ed infine, irrilevante che la Corte manifesti la propria adesione all’orientamento giurisprudenziale de quo essendo sufficiente rilevare che

«la pronuncia impugnata si è adeguata alla giurisprudenza di legittimità e che il ricorrente non la critica adeguatamente. In questo senso l’art. 360 bis è una norma-filtro perché consente di delibare rapidamente ricorsi “inconsistenti”. Ma si tratta pur sempre di una “inammissibilità di merito”, compatibile con la garanzia dell’art. 111 Cost., comma 7».

La pronuncia in esame: un’ulteriore ipotesi di inammissibilità formale

Con l’odierna ordinanza 5001/2018 la Suprema Corte riprende il concetto di inammissibilità “meritale” come sopra enucleato dalle Sezioni Unite ex art. 360-bis, n. 1 c.p.c., articolandolo nei suoi corrispondenti termini formali sub specie onere di specificità del motivo ai sensi dell’art. 366, n. 4 c.p.c.4

Il provvedimento in questione parte dal presupposto che le Sezioni Unite del 2017 sopra commentate «hanno riconosciuto l’esistenza di una forma di inammissibilità di carattere “meritale” (o “sostanziale”), che dipende dalla manifesta infondatezza del ricorso», alla quale la struttura formale del ricorso non può rimanere estranea sotto il profilo della necessaria specificità del motivo, a mente dell’art. 366, n. 4, c.p.c. cit.

In altre parole, cioè, se, ex art. 360-bis, n. 1 c.p.c., il motivo va dichiarato inammissibile sotto il profilo meritale ogni volta che, in presenza di una decisione impugnata conforme alla giurisprudenza della Corte, manchino elementi per confermare o modificare l’orientamento fatto proprio da quest’ultima, ciò significa che quello stesso motivo dovrà essere dichiarato, ancor prima, inammissibile, sotto il profilo processuale, se esso non contenga gli elementi necessari e sufficienti allo scrutinio di cui sopra e, dunque, non possa essere considerato specifico per gli effetti del n. 4 dell’art. 366 c.p.c. più volte ricordato.

A mente del disposto dell’art. 366, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360-bis, n. 1 c.p.c. come reiterpretato dalle Sezioni Unite, perciò, ogni motivo di ricorso che enunzi violazione o falsa applicazione di norme di diritto dovrà, al fine di assolvere all’onere formale/processuale di specificità:

a) esaminare il «contenuto precettivo di ciascuna delle norme di cui denunzia la violazione» individuandolo in modo coerente con il «”diritto vivente”, ossia col significato riconosciuto alla norma dalla giurisprudenza della Corte suprema», non essendo consentita «la nuda elencazione di articoli di legge»;

b) individuare «la ratio decidendi della sentenza impugnata», indi raffrontando «la regola giuridica applicata dai giudici di merito e la giurisprudenza della Corte suprema»;

c) contenere, nel caso in cui il giudice di merito si sia conformato a tale giurisprudenza di legittimità, l’esposizione di «argomenti per contrastare l’indirizzo giurisprudenziale adottato dai giudici di merito».

Mancando tali requisiti, conclude la Corte, dovrà essere pronunciata l’inammissibilità del motivo, che, come pure si precisa,

«non dipende dalla manifesta infondatezza del motivo rispetto alla giurisprudenza della Corte, come quella di carattere “meritale” prevista dall’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ.; essa dipende, invece, dalla incompleta redazione del motivo, che risulta privo del carattere della “specificità” necessario per costituire una “vera” ed “intellegibile” critica della decisione impugnata: si tratta, dunque, di una inammissibilità di carattere “processuale”, che discende dalla violazione del precetto di cui all’art. 366 n. 4 cod. proc. civ.».

E, si badi, che, trattandosi di inammissibilità a carattere strettamente processuale, essa dovrà essere valutata al momento della proposizione del ricorso, senza, dunque, che essa possa essere emendata per mezzo delle successive memorie ex artt. 378 o 380-bis c.p.c. e con esclusione – aggiungeremmo –  della possibilità di valutare i mutamenti di giurisprudenza eventualmente intervenuti tra il momento del deposito del ricorso e quella della decisione, possibilità invece lasciata aperta, nel caso di inammissibilità “meritale”, dal precedente delle Sezioni Unite sopra citato.

Stare decisis?

L’ordinanza in questione è di quelle che sembrano destinate a lasciare il segno, soprattutto in tutti i casi in cui si impugnino decisioni conformi all’interpretazione offerta dalla Suprema Corte.

In tali ipotesi, infatti, ogni motivo di ricorso dovrà – sotto pena di inammissibilità – necessariamente assumere la forma di un dotto trattatello, chiaro, sintetico, autosufficiente, conforme alle prassi protocollari, etc. etc., adeguatamente strutturato sotto il profilo formale e almeno potenzialmente capace, sotto il profilo meritale, a lasciare intravvedere alla Corte spiragli per un eventuale mutamento di orientamento (e salvo, ovviamente il successivo vaglio relativo all’effettiva adozione di quest’ultimo).

Il che appare compito alquanto arduo, se si considera che, secondo le «Linee guida per il funzionamento della sesta sezione civile» del 22/04/2016 citate dal precedente delle Sezioni Unite del 2017 sopra esaminato, di «orientamento» si può parlare in presenza

«di una decisione delle Sezioni Unite, di un orientamento consolidato delle Sezioni semplici, di più pronunce convergenti delle Sezioni semplici, di una sola sentenza, se convincente, di una Sezione semplice»,

cioè a dire, sintetizzando, praticamente sempre, con l’eccezione di ipotesi residuali in cui la Corte non si sia mai pronunziata, o si sia pronunziata in modo «non convincente» (secondo la Corte stessa, dunque, presumibilmente assai di rado).

C’è da domandarsi, conclusivamente, se tutto ciò non abbia di fatto introdotto nell’ordinamento una forma di vera e propria vincolatività del precedente e se le modalità draconiane con cui i principi di cui sopra sono stati articolati rispettino i principi del giusto processo.

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Note al testo

1. Cass. Civ., SS.UU., 21/03/2017, n. 7155, secondo la quale «In tema di ricorso per cassazione, lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1, c.p.c., da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334, comma 2, c.p.c., sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”».

2. Art. 360-bis c.p.c. «Inammissibilità del ricorso. [1] Il ricorso è inammissibile: 1) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa; 2) quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo».

3. Art. 375 c.p.c. «Pronuncia in camera di consiglio. [1] La Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia con ordinanza in camera di consiglio quando riconosce di dovere: (…) 5) accogliere o rigettare il ricorso principale e l’eventuale ricorso incidentale per manifesta fondatezza o infondatezza ».

4. Art. 366 c.p.c. «Contenuto del ricorso. [1] Il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità: (…) 4) i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano, secondo quanto previsto dall’articolo 366-bis».

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