Il consenso informato del medico-paziente: due decisioni di legittimità a confronto Cass. Civ. 7516/2018 v. Cass. Civ. 20984/2012

By | 16/04/2018

Un recente precedente di legittimità dello scorso mese di maggio (Cass. Civ., Sez. III, 27/03/2018, n. 7516) offre alla Suprema Corte lo spunto per tornare – in senso, come si sta per vedere, difforme rispetto a quanto opinato dalla medesima sezione con un precedente arresto risalente al 2012 (Cass. Civ., Sez. III, 27/11/2012, n. 20984) – su una fattispecie particolare del diritto al consenso informato vantato dalla “persona-paziente”, fondato, come ricorda la più risalente delle decisioni appena citate, sui

«principi espressi nell’art. 2 Cost., che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 Cost., i quali stabiliscono rispettivamente che la libertà personale è inviolabile e che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge».

Medice cura te ipsum…o no?

Si tratta del tema relativo alla “relativizzazione” dell’obbligo di ottenre il consenso informato del paziente in funzione de livello di cognizione medica specifica del paziente stesso, ovverosia di stabilire se debba o meno configurarsi, in capo al medico/struttura medica, un onere di informazione del paziente anche in tutti quei casi in cui questi abbia già autonomamente maturato adeguata conoscenza del trattamento sanitario cui si accinge ad essere sottoposto e sia, perciò, in grado di orientarsi consapevolmente in proprio.

Il che può accadere, ad es., per via di particolari qualifiche tecnico professionali possedute dal paziente di specie (si pensi alle ipotesi in cui sia egli stesso un medico o un infermiere, come accade nei due precedenti oggi in esame), oppure per il ricorrere di altre circostanze particolari, come l’essere egli stato già compiutamente informato da terzi in ordine alle caratteristiche dell’intervento che dovrà subire.

La soluzione del 2012: il medico non cura se stesso

La Cassazione del 2012 (Cass. Civ., Sez. III, 27/11/2012, n. 20984 cit.) non aveva avuto dubbi in proposito e, chiedendosi se il sistema del consenso informato debba mutare

«in considerazione della qualità del paziente (…)  pervenendo perfino ad escludere rilevanza causale alla mancanza di consenso informato in caso di paziente “medico”»,

aveva lapidariamente concluso come segue: «la risposta è negativa».

Secondo la Corte, infatti, premesso che il fine del consenso informato è quello di garantire la libera autodeterminazione del paziente, nessun rilievo può assegnarsi alle caratteristiche soggettive di quest’ultimo, che tale diritto mantiene comunque.

L’eventuale esistenza di specificità personali del detto paziente, dunque, potrà semmai rilevare solo

«sulle modalità di informazione – informazione che si sostanzia in spiegazioni dettagliate ed adeguate al livello culturale del paziente – con l’adozione di un linguaggio che tenga conto del suo particolare stato soggettivo e che, nel caso di paziente-medico, potrà essere parametrata alle sue conoscenze scientifiche in materia».

Ne segue che, stando alla decisione ora in commento, il medico (o il paziente comunque già informato prima ed a prescindere dal rapporto con la struttura ospedaliera che deve porre in essere il trattamento di specie) ha diritto all’informativa esattamente come gli altri, ancorché parametrata, con riguardo alle modalità di esplicazione, alle  qualifiche soggettive da egli possedute.

La soluzione del 2018: il medico cura se stesso

Sei anni dopo, la soluzione prescelta, tuttavia, muta.

La stessa terza sezione, infatti, esaminando una fattispecie analoga a quella sopra vista, con una decisione del marzo scorso (Cass. Civ., Sez. III, 27/03/2018, n. 7516) ha concluso nel senso che, in tutti quei casi in cui il paziente

«sappia perfettamente quale sia l’intervento cui ha da essere sottoposto; quali ne siano le conseguenze, quali i rischi, quali le alternative (ad esempio, perché vi si è già sottoposto; perché è stato già informato da terzi; perché ha una competenza specifica su questa materia)»,

l’eventuale mancata informativa da parte del medico

è giuridicamente irrilevante, per l’inconcepibilità d’un valido nesso di causa tra esso e le conseguenze dannose del vulnus alla libertà di autodeterminazione».

In altre parole, cioè, secondo la pronuncia del 2018 qui in esame, la già maturata consapevolezza da parte del paziente del trattamento sanitario che egli si avvia a subire, se non scrimina la condotta omissiva del medico sotto il profilo informativo, opera tuttavia sul nesso di causalità, elidendolo, giacché in tal caso

«qualsiasi conseguenza svantaggiosa dovrebbe ricondursi causalmente alle scelte consapevoli del paziente, piuttosto che al deficit informativo del medico».

Il che, da un lato, si pone in contrasto con il precedente arresto del 2012 (che, come si è visto, aveva stimmatizzato negativamente l’orientarsi «perfino ad escludere rilevanza causale alla mancanza di consenso informato in caso di paziente “medico”»)1 e, dall’altro, se non esclude in tesi generale la  permanenza dell’obbligo informativo, ne cambia drasticamente i termini, posto che  l’assenza di sanzione derivante dall’elisione “a tavolino” del nesso di causalità sopra opinato finisce con il privare di significato il relativo precetto .

Nel merito poi, pare a chi scrive che il requisito del conoscere «perfettamente» le caratteristiche del trattamento sanitario cui si sta per venire sottoposti, richiamato dalla proununcia 7516/2018 in commento, sia alquanto arduo da configurare anche nelle ipotesi di pazienti “tecnici dell’arte” quali quelle prese in considerazione nella specie.

Diverse variabili, infatti, possono interferire con una tale percezione rendendola “imperfetta”, come la mancanza di specializzazione sanitaria nel settore cui pertiene il trattamento sanitario al quale il medico-paziente debba essere sottoposto; il maggiore o minore grado di perizia tecnica di questi; lo stato di minorata difesa piscologica indotto dalla malattia etc.

In definitiva, dunque, tra i due orientamenti sin qui esposti, quello del 2012 sembra essere maggiormente aderente allo spirito che anima il consenso informato, mantenendone l’obbligo ed adattandone le modalità di adempimento alla situazione di specie.

Documenti & materiali

Scarica Cass. Civ., Sez. III, 27/03/2018, n. 7516
Scarica Cass. Civ., Sez. III, 27/11/2012, n. 20984

Note al testo

1. Merita, peraltro, osservare come la decisione del 2018 ora in esame, che pure cita espressamente il pregresso arresto 20984/2012 quando aderisce all’orientamento ivi espresso circa la distinzione tra inammissibile presunzione di consenso informato e legittima prova per presunzioni di tale consenso, non ne faccia invece cenno quando, come si è appena visto, nel momento in cui se ne discosta.

Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.