Violenza domestica: la CEDU condanna l’Italia sentenza Corte Europea Diritti dell'Uomo, Sez. I, 02/03/2017, n. 41237/14


Nel giorno in cui convenzionalmente si omaggia la donna, ci piace segnalare una sentenza di questi giorni della Corte europea dei diritti umani (CEDU) contro la violenza domestica e di portata storica.

Si tratta della sentenza, sez. I, 02/03/2017, n. 41237/14 (caso Talpis v/ Italia) (ci scusiamo ma la sentenza risulta reperibile solo in lingua francese) con cui la CEDU condanna lo Stato italiano per non aver agito con sufficiente rapidità per proteggere una donna e suo figlio dagli atti di violenza domestica perpetrati dal marito.

Il fatto, molto grave, di maltrattamenti in famiglia che si è consumato in quel di Udine, in ambito familiare, nei confronti sia della moglie che del figlio, ha portato all’omicidio di quest’ultimo e al tentato omicidio della moglie.

Con la sez. I, 02/03/2017, n. 41237/14 che qui si segnala, la CEDU, per la prima volta in materia domestica, ha condannato l’Italia a pagare alla vittima € 30.000,00 per danni non pecuniari e € 10.000,00 a titolo di rimborso delle spese affrontate.

Naturalmente, queste somme si vanno ad aggiungere a quelle della condanna risarcitoria già inflitta dal giudice italiano in sede penale, al momento della condanna del marito, ma la portata storica della sentenza che qui segnala, è data proprio dalla condanna dello Stato italiano per non aver provveduto ad offrire un’adeguata tutela in tempi ragionevoli ed idonei ad evitare gli eventi dannosi che poi, purtroppo, si sono verificati.

Nel caso di specie, infatti, come purtroppo accade spesso, la donna, aveva richiesto più volte l’intervento delle forze dell’ordine per le violenze subite dal marito (con problemi di alcoolismo), per alla fine presentare una vera e propria denuncia nei suoi confronti.

I fatti iniziano nel 2012, quando, in giugno, la donna riferì alle forze dell’ordine che il marito, aveva picchiato lei e la figlia, ma, arrivati sul posto, gli agenti avevano trovato l’uomo ubriaco in strada e avevano verbalizzato le ferite riportate da madre e figlia, ma in quella occasione non era stata sporta formale denuncia.

Successivamente, nell’agosto 2012, la donna era stata ancora una volta minacciata dal marito con un coltello: l’uomo l’aveva costretta a seguirlo, perché avesse rapporti sessuali con lui e con dei suoi amici, e nel percorso, lungo la strada, la moglie era riuscita a chiedere aiuto ad una pattuglia di polizia. Tuttavia, gli agenti avevano multato l’uomo per il porto illegale del coltello e si erano limitati ad invitare la donna ad andare a casa. La moglie, invece, si era recata al pronto soccorso, dove i sanitari le avevano rilevato multiple lesioni e una ferita alla testa, giudicate guaribili in una settimana.

A quel punto, la donna era stata accolta da un Centro Antiviolenza che aiuta le donne maltrattate, per tre mesi, dopodiché se ne era dovuta andare, e, dopo aver dormito addirittura in strada, oppure ospite di amici per qualche tempo, infine aveva trovato lavoro come badante, e questo lavoro le aveva consentito di prendere in locazione un appartamento. Tuttavia, il marito continuava a cercarla ed a chiamarla, fino a che nel settembre 2012 la donna aveva sporto una formale denuncia per lesioni, maltrattamenti e minacce, chiedendo alle autorità di proteggere lei e i suoi figli.

Purtroppo, però trascorrevano ben sette mesi prima che la donna venisse interrogata ed in quella occasione la stessa aveva reso dichiarazioni più miti nei confronti del marito, per cui il procedimento veniva archiviato.

Passavano solo pochi mesi e la donna tornava a richiedere l’intervento della polizia per aver subito nuove lesioni, ed il marito veniva ricoverato in ospedale per intossicazione da alcool.

Dimesso dall’ospedale, l’uomo era stato identificato da una pattuglia alle due e mezza di notte, mentre vagava ubriaco per strada. Era stato quindi multato sul posto e rimandato a casa. Due ore dopo la tragedia: l’uomo era tornato nell’appartamento, poi brandendo un coltello da cucina aveva aggredito la moglie, accoltellando a morte il figlio che aveva tentato di intervenire in difesa della madre. Mentre la donna tentava di fuggire, le aveva vibrato più coltellate al petto. Finalmente, sottoposto a processo, nel gennaio 2015, l’uomo veniva condannato all’ergastolo per omicidio del figlio e per tentato omicidio della moglie, oltre che per porto illegale di armi e per maltrattamenti nei confronti della moglie e della figlia.

Con la sentenza n. 41237/14, che qui si segnala, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha condannato l’Italia, affermando che

«non agendo prontamente in seguito a una denuncia di violenza domestica fatta dalla donna, le autorità  italiane hanno privato la denuncia di qualsiasi effetto creando una situazione di impunità che ha contribuito al ripetersi di atti di violenza, che in fine hanno condotto al tentato omicidio della ricorrente e alla morte di suo figlio».

La Corte ha condannato l’Italia per la violazione degli artt. 2 (diritto alla vita), 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) e 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).

Insomma, si direbbe, un caso sottovalutato. Un caso in cui non si è capita la gravità della situazione, magari anche in considerazione delle dichiarazioni, forse contrastanti della moglie. Ma chi si occupa di questa materia e di questi fatti, umani prima ancora che giuridici, sa o deve sapere, che la circostanza che la vittima talvolta ritratti le proprie precedenti dichiarazioni, non sempre corrisponde ad una reale minore gravità del fatto subito, e la capacità e la competenza degli operatori del settore, sta proprio nell’andare oltre le parole e nel capire come davvero stiano le cose.

E oltre alla competenza specifica per i reati di violenza domestica, occorre anche un sistema di effettiva prevenzione di questi reati, oltre che di supporto alle vittime una volta commessi.

La speranza è che questa sentenza della CEDU scuota il nostro Stato verso questa direzione.

Documenti & materiali

Scarica la sentenza CEDU, Sez. I, 02/03/2017, n. 41237/14
Scarica la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU)

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Author: Avv. Daniela Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 20 agosto 1963. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1992. Abilitata al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione famiglia di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833.

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