Stalking: attendibilità della persona offesa In nota alla sentenza Cass. Pen., Sez. V, 27/05/2016, n. 22549


Nel reato di atti persecutori (ex art. 612bis CP), meglio noto con il nome di stalking, le dichiarazioni della persona offesa (forse in questo più di qualunque altro reato), sono di particolare importanza, trattandosi di reati normalmente consumati in un contesto domestico, o comunque particolarmente ‘privato’.

Su questo importante tema si è di recente pronunciata la Suprema Corte con la sentenza Cass. Pen., Sez. V, 27/05/2016, n. 22549 che qui si intende segnalare per la sua rilevanza.

Con tale pronuncia la Corte di legittimità, sotto un profilo di stretto merito del reato ed in specie elemento oggettivo, muove dal presupposto che «telefonate, messaggi, frasi allusivamente minacciose divulgate attraverso vari mezzi di comunicazione» e «appostamenti», seguiti anche da ingiurie e, in un’occasione, da un «ceffone» sono elementi idonei a «determinare nella donna un perdurante e grave stato di ansia e di paura, oltre che un fondato timore per la sua incolumità personale» e, dunque, ad integrare il reato in questione.

Tale valutazione – viene chiarito – poggia su un «dato di comune esperienza», secondo cui le minacce e le molestie, a lungo andare, possono trascendere in atti di più grave impatto sulla persona.

Venendo, poi, al tema delle dichiarazioni della persona offesa, la Corte precisa il seguente principio:

«se dal tenore di alcuni sms si evince un tono accomodante e persino nostalgico della persona offesa, resta il fatto che la stessa è stata esplicita nel comunicare a C. la volontà di non cedere in alcun modo alle reiterate richieste di ripristinare il loro rapporto: nei termini indicati, il giudice del riesame ha esaminato i dati indiziari sottoposti al suo esame dalla difesa, disattendendo la valenza ad essi attribuiti con congrua motivazione, tanto più che, come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, l’attendibilità e la forza persuasiva delle dichiarazioni rese dalla vittima del reato non sono inficiate dalla circostanza che all’interno del periodo di vessazione la persona offesa abbia vissuto momenti transitori di attenuazione del malessere in cui ha ripristinato il dialogo con il persecutore (Sez. 5, n. 5313 del 16 settembre 2014 – dep. 4 febbraio 2015, S, Rv. 262665; Sez. 5, n. 41040 del 17 giugno 2014 – dep. 2 ottobre 2014, D’A, Rv. 260395)».

In sintesi, dunque, il fatto che la vittima degli atti persecutori (in questo caso, la donna) abbia talvolta risposto ai messaggi dell’ex amante, ripristinando con lui, in alcune occasioni, un vero e proprio dialogo, pur rifiutando la ripresa del rapporto, non priva, nè inficia di attendibilità le dichiarazioni dalla stesse rese.

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Author: Avv. Daniela Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 20 agosto 1963. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1992. Abilitata al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione famiglia di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833.

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