Processo del lavoro: solo le pec fanno prova Cass. Civ. Lav., 08/03/2018, n. 5523


Secondo la sezione Lavoro della Cassazione, sentenza n. 5523 dell’08/03/2018,

«l’efficacia probatoria dei documenti informatici, tra cui le e-mail, non sottoscritti con firma elettronica avanzata (qualificata o digitale), è liberamente valutabile dal Giudice in relazione alle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità».

Fatto e processo

In primo grado il Tribunale di Roma annullava la sanzione disciplinare della sospensione per giorni tre e rigettava la domanda di impugnativa del licenziamento per giusta causa irrogato successivamente a causa della condotta contestata al dipendente, dirigente e responsabile di reparto, per mala gestio relativa ad una procedura di cd. “rivalutazioni di magazzino” che, secondo le indagini aziendali, aveva portato all’accredito di somme non dovute in favore di alcune società commerciali partner, in quanto relative a giacenze di prodotti di telefonia mobile, in realtà non esistenti.

Il giudice del lavoro accoglieva, di converso, la domanda riconvenzionale della società datrice di lavoro, condannando il lavoratore al pagamento di € 194.608,50.

In secondo grado, la Corte d’appello di Roma, in parziale accoglimento del gravame principale proposto dal lavoratore ed in conseguente riforma della sentenza di primo grado, dichiarava l’illegittimità del licenziamento e condannava la società al pagamento di € 311.361,00 a titolo di indennità supplementare e di € 138.382,66 a titolo di indennità di preavviso; respingeva, per l’effetto, la domanda riconvenzionale proposta dalla società.

La Corte di appello osservava che la prospettazione della parte datoriale era fondata su messaggi di posta elettronica (non certificata) di “dubbia valenza probatoria” nonché su dichiarazioni provenienti da soggetti direttamente coinvolti nella vicenda e quindi inattendibili perché interessati ad un certo esito della lite.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la società datoriale; mentre il dipendente ha resistito con controricorso.

La motivazione

La società datoriale si duole che la sentenza impugnata fonda l’illegittimità del licenziamento sul fatto che la corte territoriale esclude la valenza probatoria dei documenti sul presupposto di una possibilità astratta di alterazione, non trattandosi di corrispondenza elettronica certificata o sottoscritta con firma digitale che garantisce l’identificabilità dell’autore e la sua integrità ed immodificabilità.

Al di là del merito della questione, la ricorrente assume che alcuna deduzione in merito era stata introdotta dal lavoratore in primo grado, il quale si era, infatti, limitato ad affermare che i contenuti delle stesse non potevano “essere conoscibili” e, solo in replica alla riconvenzionale, aveva precisato di non aver ricevuto le e-mail in oggetto; infine, in sede di gravame – quindi tardivamente -, aveva dedotto la manomissione dei documenti.

I motivi centrali del ricorso per cassazione, involgendo la valutazione di inefficacia probatoria delle e-mail aziendali, sono trattati congiuntamente dalla Cassazione, la quale ha chiarito che la questione sottopostale non configura una violazione dell’art. 112 C.P.C. in quanto

«Il vizio di “ultra” o “extra” petizione, in relazione al quale viene in rilievo tale norma, infatti, risulta configurabile se il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato; non in relazione al giudizio di valutazione del materiale probatorio – seppure erroneo espresso dal giudice di merito.
La critica, in relazione agli artt. 2702 e 2712 cod. civ., si arresta, invece, già sul piano dell’inammissibilità.Come è noto, la parte che denunci, con il ricorso per cassazione, il pregresso e implicito riconoscimento o disconoscimento di documenti – e di detta circostanza lamenti la mancata od inadeguata valutazione ad opera del giudice di merito – ha l’onere di riprodurre nel ricorso stesso il tenore esatto dell’atto e di indicare da quali altri elementi sia possibile trarre la conclusione che tali documenti non siano stati disconosciuti (cfr. Cass. 17.05.2007 nr. 11460 e, in motivazione, Cass. 13.6.2017 nr 14654)».

Infatti, l’interesse ad impugnare – proseguono gli ermellini – con ricorso per Cassazione

«discende dalla possibilità di conseguire, attraverso l’annullamento della sentenza impugnata, un risultato pratico favorevole; a tal fine, è però necessario che sia indicata in maniera adeguata la situazione di fatto della quale si chiede una determinata valutazione giuridica, diversa da quella compiuta dal giudice del merito ed asseritamene sbagliata».

La Cassazione osserva che, nel caso concreto, la ricorrente non riporta il contenuto delle e-mail e neppure trascrive compiutamente gli atti difensivi del lavoratore, limitandosi a riportare alcuni passaggi del ricorso introduttivo e di una memoria depositata in primo grado.

La censura è, in ogni caso, infondata, anche per il fatto che

«Il messaggio di posta elettronica è riconducibile alla categoria dei documenti informatici, secondo la definizione che di questi ultimi reca l’art. 1, comma 1, lett. p), del D. Lgs. nr. 82 del 2005 (“documento informatico: il documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”), riproducendo, nella sostanza, quella già contenuta nell’art. 1, comma 1, lett. b) del DPR nr. 445 del 2000»,

e che,

«Quanto all’efficacia probatoria dei documenti informatici, l’art. 21 del medesimo D.Lgs., nelle diverse formulazioni, ratione temporis vigenti, attribuisce l’efficacia prevista dall’articolo 2702 del cod. civ. solo al documento sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, mentre è liberamente valutabile dal giudice, ai sensi dell’art. 20 D.Lgs 82/2005, l’idoneità di ogni diverso documento informatico (come l’e-mail tradizionale) a soddisfare il requisito della forma scritta, in relazione alle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità.La decisione impugnata non mette in discussione la sussistenza di una corrispondenza relativa all’indirizzo di posta elettronica del dipendente, sicché è da escludere una violazione dell’art. 2712 cod.civ.».

La sentenza della corte territoriale esclude, piuttosto, che i messaggi siano riferibili al suo autore apparente; trattandosi di e-mail prive di firma elettronica, la statuizione non è censurabile in relazione all’art. 2702 cod.civ. per non avere i documenti natura di scrittura privata, ai sensi del citato art. 1 D.LGS. 82/2005.

Infine – conclude la Cassazione – non vi è alcuna specifica argomentazione in ordine alla asserita violazione dell’art. 414 C.P.C., indicata nella rubrica ma non sviluppata nel motivo.

Su tali basi, dunque, la Corte rigetta il ricorso.

Documenti&Materiali

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Author: Avv. Francesca Serretti Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 24 febbraio 1982. Iscritta all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 2010. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione lavoro di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

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