Telefonate salate con il telefono aziendale: il licenziamento è legittimo Cass. Civ., Sez. Lavoro, 12/12/2018, n. 3315


La vicenda processuale

Ad un dipendente di una nota azienda di telefonia veniva contestato di aver compiuto una lunghissima serie di telefonate verso numerazioni non geografiche a valore aggiunto, traffico telefonico non attinente alle esigenze di servizio, non consentito nè autorizzato, utilizzando la linea dedicata al fax del reparto ove era occupato, trattenendosi nei locali prima delle ore 8 e dopo l’orario contrattuale.

Il tutto al costo di € 8.000,00 a spese dell’azienda (!).

Il lavoratore si giustificava adducendo un grave stato depressivo che lo aveva indotto a intrattenersi telefonicamente con amici o colleghi avendo necessità di sentire voci amiche in momenti difficili della giornata.

Per tale ragione al lavoratore veniva irrogato il licenziamento per giusta causa.

In primo grado la domanda del lavoratore diretta all’annullamento del licenziamento in questione, veniva accolta solo parzialmente; il giudice del lavoro si era infatti limitato a disporre la conversione in licenziamento per giustificato motivo soggettivo, con condanna al pagamento del preavviso liquidato come da sentenza.

In secondo grado la Corte d’appello territorialmente competente rigettava l’appello principale proposto dal lavoratore, nonchè quello incidentale da parte dell’azienda.

Il giudice di secondo grado osservava che le pretese condotte mobbizzanti da parte del datore di lavoro si riferivano a fatti molto risalenti nel tempo e comumque non collegate ai fatti in contestazione o, ancora, in contraddittorie.

In ogni caso, a parere della Corte d’appello, in merito alle giustificazioni del dipendente circa un presunto stato psicofisico e, le stesse potevano trovare accoglimento in quanto tale stato all’epoca non era caratterizzato da depressione e comunque ben avrebbe potuto il dipendente sottoporsi a cure specialistiche idonee.

La sentenza è stata impugnata con ricorso per cassazione dal lavoratore tre motivi.

Le ragioni di Cass. Civ., Sezione Lavoro, 12/02/2018, n. 3315

Con il primo motivo di ricorso il lavoratore ha dedotto la violazione degli artt. 2106 C.C. e dell’art. 15 L. n. 604/66 ritenendo sproporzionato il comminarsi di una sanzione esplusiva a fronte dell’invio di (ben) 13.000 messaggi dal telefono aziendale.

Ritiene la Cassazione che il motivo sia infondato in quanto la valutazione dello stesso comporterebbe una valutazione in fatto, preclusa al giudice di legittimità, sia in quanto la proporzionalità della sanzione e la gravità della condotta addebitata erano già state valutate dalla Corte di appello con  motivazione sul punto  congrua e logicamente coerente.

Analogamente la Cassazione ritiene infondato il secondo motivo di ricorso con cui il ricorrente ha allegato la nullità del procedimento per totale mancanza di istruttoria ed in particolare quella diretta ad accertare la condizione psicofisica del lavoratore a seguito delle denunziate condotte vessatorie da parte dell’azienda.

Anche qui, la Cassazione ritiene che

«la valutazione circa l’ammissibilità delle prove articolate dalle parti rientra nei poteri del Giudice di merito che ha, con motivazione congrua e logicamente coerente, motivato in ordine alla loro irrilevanza».

Con l’ultimo motivo, altrettanto respinto dalla Cassazione perchè ritenuto inammissibile, il lavoratore allega l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e concernente le condizioni di salute del ricorrente.

Gli ermellini affermano, anche qui, che il “fatto” di cui si discute e cioè le condizioni di salute del lavoratore all’epoca degli episodi addebitatagli era già stato esaminato dalla Corte di appello con motivazione congrua e logicamente coerente.

In particolare, soggiunge la Cassazione

«peraltro la Corte di appello, sia pure sinteticamente, ha anche aggiunto che-anche se si ammettesse che lo Za. all’epoca fosse affetto da depressione- nulla gli avrebbe impedito di ricorrere alle cure del caso, e cioè- come già accennato- che anche una situazione di particolare fragilità psichica del lavoratore- per mera ipotesi argomentativa ascrivibile al datore di lavoro- non legittimerebbe comportamenti come quelli contestati e cioè l’indebito uso di mezzi aziendali come il telefono per fini propri e con grave danno economico del datore di lavoro, la cui contrarietà alla correttezza e buona fede è intuitiva».

Documenti&Materiali

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Author: Avv. Francesca Serretti Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 24 febbraio 1982. Iscritta all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 2010. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione lavoro di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

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